Alcune settimane fa dei compagni del collettivo, studenti universitari, hanno presentato all’Ateneo di Bari la richiesta di un’aula per l’organizzazione dell’evento “Defend Afrin-dibattito pubblico”. Un’iniziativa di discussione e controinformazione sull’attacco fascista della Turchia ad Afrin, nel nord della Siria. Compilato il modulo è stata assegnata un’aula dell’Ex Palazzo delle poste, confermata anche in seguito dai responsabili. Solo il 28 marzo, circa due settimane dopo la richiesta dell’aula, in un colloquio telefonico il responsabile dell’“Ufficio organizzazione e gestione eventi”, ha comunicato che l’autorizzazione ci era stata negata.
Quando ci siamo recati in Ateneo per un chiarimento ci è stato specificato che uno studente di medicina di nazionalità turca aveva segnalato ad un suo professore e al consolato turco questa iniziativa e quindi, su pressione del docente (o del consolato?), l’università aveva deciso di negare l’aula. Avvenimenti che hanno comportato anche il coinvolgimento della Digos di Bari.
Alla fine di questo colloquio gli studenti hanno richiesto di essere ricevuti dal Rettore, che ricevendoli insieme ad altri funzionari, ha motivato il rigetto della richiesta elencando una macabra successione di eventi. Il Rettore ha specificato che l’autorizzazione era stata negata non in seguito ad una sua autonoma decisione, ma su pressioni del Capo di gabinetto del MIUR.
Il consiglio paternalistico del rettore è stato di contattare il Consolato turco, affinché si potesse individuare attraverso di loro un esponente turco per un contradditorio; adducendo che così il dibattito si poteva fare, dato “che siamo in democrazia”, ma negando comunque che si potesse tenere in un’aula dell’Uniba.
Chiedere al governo turco di intervenire in un dibattito sull’invasione del Rojava, avvenuta contro ogni convenzione internazionale, sul genocidio che l’esercito fascista turco sta perpetrando ai danni delle popolazioni della Siria del nord contro ogni diritto umano, è insensato come lo sarebbe invitare Sharon per parlare della Nakba, insomma, come invitare un carnefice a parlare delle proprie vittime.
La velocità con la quale il rettore ci ha fornito il numero di telefono del consolato turco, è sorprendente così come l’atteggiamento compiacente nel descrivere il console come “disponibile e brava persona”. A fronte di queste gravi affermazioni vogliamo porre alcune domande e fare alcune considerazioni.
Vogliamo sapere chi sia il mandante politico del rigetto dell’autorizzazione. Il Rettore, su pressione di uno o più professori, così preoccupati dalla verità su un conflitto tanto sanguinoso da appoggiare le richieste di uno studente turco, o il ministero dell’istruzione su pressione del Consolato turco? Chi ha contattato il MIUR esercitando una tale influenza da spingere il capo di gabinetto ad intercedere per bloccare l’assegnazione di un’aula? Che ruolo ha avuto il governo turco, in tutto ciò? Come é possibile che uno stato estero imponga ad un ministero e all’università pubblica il diniego di concessione di un’aula? Che interessi ci sono dietro queste pressioni? Qual è il ruolo della DIGOS e quindi del Ministero degli Interni in questa vicenda? Come mai iniziative del genere si sono già tenute in altre università italiane, ma non possono avvenire all’Uniba?
Il rettore ha dovuto appellarsi addirittura all’art. 2 del “Regolamento per la concessione in uso di aule e spazi”, che vieta l’utilizzo di aule dell’università per iniziative politiche, per negarci l’aula. Peccato che fino ad ora nessuna iniziativa a carattere politico abbia ricevuto un tale discrimine. Quali sono allora le caratteristiche rendono un’iniziativa politicamente “accettabile”?
Qual è il ruolo di un’istituzione di formazione quale l’università: un luogo politico, una fucina di idee e di confronto o un campo di battaglia, in cui censura e omertà fanno da padrone? Perchè il rettore non si è opposto a queste interferenze?
Una cosa la sappiamo: a pochi giorni dall’iniziativa un’aula dell’università pubblica è stata negata a studenti per l’interferenza politica di chi decide che parlare del Kurdistan è scomodo, che discutere di democrazia diretta, del Confederalismo Democratico non è ammesso in un istituto di formazione. Denunciare le migliaia di morti civili e il mancato rispetto dei diritti umani, narrare della lotta all’ISIS non è importante, non è opportuno parlare degli interessi delle aziende vicine al dittatore Erdogan, forse perché sono le stesse che costruiscono la TAP in Salento. Il Rettore se ne è “lavato le mani”, adducendo cause di forza maggiore: cioè l’intervento del ministero. Come accade anche sui principali quotidiani italiani, il velo di omertà è stato imposto dall’alto, e chi dovrebbe avere ruoli di responsabilità diventa solo un mero esecutore di interessi internazionali.
Pretendiamo che il Rettore prenda una posizione netta sulla vicenda e chiarisca le dinamiche che hanno portato a questa decisione. Pretendiamo che il rettore condanni apertamente il genocidio dei popoli del Rojava e l’invasione dello stato turco. Pretendiamo che l’università assolva alla sua funzione di luogo libero di formazione, in cui studenti e studentesse possano tranquillamente esprimere le proprie volontà politiche e culturali senza repressione e censura.
Vogliamo l’università libera, aperta e solidale; invitiamo quindi il Rettore a riconsiderare la scelta di negare l’aula.
Per questo saremo mercoledì 4 aprile alle ore 10:00 in piazza Cesare Battisti, per un presidio di solidarietà con i popoli del Rojava e di denuncia nei confronti del clima di repressione ideologica nell’università di Bari.
NO ALLA CENSURA NEI LUOGHI DI FORMAZIONE!
NO ALLA COMPLICITÀ CON L’INVASIONE DA PARTE DELL’ESERCITO FASCISTA TURCO!
VIVA LA RIVOLUZIONE DEL ROJAVA!
LIBERTÀ PER TUTTI I POPOLI!
LIBERTÀ PER OCALAN!
VOGLIAMO L’UNIVERSITÀ APERTA LIBERA E SOLIDALE!
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