“I piccoli ospedali e le strutture territoriali non devono chiudere”: è quanto sono andati a dire questa mattina a Cagliari alcune centinaia di manifestanti, aderendo all’appello della “Rete sarda per la sanità pubblica” che ha portato in piazza non solo cittadini, ma anche sindaci e varie associazioni di categoria. Il corteo che questa mattina è partito da Piazza del Carmine per poi concludersi al Consiglio Regionale era preceduto da una consistente pattuglia di ambulanze e poi da una ventina di sindaci di altrettanti comuni sardi – concentrati nei territori centrali dell’isola – che dovrebbero essere penalizzati dall’ennesima chiusura di strutture sanitarie pubbliche, giustificata dalla giunta regionale con la necessità di “razionalizzare” la rete ospedaliera.
Un taglio al quale però alcune realtà di sinistra e indipendentiste, insieme a molte comunità locali, si oppongono, denunciando i tagli decisi dalla Giunta Pigliaru, sostenuta tra l’altro da Sel, dal Prc (anche se il segretario regionale si è espresso per l’uscita dalla maggioranza) e da alcuni gruppi che si definiscono ‘sovranisti’.
«Oggi, secondo il Censis, 250mila sardi hanno dovuto rinunciare alla sanità pubblica e si pensa, invece, di eliminare servizi allungando le distanze chilometriche tra i presìdi e i cittadini – spiega alla stampa Gigi Pisci, portavoce della Rete per la sanità pubblica, promotrice della mobilitazione -. Chiediamo al Consiglio di fare pressing sulla Giunta per ottenere una pausa di riflessione costruttiva e un maggiore coinvolgimento delle comunità e della società civile che oggi è in piazza assieme ai sindaci e amministratori locali del Sarrabus, Sarcidano, Barbagia e Iglesiente». Ma secondo i piani della Regione anche il sistema ospedaliero di Cagliari sarà frantumato e indebolito da alcuni accorpamenti e dalla chiusura di strutture sanitarie che servono tutta la Sardegna.
«L'impressione è che si voglia far pagare la riduzione dei costi in Sanità ai cittadini in termini di minori servizi sanitari prossimi alla gente – osserva Bustianu Cumpostu di Sardigna Natzione -. Invece di potenziare le strutture pubbliche si investe su grosse strutture che dovrebbero essere private ma che alla fine si scopre sono a carico della collettività: è il caso del Mater Olbia. Nell'immaginario collettivo poi la speranza di cure non viene cercata qui in Sardegna ma fuori dalla Regione, sintomo che c'è più di una cosa che non funziona».
Ad animare la manifestazione di questa mattina anche la richiesta, da parte delle donne affette da patologie oncologiche del seno di Sassari e del Nord della Sardegna della preservazione della Breast-Unit, per la quale i tempi di realizzazione sono strettissimi, in quanto per accedere ai finanziamenti dell’Unione Europea la Regione ha tempo solo fino al 31 dicembre e nel Piano di riordino attualmente all’esame della Commissione Sanità non se ne fa il minimo accenno.
Alcuni dei promotori della mobilitazione hanno anche denunciato il ‘commissariamento’ di molte strutture sanitarie pubbliche sarde da parte di direttori e manager provenienti dall’Italia, una colonizzazione imposta dal sistema partitico statale sulla base di una vera e propria spartizione in stile 'manuale Cencelli'.
Luca Fiore
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