Il 22 e 23 giugno 2021 la città di Catania ospiterà la Riunione interministeriale su “Lavoro e Istruzione” nell’ambito del G20, il foro internazionale che riunisce le principali economie mondiali (Arabia Saudita, Argentina, Australia, Brasile, Canada, Cina, Corea del Sud, Francia, Germania, Giappone, India, Indonesia, Italia, Messico, Regno Unito, Russia, Stati Uniti, Sud Africa, Turchia, Unione Europea).
Nonostante questi paesi generino l’80% del PIL del pianeta e il 75% del commercio globale, essi rappresentano solo il 60% della popolazione mondiale. Inoltre il G20 è precluso a paesi che ospitano immense risorse naturali e strategiche, saccheggiate da tempo immemorabile dalle transnazionali e dalle potenze internazionali.
Si tratta di un appuntamento tra i più importanti di questo ciclo di meeting internazionali sotto la presidenza italiana, perché affronta il nodo centrale dell’istruzione, su cui il nostro paese, negli ultimi decenni, invece di investire ha tagliato, rendendo la scuola sempre più escludente e – in linea a quanto ormai avviene a livello globale – ha sottomesso i sistemi educativi e l’università alle esigenze e agli interessi delle imprese e delle classi dominanti, imponendo false “rivoluzioni” (vedi digitalizzazione o green economy) che accrescono i profitti di queste ultime e, contestualmente, le disuguaglianze sociale, le precarietà, l’autoritarismo e i dispositivi di controllo, lo sfruttamento e le flessibilità nel mondo dei lavoratori.
Tutto il contrario cioè del ruolo emancipatorio e critico che la lotta per l’istruzione pubblica e democratica per tutte e tutti ha rappresentato per i movimenti e per le forze democratiche negli ultimi 60 anni. La sfida che tutti i soggetti (giovanili, politici, sindacali e di movimento, ma anche le famiglie e l’intera società) sono chiamati a cogliere nelle date di mobilitazione del 22 e 23 giugno, a Catania.
L’eterogena composizione del G20 con entità statali e governi in aperta competizione politico-militare tra loro (vedi la crisi pericolosissima in atto innescata dagli statunitensi e che vede gli stessi, la NATO e i partner extra-NATO da una parte e Cina e Russia dall’altra) e la contestuale discriminazione alla partecipazione e al confronto con i movimenti politici e sociali che lottano per la giustizia economica e la ridistribuzione equa delle ricchezze, difendendo i territori dalle rapine del capitale e dai dissesti ambientali, sono due delle ragioni dei risultati fallimentari del foro annuale “nella ricerca di risposte coordinate, eque ed efficaci, capaci di porre le basi per un futuro migliore e sostenibile”, obiettivo prioritario dichiarato dal G20.
Il vertice 2021 sotto la presidenza italiana giunge in una delle fasi più drammatiche della storia mondiale dell’ultimo secolo, la pandemia da coronavirus che ha prodotto milioni e milioni di lutti, il crollo del PIL globale, una devastante crisi occupazionale e l’esplosione del numero di nuovi poveri in tutto il pianeta.
Di contro però il mondo intero ha assistito alla crescita esponenziale dei fatturati e dei guadagni delle società transnazionali (specie quelle attive nel settore delle telecomunicazioni, dell’informatica, della farmaceutica) e delle spese destinate all’acquisto di armi e al potenziamento dei dispositivi militari, frutto queste ultime dei processi di militarizzazione della politica, dell’economia e degli stessi sistemi socio-sanitari imposti come risposta globale alla pandemia.
In quest’ottica si inserisce lo stesso governo italiano che con il Recovery Fund, in un quadro che penalizza pesantemente il Sud accentuandone la dipendenza economica e produttiva, ha scelto di privilegiare le “autostrade digitali”, la telefonia cellulare, la cyber security e il complesso militare-industriale, mentre invece – vedi proprio il tema dell’interministeriale etneo – condiziona e subordina i diritti al lavoro e all’istruzione all’affaire-business della “digitalizzazione”, in linea con quanto già pesantemente imposto durante questi 18 mesi d’emergenza (crescita dei ritmi e dell’orario di lavoro e dell’isolamento dei lavoratori con lo smart working, descolarizzazione generalizzata e disarticolazione del sistema dell’istruzione pubblica con la cosiddetta didattica a distanza).
Come già accaduto con il G7 di Taormina del 2017, il governo e le élite politiche-imprenditoriali locali e nazionali tenteranno di riproporre durante il meeting di Catania, un’immagine del tutto falsa e mistificante della città e dell’intera Sicilia: ne occulteranno le devastanti condizioni sociali ed economiche, la preminenza del lavoro nero e sottopagato, la dilagante povertà delle periferie metropolitane e di quasi tutti i centri minori, la condizione di assoluta precarietà di vita delle nuove generazioni, le intollerabili discriminazioni di genere nell’esercizio delle attività lavorative, lo sfruttamento e le condizioni di semi-schiavitù nel settore agricolo (vittime in particolare i lavoratori migranti), l’insostenibilità ambientale ed occupazionale dei poli petrolchimici, il dissesto delle coste e dei territori, l’inesorabile consumo di suolo promosso a uso e beneficio degli speculatori dell’edilizia, la contestuale negazione del diritto alla casa per centinaia di migliaia di cittadini.
E il G20 a Catania avrà come obiettivo anche quello di riprodurre l’ipocrita e cinica narrazione della “Sicilia ponte di pace”, quando al contrario, da più di 40 anni, l’Isola è stata trasformata in una piattaforma per le operazioni di guerra in mezzo mondo di Stati Uniti d’America, Italia, Ue, partner NATO ed extra-Nato ed estrema frontiera della guerra alle migrazioni mediterranee.
Catania è la città dove hanno sede gli uffici per il Mediterraneo di Frontex, la famigerata agenzia di controllo delle frontiere Ue che condanna alla morte in mare migliaia di migranti e rifugiati in fuga dai crimini ambientali, dalla fame e dalle guerre prodotte dal modello neoliberista imperante.
A pochi chilometri da Catania sorge la grande stazione aeronavale di Sigonella, uno dei centri di comando e controllo delle guerre globali del XXI secolo, con i suoi droni impiegati quotidianamente in Africa, Medio oriente ed est Europa, e le sue basi-metastasi in mezza Sicilia, il MUOS e i centri di telecomunicazione a Niscemi, il porto di Augusta per i sottomarini nucleari, gli scali di Trapani, Lampedusa e Pantelleria, i poligoni di Agrigento, Piazza Armerina, Corleone.
Per dar voce a chi non ha diritto di rappresentanza nei fori mondiali e continua a credere che un altro mondo è possibile difendendo i territori dal saccheggio e dall’espropriazione delle élite che governano il pianeta;
– per continuare a lottare qui in Sicilia per il diritto all’istruzione e al lavoro per tutte e tutti, per un’economia equa e sostenibile, per la promozione dei diritti sociali e di una scuola pubblica realmente democratica e partecipata, per la pace e il disarmo, contro le infiltrazioni criminali e in difesa dei diritti delle sorelle e fratelli migranti;
– per rivendicare il rispetto dei diritti democratici e costituzionali, contro ogni deriva tecnocratica e oligarchica;
– invitiamo tutte le realtà e i soggetti che in questi anni si sono battuti: contro i processi di privatizzazione del sistema sanitario, della scuola e del sapere, gli operatori della salute, studenti, lavoratori della scuola e genitori per un sapere critico e per una scuola inclusiva che rispetti i tempi e i bisogni di alunne e alunni; contro l’attacco costante al mondo del lavoro, contro il MUOS e le grandi opere nell’Isola (il Ponte sullo Stretto ecc.), i crimini socio ambientali che hanno investito i territori (le megadiscariche di rifiuti, i poli chimici e petroliferi inquinanti, i depositi di scorie nucleari, le trivellazioni in terra e mare aperto), le politiche economiche neoliberiste e i loro effetti in termini di perdita di diritti e precarietà; tutte e tutti coloro che hanno manifestato contro il razzismo a difesa dei diritti dei migranti, a promuovere una grande manifestazione di protesta nei giorni in cui saranno presenti in Sicilia i ministri del lavoro e dell’istruzione del G20″.
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