La Presidente del Consiglio Giorgia Meloni si è recata in visita al COVI, il Comando Operativo Vertice Interforze, ossia il quartier generale strategico di tutte le forze armate italiane che mantiene anche le comunicazioni con i contingenti militari italiani all’estero.
Si tratta di una vasta base militare sorta nell’ex aeroporto di Centocelle, piazzata però disgraziatamente in mezzo ai palazzi dei quartieri più densamente popolati di Roma tra Centocelle e Tuscolana.
In caso di guerra sarebbe uno dei primi obiettivi strategici dei lanci nemici per “accecare” di indicazioni e informazioni le nostre forze armate.
Una inquietante simulazione realizzata dalla Princeton University, vede infatti anche Roma tra i bersagli prioritari (insieme a Ghedi, Aviano, Camp Darby, Napoli, Sigonella) di un eventuale bombardamento missilistico nucleare, ovviamente da parte della Russia, l’unico paese con la capacità militare per farlo.
Parlando in presenza degli alti comandi militari italiani riuniti al COVI per salutare i contingenti militari all’estero, la Meloni ha evocato positivamente il concetto di deterrenza. “Io sono appassionata di etimologia della parola, racconta sempre il senso più profondo di quello che noi diciamo. E l’etimologia della parola deterrenza arriva dal latino, il senso è incutere timore al punto da distogliere” (e qui magari ci stava dissuadere più che distogliere).
E a quel punto non poteva mancare nel discorso della Meloni la immancabile citazione della formula latina “si vis pacem para bellum”, chi vuole la pace prepari la guerra, sottolineando che “non è, come molti pensano, un messaggio bellicista. Tutt’altro, è un messaggio pragmatico, il senso è – ha aggiunto la Meloni – che solo una forza militare credibile allontana la guerra. Perché la pace non arriva spontaneamente: è soprattutto un equilibrio di potenze. La debolezza invita l’aggressore, la forza allontana l’aggressore”.
La frase, ormai citata ad ogni più sospinto, è quella riportata nel prologo di un libro di Vegezio, un trattato militare romano risalente alla fine del IV secolo d.C.
Gode di molta meno fortuna invece la frase “dove fanno il deserto lo chiamano pace” che Tacito fa pronunciare in un opera al capo dei Caledoni (gli odierni scozzesi) sconfitti dai romani. In fondo questa è una frase attribuibile ai vinti, alle vittime delle armate imperiali e non ai loro mandanti e comandanti.
Ma il IV secolo d.c. – quello in cui occorrerebbe “preparare la guerra per avere la pace” – è anche uno dei più funesti, quello in cui si consuma nella seconda metà del secolo la sconfitta di Adrianopoli che comincia a segnare il declino dell’Impero romano, già diviso in due tra Roma e Costantinopoli, ormai indebolito all’interno dalle conseguenze del dominio costantiniano e dall’avvento del cristianesimo come religione obbligatoria di stato.
Insomma solo aver fatto deserto nei secoli precedenti degli altri popoli e nazioni – e chiamando tutto questo pace – l’impero romano è passato alla deterrenza. Ovvero prima ti ho annientato come nemico e poi ti voglio dissuadere dal provare a rialzare la testa. Ma questo, come noto, non è bastato né servito.
A ben vedere anche il concetto di deterrenza alla fine di un ciclo storico determinato dall’imperialismo e dalle sue aggressioni (basti pensare alla Jugoslavia, all’Iraq o alla Libia) non è affatto di buon auspicio, specie se visto da altri popoli e altri paesi. E non necessariamente solo dalla Russia contro cui convergono da anni strali ideologici, guerre ibride, pacchetti di sanzioni, bufale mediatiche clamorose tese a innescare un clima di scontro che, da quanto si rileva fin qui, a Mosca nessuno scalpita per avviare.
Va ricordato che, rischiando di coprirsi di ridicolo, nel 2014 venne avviato lo Scudo Missilistico Europeo della Nato (BMD) per proteggere i paesi del vecchio continente dalla minaccia delle ambizioni del sistema balistico dell’Iran (!!) e con tale pretesto vennero piazzate batterie di missili antimissili in diversi paesi europei dell’Est come Romania e Polonia. La minaccia dichiarata allora, nel marzo 2014, non era infatti esplicitamente la Russia, si era all’inizio della annessione della Crimea.
Ma chi è che oggi minaccerebbe l’Italia?
La domanda senza risposta rimane infatti sempre quella. Posto che ogni paese è bene che abbia un buon sistema difensivo, e soprattutto non vada a rompere le palle e a mettere becco in altri paesi, ma chi è che oggi minaccerebbe l’Italia? La Russia non sembra. La Turchia per via delle Zone Economiche Esclusive nel Mediterraneo? Un accordo su questo è fattibilissimo. L’Algeria che estende la sua Zee fino alla Sardegna? Ma ci abbiamo fatto un accordo strategico per sostituire il gas russo!! I paesi confinanti dei Balcani? Abbiamo talmente spezzettato le repubbliche della ex Jugoslavia che nessuno dei nostri confinanti è in grado manifestare tali ambizioni e poi sono entrati nella Ue e nella Nato. La minaccia allora solo le migliaia di disperati che cercano di arrivare sui barconi sulle nostre coste? Difficile credere che per fermarli siano idonei missili, cannoni, puntatori laser, contraerea, carri armati etc.
Gli unici militari stranieri presenti sul nostro territorio – e che non rispondono né ai comandi né ai giudici italiani – sono le migliaia di soldati statunitensi presenti nelle basi militari Usa in Italia. Ma questa inquietante e ingombrante presenza, come noto, non viene messa mai in discussione nè dalla destra nè dal centro-sinistra.
Rimangono ai confini solo la neutrale Svizzera, la Francia e l’Austria, che in teoria sono nostri alleati. Ritorna dunque la domanda: ma chi è che oggi minaccerebbe l’Italia? E contro chi dovrebbero essere spesi miliardi per la deterrenza militare? Il non allineamento e la fuoriuscita dai blocchi militari, come deterrenza, funzionerebbe meglio, soprattutto se proprio questa obbedienza ci trascina verso la guerra, come avvenuto nel recente passato.
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