Ieri in tutta la Città Metropolitana di Bologna non si torna a scuola. È l’effetto del regime “arancione scuro” che tra le restrizioni impone la didattica a distanza dalle primarie alle superiori.
La terza ondata sta colpendo duro e più restrizioni sono inevitabili. Dobbiamo però indicare le colpe, perché non cadono dal cielo. La terza ondata, in questo modo, ci arriva da chi ha deciso che si doveva “convivere col virus” pur di non dare ristori e cassa integrazione, da chi ha deciso che non bisognava abbattere la seconda ondata ma solo provare a gestirla in attesa del vaccino.
Queste persone hanno nomi precisi: Bolsonaro, Johnson, Trump, Conte e ultimo in ordine di tempo ma non di importanza Draghi. E sotto di loro, la grande alleanza dei presidenti di regione da Fontana a De Luca passando per il capo della Stato-Regioni Bonaccini.
La chiusura delle scuole ha dei colpevoli precisi. Sono colpevoli che sono stati al ministero per decenni, che hanno fatto le classi pollaio, hanno assunto solo precari, hanno lasciato marcire gli edifici scolastici.
Sono colpevoli che stanno anche in Regione e a Tper, che da mesi fanno finta che non ci sia nessun problema di sovraffollamento dei bus di studenti e lavoratori. Ormai non c’è neanche più la finzione del dimezzamento della capienza, bisogna solo prendere i mezzi e sperare bene.
Da mesi sappiamo che il microclima nelle classi è pericoloso anche rispettando i protocolli di sicurezza, perché il tema è la diffusione via aerea in ambienti chiusi non ventilati. Lo dimostra il contagio tra insegnanti e alunne e alunni che non può più essere spiegato solo col mancato rispetto delle regole.
In Italia e anche a Bologna l’edilizia scolastica è vecchia, per cui l’unica ventilazione sono le finestre aperte anche quando si va sotto zero. Ma ci risulta che dove ci sono edifici di nuova costruzione con ventilazione meccanica questa venga tenuta ferma perché… troppo costosa da usare!
Per di più, oggi i genitori di decine di migliaia di alunne e alunni in dad si trovano costretti a ribaltare le proprie vite perché a fianco della chiusura delle scuole il lavoro non si ferma, e la cura delle famiglie ovviamente si deve mettere in coda dietro alle necessità dei “mercati”.
D’altronde proprio oggi le autorità locali (Merola che si fa vivo dopo mesi, Bordon e Gordini dell’AUSL) ci dicono sui giornali che le misure “arancione scuro” sono troppo poco e in ritardo, e che dovremo andare in regime rosso.
Noi di Potere al Popolo abbiamo sempre detto che la didattica a distanza approfondisce i problemi di disuguaglianza e per questo va usata solo come misura di emergenza.
La chiave di lettura di chi comanda, schifosa ma onesta, ce l’ha data giusto ieri il presidente del Friuli dicendo che bisogna tenere aperte le fabbriche e chiuse le scuole. Questo è da un anno l’ordine di priorità di un’intera classe dirigente fallimentare. Un ordine di priorità che paghiamo con centomila morti e con la più grave recessione da quando si registrano i dati.
Questo non è un destino scolpito nella pietra, un’alternativa è possibile e ce lo dimostrano i paesi socialisti come Cuba, Cina e Vietnam. Si possono fare chiusure e usare il tempo della chiusura per testare, tracciare, curare e vaccinare, e arrivare a riaprire in sicurezza.
Ma bisogna dare reddito a chi non può lavorare. Bisogna resistere alle pressioni di Confindustria. Bisogna dare la possibilità a chi deve tenere i figli a casa di curarli. Bisogna rendere pubblici i brevetti e produrre da soli i vaccini che ci servono.
Oggi 2 marzo incontreremo l’assessore Donini, insieme a USB e altre forze sociali, nel nostro percorso di controllo popolare e gli chiederemo conto anche di questo.
L’11 marzo partecipiamo alla mobilitazione internazionale No Profit On Pandemic.
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