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12 giugno: una Festa della Russia yankee-eltsiniana

E’ entrato ieri ufficialmente in vigore il regime di ingresso senza visti per i cittadini ucraini nei paesi UE. Il presidente Petro Porošenko ha dichiarato di vedere “qualcosa di simbolico” nel fatto che ciò sia avvenuto alla vigilia del 12 giugno, giornata in cui, da poco meno di trent’anni, la Russia celebra la Festa dell’indipendenza: “Finalmente siamo indipendenti l’uno dall’altro politicamente, economicamente e anche spiritualmente”, ha urlato Petro con la mano sul cuore – “all’altezza del portafoglio”, avrebbe detto il ragionier Fantozzi.

Alla sua citazione da Mikhail Lermontov – “Addio Russia sciatta, paese di schiavi, paese di signori, e voi, uniformi azzurre, e tu, popolo a loro fedele” – ha risposto il pronipote, omonimo del grande poeta russo: “ Porošenko avrebbe dovuto guardarsi allo specchio, dato che l’Ucraina è divenuta davvero schiava dei suoi signori d’oltreoceano”. “L’ucraina non tornerà mai più nell’Unione Sovietica” ha sentenziato Petro, “perché noi, libera e orgogliosa nazione democratica, torniamo nella famiglia dei popoli europei”, per indicar loro, ha evitato di aggiungere, il futuro che attende la democratica Europa. E per addomesticare le giovanissime generazioni a transitare senza visti verso l’Europa e sentirsi “finalmente indipendenti”, come ogni estate le formazioni “civili” dei battaglioni neonazisti organizzano lager in cui i piccoli “patrioti” imparano a odiare “i nemici della nazione”. Quest’anno, il “Corpo nazionale” del battaglione Azov ha aperto uno di quei lager nella parte occupata della regione di Donetsk.

Ma quale indipendenza celebra oggi la Russia? Il 12 giugno è ufficialmente la Festa della Russia: in quella data, nel 1990, il primo Congresso dei deputati del popolo della Federazione russa proclamò la sovranità della RSFSR rispetto all’URSS. Sempre il 12 giugno, un anno dopo, Boris Eltsin diventava il primo presidente della RSFSR. Ma, dato che larga parte dei russi aveva un atteggiamento negativo verso la dichiarazione di “sovranità” che, secondo loro, era alla base della liquidazione dell’URSS, il 12 giugno 1998 Eltsin decise di ridenominare la giornata in Festa della Russia.

Indipendenza, sovranità, Presidenza di una Repubblica sovietica rappresentavano i punti della strategia occidentale di “lavoro ai fianchi” dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Tant’è che l’accademico Jusef Kovalčuk, titola uno sterminato servizio su Sovetskaja Rossija con “Grazie agli USA per questa festa”. La denominazione della festa non è in fondo così importante, scrive: dell’Indipendenza, della Sovranità, della Russia. E inoltre, di quale Russia? Di quella zarista, di quella borghese-democratica? Della Russia bolscevica, che nel 1922, dopo la vittoria sull’intervento delle potenze occidentali, era più povera di 23 milioni di cittadini? Della Russia socialista, che dal 1922 al 1940 era tornata più ricca di 58 milioni di cittadini? Della Russia-URSS, che dopo la vittoria sul nazismo e la creazione del Comecon, nel 1950, contava 15,6 milioni meno cittadini rispetto a dieci anni prima? O ancora la Russia-URSS che nel 1987, all’inizio dello smantellamento dell’economia pianificata, contava 286 milioni di cittadini, cioè 108 milioni in più rispetto al 1961, allorché era stato adottato il “programma di costruzione del comunismo”? Oppure la Russia-URSS del mercato, del 1985-1991, smembrata in molti stati “sovrani” dalla quinta colonna addestrata dagli USA? O infine la RSFSR coloniale “democratica”, che gli Stati Uniti hanno chiamato Russia e che come risultato della “rivoluzione liberale di mercato” americana è più povera di 15 milioni di cittadini? Cittadini che, scrive Kovalčuk, “sono obbligati per legge a festeggiare, quale Giornata rappresentativa, lo smembramento dell’URSS e la trasformazione della RSFSR nella morente Russia democratica coloniale”.

Il 1 giugno 1992 il governo Eltsin-Gajdar sottoscriveva la “Lettera di intenti” con il FMI, con cui si impegnava, nel passaggio all’economia di mercato, ad adottare solo norme, codici e Costituzione dettati dal FMI. Dunque, nota Kovalčuk, il 12 giugno 1992 è una data fondamentale: la direzione della Russia passa in mani straniere. La Costituzione eltsiniana del dicembre 1993, nata dalle cannonate contro il Parlamento russo del 3-4 ottobre precedenti, stabiliva che “Se con un accordo internazionale sono stabilite in Russia norme diverse da quelle fissate dalla legge, allora prevalgono quelle dell’accordo internazionale”. In tal modo, conclude Kovalčuk, entrava nel vivo quella “guerra informativa” che, tramite la quinta colonna interna della “perestrojka gorbacioviana” e delle “riforme eltsiniane”, gli USA e i G7 avevano programmato al posto della guerra fredda, dettando a Mosca gli obblighi imposti da FMI, IBRD, EBRD, OECD per il passaggio al mercato.

Una quinta colonna addestrata alla corruzione (5 trilioni di dollari con cui George Bush aveva finanziato la guerra “ideologica” all’URSS; cui possono aggiungersi i 5 miliardi di dollari con cui Barack Obama ha finanziato il golpe in Ucraina); al genocidio (gli oltre 20 milioni di russi, tra morti e non nati negli anni ’90, grazie alle “riforme eltsiniane”); all’oligarchia compradora (quella che tutt’oggi si arricchisce svendendo le ricchezze naturali del paese); ad agire come agenti stranieri (secondo la legge n.121 adottata dalla Duma nel 2012: le ONG che ricevono fondi dall’estero per condurre programmi stranieri nell’interesse di stati stranieri): categorie, queste, che possono adattarsi alla squadra eltsiniana di quei giorni, impegnata a tradurre in pratica il programma di “Passaggio al mercato” dettato dal famigerato Jeffrey Sachs; programma che, nella sostanza, è continuato dall’attuale squadra di governo.

Dunque, in Russia, il 12 giugno si festeggia la “sovranità” proclamata nel 1991; “sovranità” che la Bielorussia aveva decretato il 27 luglio di quell’anno e l’Ucraina il 24 agosto. Una comune ansia di “sovranità”, aveva unito 26 anni fa Mosca, Minsk e Kiev; oggi, qualcuno sembra voler fare da trait d’union tra una “Russia senza Putin” e un’Ucraina “integra nel suo territorio”.

Nel dicembre 1991, riuniti nella Belovežskaja pušča, Boris Eltisn (la cui vedova chiede ora di considerare “sacra” la sua epoca), Stanislav Šuškevič (insignito della medaglia della “Libertà Truman-Reagan” dal Fondo USA in memoria delle vittime del comunismo) e Leonid Kravčuk (che chiedeva a Porošenko di accelerare la separazione dell’Ucraina dal “territorio occupato” del Donbass, dove “vivono non solo banditi e separatisti, ma anche patrioti”) rincorrendo l’indipendenza, disfacevano a tavolino l’Unione Sovietica.

Oggi, scrive news-front.info, il “dissidente” russo par excellence dei media occidentali, Aleksej Navalnyj, definendosi “più ucraino nelle mie radici e nella genetica”, si incarica di portare una propria majdan in Russia. E il consigliere del Ministero degli interni ucraino, Ilja Kiva ha invocato la misericordia di “Dio per noi e per Navalnyj, affinché gli bastino le forze per sollevare quell’insurrezione che taglierà la testa all’idra del Cremlino, che semina morte sulla terra”. Chiamano a sostenere il blogger del “Fondo anti corruzione” anche vari comandanti di battaglioni neonazisti, mentre “Ucraina oggi” inserisce Navalnyj nell’elenco degli “amici dell’Ucraina”, a fianco di altri dissidenti russi quali Khodorkovskij, Makarevič, Gudkov. Non pago di aver appoggiato sin dall’inizio il golpe majdanista, oggi Navalnyj promette, in caso di vittoria alle presidenziali in Russia, di dare all’Ucraina il controllo delle frontiere con la Russia, vale a dire, fare terra bruciata di quel Donbass delle Repubbliche popolari che, però, non accetteranno più il dominio della Kiev golpista.

Per fortuna, quel 1991, allorché Eltsin urlava a ogni repubblica, regione o distretto “Prendetevi quanta più sovranità potete”, ha generato oggi la sovranità popolare contro i nazisti di Kiev.

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