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A Est un nazionalismo tira l’altro

La settimana scorsa, pressoché in contemporanea con la notizia del vigile urbano brianzolo in divisa nazista, in Lituania veniva chiusa la trasmissione televisiva “Indovina la melodia”, sul canale nazionale LRT, dopo che una partecipante, avendo azzeccato il nome del compositore, un ebreo lituano, era scattata nel saluto nazista. La notizia è quantomeno singolare, dato che, di norma, in Lituania sono le trasmissioni in lingua russa che, con svariate “motivazioni”, vengono chiuse o sospese, come è il caso, al momento, del canale russo RTR-Planeta, vietato per l'ennesima volta per un periodo di tre mesi, col pretesto di aver ospitato un talk show in cui si “incitava all'odio e alla propaganda di guerra”.

In Lituania, più che casi come quello di LRT, sono consuete notizie quale quella del turista bielorusso, rispedito indietro al posto di frontiera lituano di Rajgardas, perché rifiutatosi di cancellare dalla propria auto una scritta giudicata “propaganda sovietica”. La motivazione addotta è stata che la stella sovietica e la scritta (il motto dei carristi sovietici nell'ultima guerra: “A Berlino”) sarebbero pericolose per la sicurezza nazionale, l'ordine pubblico, la stabilità o le relazioni internazionali di uno o più paesi UE. Era accaduta la stessa cosa ai bikers russi che, lo scorso 9 maggio, stavano percorrendo la cosiddetta “Strada della vittoria – a Berlino", con le moto decorate con simboli sovietici. Dal 2008 in Lituania è vietata ogni manifestazione di simbologia sovietica (in particolare la bandiera dell'Urss, falce e martello, stella rossa a cinque punte) equiparata a quella nazista e considerata propaganda di un "regime di occupazione".

Ma, se la simbologia nazista è formalmente proibita, in tutti e tre i Paesi baltici, ormai da oltre venti anni, sono all'ordine del giorno sfilate e commemorazioni pubbliche degli ex reggimenti nazisti formati da collaborazionisti locali, inaugurazioni di monumenti, anche alla presenza di alte autorità, a “eroi” nazionali macchiatisi di stragi e crimini di guerra al soldo delle SS. Nulla di diverso da quanto accade da tre anni in qua anche nell'Ucraina golpista, con l'elezione a eroe nazionale di Stepan Bandera, le fiaccolate in onore suo e delle formazioni filo-naziste dell'OUN-UPA, con l'esaltazione, alla Rada, da parte di deputati nazisti, di uno dei suoi più feroci comandanti, Miroslav Simčič.

Ma è la cosiddetta “eredità sovietica” a essere invisa alle autorità baltiche. Gli ambasciatori di Lituania, Estonia e Lettonia in Germania, come riporta Baltnews Litva, hanno ora chiesto ai media tedeschi di non usare più l'espressione di “ex Repubbliche sovietiche”, in riferimento ai loro tre paesi, i cui diplomatici si sarebbero sentiti offesi dalla dizione usata dalla Zeitonline, di paesi “eredi dell'Urss”. Secondo i tre ambasciatori, le repubbliche baltiche sarebbero state “occupate” e, dunque, non si può parlare di alcuna eredità. Ma, nota Baltnews.lt, se gli Stati baltici si dichiarano non successori della statualità dell'Urss e giuridicamente e politicamente non devono essere definiti “ex repubbliche sovietiche”, significa in tal caso che la Lituania è pronta ad abbandonare i propri territori in favore dei precedenti proprietari? E' chiaro che l'ambasciatore lituano Deividas Matulionis, scrive Baltnews.lt, non si rende conto che ciò può costituire un pericoloso precedente, soprattutto per l'integrità territoriale lituana, le cui frontiere furono definite alla fine della Seconda guerra mondiale, cioè quando la Lituania faceva parte dell'Urss. Ciò significa che Vilnius si considera erede della Prima repubblica lituana, proclamata nel 1918 e finita il 21 giugno 1940, allorché nel suo territorio non rientravano né Vilnius, né Klajpeda (la ex Memel, appartenuta alla Germania dal XIII secolo), incluse solo grazie all'Urss. Vilnius, ricorda Baltnews.lt, dal 1920 fu occupato dai polacchi del generale Lucjan Zeligowski e Wilno, con 6.000 kmq di territorio circostante, fu restituito alla Lituania nell'autunno del 1939, solo grazie al patto di amicizia sovietico-lituano. Klajpeda tornò alla Lituania solo nel 1945, alla conferenza di Potsdam. Se Berlino, nota il commentatore di Baltnews.lt, può non avanzare pretese sull'antica Memel, in cui non vivono quasi più tedeschi, Varsavia e i nazionalisti che sognano di resuscitare la Reç Pospolita, potrebbero invece puntare sulla regione di Vilnius, abitata in maggioranza da popolazione polacca. Ne sanno qualcosa, a proposito di pretese polacche, i neo-banderisti e neonazisti ucraini di Galizia, Volinia e in genere dell'Ucraina occidentale.

Sembra che la stessa stampa lituana abbia accolto abbastanza ironicamente la sparata dei tre ambasciatori, ricordando come l'attuale leadership del paese, nella stragrande maggioranza, inclusa la presidente Dalja Gribauskajte e il Ministro degli esteri, Linas Linkijavicjus, fossero stati a suo tempo attivisti della Gioventù comunista quindi dirigenti del PC lituano.

D'altronde, conclude Baltnews.lt, alle pretese baltiche di respingere ogni “eredità sovietica” e di equiparare la simbologia sovietica a quella nazista, rispondono in pari modo oltre frontiera: al Sejm polacco è stato presentato un progetto di legge volto a proibire “la propaganda dell'ideologia totalitaria”, equiparando il nazionalismo lituano al nazismo. Il Sejm intende stabilire giuridicamente che la Lituania, guidata tra il 1926 e il 1940 dal presidente Antanas Smetona, fu uno stato fascista. Nel disegno di legge polacco, come da copione, si pone ovviamente al primo posto, tra i regimi totalitari quello “sovietico”, seguito da “fascismo, nazismo tedesco” e immediatamente dopo dai “nazionalismi ucraino e lituano, e militarismo prussiano, russo e tedesco”. Un nazionalismo insegue l'altro.

Nei confronti dei “confratelli” di fede nazista e nazionalista, siano essi ucraini, polacchi o baltici, fedeli “osservanti di credenza europeista”, si adatta di nuovo benissimo quanto ripetuto dal grande Mao a proposito di tutti i reazionari: “sono degli stupidi; sollevano una pietra per farsela cadere sui piedi”.

 

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