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Napoli. L’ossessione degli sfratti provoca una strage

Oggi a Napoli si è consumata un’altra storia di miseria ed esclusione. Noi vogliamo raccontarvela con le parole di una nostra compagna che vive proprio in quel quartiere:

“Mi sveglio relativamente tardi dopo una nottata turbolenta. Mi siedo in cucina quando un boato fortissimo fa saltare tutti dalle sedie. Qualcosa è esploso. Un nuvolone di cenere avanza nel vicolo, c’è puzza di gas e bruciato, i bambini in strada urlano e scappano. Scendono tutti, Napoli è così: i problemi si vivono insieme, riunendoci in strada.

Tra le corse dei pompieri e la paura di tutti quella finestra da cui sbuffava un fumo denso e grigio diventa una storia, raccontata a tentoni tra urla, lacrime e sgomento: in quell’appartamento all’ultimo piano vivevano una madre con i due figli. Tutti avevano problemi di carattere psicologico e handicap fisici. Per loro era arrivato uno sfratto imminente, ma una vita di miseria e solitudine ha spinto il ragazzo a cospargere la casa di alcool e dare fuoco alla cucina. Con la madre e la sorella in casa.

Gli abitanti del vicolo sono ciechi di rabbia. Qualcuno ha perso la casa ed è scappato un secondo prima di rimetterci la pelle, tutti fiutano il disastro scampato. Tanta, tanta polizia ma pochissimi medici, le barelle portate da chi si trova lì. Sono per una ragazza pallida, accasciata su una sedia, le sue dita tremano e seguono il bordo della sedia per poi scivolare sul pantalone e toccare i calcinacci di cui è completamente ricoperta.

Poi tirano fuori anche il fratello, è magrissimo, privo di sensi, gli occhi bui si perdono sull’asfalto grigio su cui l’hanno disteso. La madre è morta nell’esplosione. Quando le barelle vengono portate via si levano urla di sdegno, si augura la morte. Mi si gela il sangue. C’è solo odio nell’aria. Nessuno parla della solitudine che ha spaccato la vita di una famiglia, della loro estrema povertà, dei servizi che non hanno mai ricevuto, dell’assistenza medica lenta e inconcludente.

Se fossi stata accanto alla finestra del bagno probabilmente non sarei qua a scrivere ma questo non fa che suscitare in me un dolore profondo. Perché quello che è successo ha radici molto più profonde del semplice disagio psicologico. È uno stato che condanna i suoi cittadini all’agonia. Noi abbiamo un’arma: è la solidarietà, è l’amore, è la lotta. Io oggi ho sentito come in pochi episodi la precarietà dell’esistenza e so che voglio vivere, fare mie e diffondere finché ho fiato quelle tre parole: vogliamoci bene, contro chi ci vuole divisi anche se siamo sulla stessa barca, facciamo gruppo e aiutiamoci a vicenda, solo combattendo insieme siamo veramente forti.

Mentre la strada viene sbarrata dalla polizia si affaccia da un basso con il cancello pitturato di verde una donna anziana, capelli bianchi ,occhi grigi che quando passi ti saluta sempre con un sorriso vivace. Alza la mano, non sorride, guarda nel vuoto, chiude lentamente la porta. Sarà una giornata amara”.

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