Ieri migliaia e migliaia di persone sono scese in piazza in solidarietà con il centro sociale Askatasuna, sgomberato giovedì 18 dicembre, dopo 30 anni di attività sul territorio, fianco a fianco delle fasce marginalizzate della popolazione, dimenticate dalle istituzioni. La città di Torino non se n’è dimenticata, e il sostegno del quartiere e della cittadinanza intera è stato massiccio.
Lo sgombero è avvenuto in maniera pretestuosa, e all’interno dell’edificio salvato dall’abbandono non è stato trovato nulla che potesse giustificare un dispiegamento militare come quello di giovedì scorso. Soprattutto, nulla che potesse far stracciare il patto che il Comune stava portando avanti con un comitato di garanti per la realizzazione di un progetto sui beni comuni che coinvolgeva lo stabile.
Il paradosso della guerra portata in casa, è stato rotto da una fiume di gente che si è invece esposta in solidarietà di Askatasuna. Un massa di persone che ha rotto la narrazione che quasi tutti i media hanno provato a raccontare, ovvero quello di un “centro di criminalità” che era un pericolo per la cittadinanza.
Davanti alle famiglie e ai bambini del quartiere in prima fila, il campo largo, schieratosi apertamente per la repressione poliziesca, è andato in panne. Il sindaco Lo Russo, che si era affrettato a dichiarare il patto col comitato dei garanti decaduto, si è trovato costretto a tornare frettolosamente e goffamente sui suoi passi, affermando: “crediamo ancora oggi nel percorso del patto per Askatasuna“.
Nel frattempo, però, ha lasciato campo libero alla trasformazione della sua città in un campo di battaglia contro la popolazione in protesta. Ormai Piantedosi e il ministero dell’Interno aveva deciso che Askatasuna doveva diventare un modello repressivo per ogni manifestazione di dissenso, e non poteva fare un passo indietro, a differenza del sindaco.
Le autorità hanno alzato la tensione quando hanno deciso di bloccare i manifestanti per impedire loro di avvicinarsi allo stabile sgomberato, e lo hanno fatto con cariche, idranti e alcuni lacrimogeni sparati ad altezza uomo, contro ogni indicazione dei manuali di gestione dell’ordine pubblico. La manifestazione ha reagito senza farsi intimidire, nonostante l’intento evidente della violenza poliziesca, contro ogni legge, fosse quello di ferire, cosa che la marea di gente non ha permesso accadesse.
La discrepanza tra il racconto del “pericolo” Askatasuna e la solidarietà di massa che ha ricevuto il centro sociale, la mancanza di misura e di proporzionalità tra il dispiegamento e l’azione poliziesca da una parte e il carattere popolare della protesta dall’altra esprimono una faglia che non è passata inosservata al sindaco, e potrebbe mettere in difficoltà anche la tranquillità con cui il governo sperava di far passare la guerra interna contro i lavoratori e ogni esperienza di socialità e politica non allineata con la deriva autoritaria e bellicista della UE.
Ora, la solidarietà ai manifestanti colpiti dalla repressione non può mancare, e la resistenza, così come lo sviluppo di un percorso di lotta e di opposizione che colga i segnali della piazza di ieri, devono essere rafforzati, a Torino come nell’intero paese.




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