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Bologna e l’emergenza abitativa: il bastone e la carota (marcia)

A distanza ormai di qualche anno dagli sgomberi delle occupazioni abitative che avevano dato casa a centinaia di persone a Bologna, le istituzioni ritornano a parlare di emergenza abitativa e di promesse di risoluzione del problema, da un lato propagandando la costruzione di nuovi alloggi popolari, ma dall’altro aumentando le misure di controllo e repressione nei confronti di chi l’emergenza abitativa l’ha vissuta e la vive tutt’oggi.

Per fare luce su quanto è successo, occorre ricordare come nello scorso decennio a Bologna, il movimento di lotta per la casa, declinato in diverse forme associative, avesse prodotto in città più di una decina di occupazioni ad uso abitativo.

Queste esperienze, che avevano dato respiro a molte famiglie condannate alla strada o quasi dai sempre più stringenti requisiti per l’accesso alla graduatoria ERP per la casa popolare, sono state tutte sgomberate negli ultimi anni, in nome della legalità e del ripristino dell’ordine pubblico.

Qualche giorno fa, proprio mentre l’ISTAT pubblicava il dato allarmante sulla povertà assoluta in Italia, che negli ultimi 10 anni è raddoppiato superando oggi l’8%, il comune di Bologna si ricorda dell’emergenza abitativa, e della necessità di mettere mano al patrimonio ERP per dare risposta alla sempre crescente necessità di case popolari. Lo fa proponendo la costruzione di 200 nuovi alloggi ERP, dislocati in diversi mostri nati dalla politica di speculazione edilizia come l’area dell’ex mercato Navile, o in edifici lasciati in balia del degrado come Villa Celestina o l’ex clinica Beretta, stabile tra l’altro che era già stato aperto e occupato per almeno 2 volte in questi ultimi 10 anni.

200 alloggi che forse verranno resi agibili nei prossimi due anni, a fronte di un emergenza che vede oggi “più di 4000 famiglie aventi diritto rimanere senza alloggio pubblico” come dichiara l’ASIA USB, e “mentre quasi 2000 case ACER rimangono sfitte” (per non parlare degli altri immobili vuoti da anni in città).

Certo la matematica non è un’opinione, ma nell’era dell’informazione 4.0 la statistica e la politica può aiutare molto a cambiare i numeri dell’emergenza abitativa. Basta ad esempio approvare delibere sempre più stringenti per escludere una parte di questi nuclei familiari dal conteggio degli aventi diritto alla casa popolare. L’ultima delibera regionale dell’Emilia Romagna infatti, (2016/894), agisce proprio su questo, attraverso l’ulteriore abbassamento del tetto ISEE per la permanenza in casa popolare, producendo da un lato l’abbassamento degli aventi diritto all’alloggio popolare, e dall’altro lato centinaia di sfratti (secondo l’ASIA USB, quasi 700 i procedimenti già avviati a Bologna).

E non è tutto. Oltre al potere legislativo, anche quello amministrativo finanziario può dare una grossa mano. Da qualche giorno la regione ha approvato un accordo con la Guardia di Finanza, per dare la caccia ai “furbetti delle case popolari”, che avrà pieni poteri per aumentare i controlli sui redditi degli abitanti in case popolari, ovviamente con effetto retroattivo, andando a tappeto sulle proprietà all’estero, fossero queste in Europa o in Guinea Bissau.

E per finire, c’è il potere coercitivo. Come ciliegina sulla torta, a chi aveva occupato stabili fatiscenti o lasciati vuoti da anni, si fanno fioccare denunce, come successo proprio ieri a 14 delegati e attivisti di Asia Usb, che nel 2011 avevano occupato l’ex clinica Beretta. Una misura repressiva in pieno stile Minniti, che li condanna a un mese di detenzione e 200 E di multa, oltre al risarcimento di 5000E all’Ausl, proprietario dell’immobile.  

Una denuncia che arriva proprio in contemporanea all’annuncio di voler convertire l’ex Beretta in alloggi popolari da parte di quello stesso partito (il PD) che 7 anni fa ne aveva ordinato lo sgombero. “Peccato che questo venga fatto oggi” denuncia l’ASIA, “ quando lo stabile è di nuovo un rudere disabitato, mentre chi aveva avuto il coraggio di richiedere la stessa cosa nel 2011, organizzandosi come proprio diritto in maniera sindacale, viene condannato per aver tentato di difendere uno dei diritti basilari: il diritto all’abitare”.

 

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