L’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza (AGIA) ha lanciato una consultazione pubblica dal titolo “Guerra e conflitti”. Un questionario di 32 domande rivolto ai giovani tra i 14 e i 18 anni, che vuole indagare attraverso quali canali passa l’informazione sui conflitti nel mondo, quali sensazioni suscitano e come ragazze e ragazzi vedono il proprio ruolo nella costruzione della pace.
La consultazione è partita il 18 novembre, e rimarrà aperta fino al 19 dicembre. Ma l’Autorità ha già rilasciato un primo comunicato stampa con alcuni risultati preliminari. Probabilmente, non quelli che voleva sentire il governo: ricordiamo che alla guida dell’AGIA c’è Marina Terragni, nominata dai presidenti di Camera e Senato, Lorenzo Fontana e Ignazio La Russa.
Infatti, nel comunicato stampa dell’organismo si legge che “più o meno il 68% di un campione provvisorio di 4.000 risposte non si arruolerebbe se l’Italia entrasse in guerra”, con una significativa differenza tra maschi (60,2%) e femmine (73,6%). Ad ogni modo, in entrambi i casi molto più della metà dei giovani non ha nessuna intenzione di “immolarsi per la patria”.
Oltre all’inaspettata preminenza della televisione per la ricerca di informazioni attendibili – non i social, dunque –, nel comunicato si legge anche che “la guerra è una delle principali preoccupazioni per i ragazzi: una preoccupazione superiore a quella per il climate change”. Già questo basterebbe per far sorgere alcuni interrogativi alla nostra classe politica.
Le televisioni sono forse gli spazi meno contendibili dell’informazione pubblica, e sono attraversate continuamente dall’allarmismo di una guerra imminente. La preoccupazione per un conflitto viene dunque dal martellamento continuo intorno a una tendenza alla guerra inevitabile, ma contro cui, è evidente, gli adolescenti italiani hanno forti anticorpi, probabilmente rafforzati dal palese doppio standard occidentale (genocidio in Palestina docet).
È interessante notare che tra le prime domande del questionario (si possono vedere coi propri occhi, chiunque può accedervi) viene chiesto se i giochi che simulano conflitti possano avere conseguenze sul comportamento delle persone. Non il richiamo continuo alla giustizia dei “guerrieri d’Europa”, a mo’ di Scurati… ma i videogiochi.
Ma il resto delle domande ha un’altra finalità abbastanza evidente: quella di procedere a una sorta di controllo di massa – per quanto anonimo – dai risvolti tutti politici. Tra le domande viene chiesto se si parla di guerra e di pace a scuola, ma anche come i giovani pensano di potersi davvero impegnare per la pace: dentro associazioni, sensibilizzando, con attività politiche?
Viene anche chiesto cosa si pensa della massima latina “si vis pacem para bellum”. Seppur tradotta, la stessa frase è stata usata dall’Alto rappresentante agli Esteri della UE Kaja Kallas, in un messaggio inviato alla Maratona per la Pace organizzata dalla CISL all’Auditorium Massimo di Roma, a metà di novembre.
È chiaro che si vuole tastare il terreno intorno a una propaganda bellicista sempre più spudorata, e al contempo verificare fino a che punto le grandi mobilitazioni degli ultimi mesi contro il genocidio in Palestina e il riarmo europeo abbiano fatto breccia tra ragazze e ragazzi. C’è una domanda che chiede proprio questo: “le mobilitazioni pacifiste, secondo te, sono: utili/inutili/mi lasciano indifferente”.
C’è poi la domanda di cui il risultato parziale delle risposte è accennato all’inizio dell’articolo: “se il mio Paese entrasse in guerra mi sentirei responsabile e se servisse mi arruolerei”. Come detto, per lo più i giovani rifiutano questa narrazione. Ma non si può non evidenziare come la domanda sia pensata per indurre lo spirito guerrafondaio in chi legge.
L’entrata in guerra dell’Italia viene associata alla parola responsabilità. Sarebbe da chiedersi se nel 1940 l’arruolamento nella carneficina fascista vada inteso come un’assunzione di responsabilità. Una domanda così generica non lascia spazio a una responsabilità che, in tanti casi, può essere quella di disertare, perché la diserzione si accompagna alla giustizia.
Infine, le ultime domande sono dedicate ai “conflitti nel mio quotidiano”. Qui si cerca di porre sullo stesso piano le guerre e gli scontri che possono accadere nella quotidianità. Anche qui, c’è un duplice meccanismo in atto.
Da una parte, le ragioni delle tensioni nell’arena della politica internazionale vengono derubricate a quelle delle discussioni tra amici o familiari: una formula su cui è facilmente sovrapponibile l’idea che qualcuno abbia “ragione” e qualcuno “torto”, e non ci sia invece una profonda complessità e stratificazione, di questioni ma anche storica, che vada sciolta e compresa per assumere una posizione equilibrata e diplomatica.
Dall’altra, cerca invece di disinnescare il conflitto sociale e politico interno. “Secondo te c’è differenza tra conflitto e guerra?” e “Secondo te, imparare a gestire i conflitti quotidiani può aiutare a costruire una cultura di pace?” sono due delle domande che sembrano indagare se tra i più giovani ci sia spazio per associare al discorso sulla “pace”, per come la intendono i guerrafondai, col ritorno alla passività sociale.
Sono interpretazioni le nostre, e non possiamo essere sicuri su cosa gli estensori del questionario volevano davvero informarsi. Già di per sé, avere dei dati di massima su cosa pensano gli adolescenti sottoposti costantemente alla propaganda bellicista è di per sé utilissimo. Ma in ogni caso, il modo con cui è stata confezionata questa consultazione è preoccupante, e bisogna dare atto ai giovani che hanno mostrato di avere una salda cultura pacifista dalla loro.
Un ultimo appunto. Perché l’AGIA ha deciso di diffondere in anticipo alcuni risultati? Probabilmente, c’è di mezzo un articolo de Il Fatto Quotidiano, che ha etichettato le domande del questionario come patriottiche. L’Autorità ha voluto probabilmente difendersi, mostrando che non è di certo riuscita a indirizzare le opinioni degli adolescenti.
Ma il pericolo, ora, è che questi risultati vengano usati per affermare ancora più strenuamente la necessità di militarizzazione, delle menti e dei luoghi della formazione. Contro tutto ciò bisogna lottare strenuamente. Riportiamo qui sotto anche un commento dell’OSA.
***
QUESTIONARI AGIA SULL’ARRUOLAMENTO: CI VOLETE CARNE DA CANNONE, CI AVRETE OPPOSIZIONE, NO ALLA LEVA!
Il questionario Agia è uno schifo, non saremo braccia per la guerra voluta da governo Meloni e Occidente
L’AGIA (Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza) chiede a 4.000 studenti e studentesse se si arruolerebbero per andare in guerra. Con un questionario apparentemente neutro, distribuito a ragazzi fra i 14 e i 18 anni, l’istituto compie un inquietante campionamento di massa, per testare la risposta dei giovani alla chiamata alle armi del Governo Meloni.
Le 32 domande sottoposte assomigliano insieme a un esperimento sociale e a una forma di controllo sfacciata, viene chiesto agli studenti di tutto: se credono nelle mobilitazioni per la pace, con quali media si informano e – domanda delle domande – se si arruolerebbero per la guerra. Il 68% non lo farebbe come rivela la stessa Agia.
Le giovani generazioni sono contro la guerra e questo dà fastidio. Stanno venendo preparate a un futuro di guerra, fatto di riarmo, leve militare, conflitti nel mondo per gli interessi delle classi dirigenti europee e occidentali. La recente proposta di reintroduzione della leva è la conferma definitiva che il governo Meloni ci vuole “carne da cannone” per dei conflitti che è l’Occidente che fomenta nel mondo e per cui dovremo essere noi ad andare al fronte.
Per fare ciò sta venendo condotta una guerra cognitiva alle giovani generazioni per prepararle all’idea della guerra, che si compie anche attraverso la trasformazione bellicistica della didattica in scuole e università, come confermano i nuovi programmi scolastici reazionari di Valditara, o il caso del corso per ufficiali all’Università di Bologna, con cui addirittura l’Università diventa uno strumento in mano all’Esercito.
Fuori la guerra da scuole e atenei, no alla leva. Dopo le mobilitazioni di 28 e 29 novembre non ci fermiamo. Noi non ci arruoliamo!
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa