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Il capitalismo-colonialismo-imperialismo ha creato il caos del mondo in cui viviamo!

Nelle miniere di coltan

Nelle attuali emergenze globali si sta diffondendo la cognizione che la responsabilità della devastazione del mondo è dovuta al sistema di sfruttamento capitalistico, dell’uomo e della natura. Sarebbe necessario che si passasse dalla cognizione a una solida consapevolezza, fondata sull’effettiva conoscenza dei crimini del capitalismo, dei quali soprattutto i giovani non penso siano a conoscenza (dubito molto che a scuola li apprendano!).

Cerco qui di richiamare quelli che mi sembrano principali o significativi, ovviamente senza pretesa di fare un “corso di storia”, che esulerebbe dalle mie conoscenze e capacità. Nell’era dei messaggi telegrafici via WhatsApp o Twitter questa lettura potrebbe risultare ostica, ma dobbiamo contrastare questa tendenza anche concretamente, proponendo qualche materiale più impegnativo.

Le radici violente del capitalismo

Il dominio dell’Europa nel mondo è stato imposto storicamente esercitando una violenza estrema e disumana sugli altri popoli, spesso sterminandoli, e cercando di sradicare le loro fedi e il corpo delle loro conoscenze. Nella seconda metà del secolo XVI e nel secolo XVII fu imposta la supremazia assoluta dell’aristocrazia europea (maschile) cattolica, e la sua estensione con il dominio coloniale sulle Americhe. La civiltà europea ha conquistato il mondo cercando di imporre con violenza inaudita i modi di pensare, agire, vivere al resto dei popoli del mondo, cercando di eliminare fisicamente intere popolazioni (genocidio), e di sradicare e cancellare l’identità culturale, le conoscenze, le credenze (epistemocidio) diverse dalle proprie. A parte la brutale violenza operata, questo processo determinò l’instaurazione ed imposizione di una visione del mondo, i “valori” dell’«uomo [maschio]-europeo-capitalista-militare-cristiano-patriarcale-bianco-eterosessuale»1.

Si trattò di una accumulazione per brutale espropriazione (delle ricchezze, della cultura, dei saperi, delle sensibilità), le cui fasi cruciali, e caratterizzanti, furono

  • la liberazione definitiva alla fine del XV secolo della Spagna che era stata conquistata dagli Arabi, attuando un feroce genocidio/epistemicidio dei musulmani e degli ebrei;

  • la successiva conquista del continente americano, attuando il genocidio/epistemicidio nei confronti dei popoli indigeni; e successivamente la schiavizzandone degli africani nel continente americano;

  • il genocidio/epistemicidio delle donne, cioè la soppressione di qualsiasi forma si autonomia, di sapere, di visione del mondo, di attività – ed anche l’eliminazione fisica – delle donne.

Il mito della “scoperta” dell’America, poi della conversione dei “selvaggi”, mascherò quello reale della “conquista”, e poi della “espropriazione” e dello “sfruttamento” (questo si selvaggio). Grosfoguel distingue la seguente progressione (pp. 48, 51, 54) molto espressiva, basata sempre sull’imposizione e la violenza:

  • secolo XVI, conversione dei selvaggi e barbari: cristianìzzati o ti sparo,

  • secoli XVIII-XIX, missione civilizzatrice, colonialismo: civilìzzati o ti sparo,

  • secolo XX, progetto sviluppista: svilùppati o ti sparo,

  • secolo XXI, interventi militari per la “democrazia” e i “diritti umani”: democratìzzati o ti sparo.

Aggiungerei semmai che … si è sparato lo stesso!

Per impossessarsi delle ricchezze del continente fu compiuto il più efferato genocidio della storia moderna. Si valuta che tra i 50 e i 100 milioni di nativi [su una popolazione mondiale che nel XVI secolo si stima attorno a 500 milioni] morirono a causa dei colonizzatori, come conseguenza di guerre di conquista, perdita del loro ambiente, cambio dello stile di vita e soprattutto malattie contro cui i popoli nativi non avevano difese immunitarie, mentre molti furono oggetto di deliberato sterminio poiché considerati barbari. Per secoli questa barbara, spietata conquista è stata celebrata come una storia di successo per l’intero pianeta! Ancora nel 1992, in occasione del cinquecentenario, in tutto il mondo si sono organizzate celebrazioni solenni, il 12 ottobre rimane conosciuto nel mondo come il Columbus Day, ricorrenza che negli Usa è festa nazionale. Tra le tante pagine oscure della storia dell’umanità poche hanno goduto di una falsificazione tanto sfacciata quanto il genocidio dei nativi americani, dove i crimini commessi sono stati non solo rimossi ma anzi invertiti di senso e glorificati2.

Non da meno fu la formazione degli Stati Uniti d’America realizzata attraverso lo sterminio dei popoli indigeni, i cosiddetti “pellerossa”, mistificato con il mito della “Frontiera”, la “conquista del West” glorificata per decenni dall’epopea cinematografica del film western in cui venivano rappresentati gli “indiani” cattivi! Chiamiamolo col suo nome: un orrendo genocidio!3 La “Conquista del West” non fu che l’anticipazione della visione del “destino manifesto” che trovò forma nel 1823 nella “Dottrina Monroe” che espresse spudoratamente il diritto della supremazia degli USA sull’intero continente, e sarebbe stata messa in pratica nei due secoli successivi.

Parallelamente procedeva la colonizzazione del corpo delle donne, l’eliminazione della cultura e dell’autonomia delle donne europee, che culminò con la caccia e i roghi delle “streghe” dei secoli XVI e XVII. Le donne dominavano la conoscenza indigena in epoche antiche, il loro sapere copriva tanti ambiti, l’astronomia, la medicina, la biologia, l’etica, ecc.: esse custodivano un sapere ancestrale, e nelle cocaosmunità controllavano forme di organizzazione economica, politica e sociale4. Come osserva Grosfoguel, nell’epistemicidio contro i musulmani e i popoli indigeni vennero bruciati migliaia di libri che contenevano il patrimonio culturale, ma nel caso delle donne europee, in larga parte analfabete per la loro condizione subalterna, la trasmissione del sapere avveniva di generazione in generazione attraverso la tradizione orale, per cui vennero bruciati i loro corpi! Il patriarcato non è stato un’eredità del passato, ma è stato al contrario rifondato per intero dal capitalismo5.

Ma dopo avere sterminato indiscriminatamente nelle Americhe le popolazioni indigene, quando si trattò di passare allo sviluppo intensivo delle piantagioni di canna da zucchero, il nuovo “oro bianco”, la mano d’opera locale si rivelò gravemente insufficiente: nessun problema, anzi una nuova occasione per fare lauti profitti, sviluppando la brutale tratta degli schiavi neri deportati dall’Africa. Per più di tre secoli, dal XVI alla fine del XIX, milioni di persone furono comprate in Africa e deportate come schiavi. Molti afroamericani e africani chiamano questo fenomeno black holocaust, o olocausto africano (o si riferiscono a questo olocausto con il nome maafa, in lingua swahili: “disastro”, o “avvenimento terribile”, “grande tragedia”, come la nakba per il popolo palestinese).

Lo sfruttamento inumano di questi schiavi ha costituito il fondamento dell’arricchimento delle èlite coloniali e dei paesi europei. Sul numero degli schiavi deportati dall’Africa fra il 1450 e il 1850 si hanno ovviamente solo stime, quella che sembra più attendibile basata sul Trans-Atlantic Slave Trade Database è di 12,5 milioni6, dei quali solo 10,7 milioni sopravvissero alla traversata: se si è considerato doveroso istituire un “Giorno della Memoria” dei 6 milioni di ebrei sterminati dal nazismo (ma ricordiamo meno le stragi dei Rom o degli omosessuali), quando istituiremo un “Giorno della Memoria della Tratta degli Schiavi” e riconosceremo dovuti risarcimenti7?

Il colonialismo alla base della Rivoluzione Industriale

L’impero coloniale olandese sorse all’inizio del secolo XVII in Asia, Africa e America Settentrionale. Gli Olandesi arrivavano nelle isole delle spezie e con ogni mezzo, anche il più violento, imponevano la monocultura della spezia locale.

I Paesi Bassi) e l’Inghilterra concessero monopoli per il commercio sia le “Indie Occidentali” (America) e con le “indie Orientali” (Asia e Sudafrica), sorsero grandi compagnie per azioni, con flotte sia commerciali sia da guerra, e soldati: nel 1669 la Compagnia Olandese delle Indie Orientali possedeva 40 navi da guerra, 150 navi cargo e 10.000 soldati che difendevano i trasporti. Le Compagnie dominarono nei secoli XVII-XVIII la colonizzazione del mondo, lo sfruttamento brutale degli altri continenti e la costruzione di un mercato mondiale sotto l’egemonia europea.

Lo sfruttamento coloniale fu un fattore decisivo per il decollo della Prima Rivoluzione Industriale in Inghilterra (senza dimenticare il lavoro riproduttivo e domestico come fattore dell’accumulazione primitiva). Il cotone costituì l’ossatura della nascente industria. L’India rappresentò il prototipo del nuovo colonialismo d’insediamento, che trasformò le efferatezze e i genocidi della conquista del Nuovo Mondo in sfruttamento brutale e inumano. Nel corso del XVIII secolo la decadenza dell’impero moghul permise agli inglesi di estendere il controllo sull’India.

Forse non è molto noto che la droga non è solo un problema odierno, ma è stata un fattore importantissimo della Rivoluzione Industriale: l’oppio, ricavato dal papavero, divenne una merce acquistabile a basso prezzo, promuovendone l’abuso di massa. Gli inglesi disponevano delle enormi piantagioni d’oppio dell’India, e sfruttavano la mano d’opera a costi irrisori. In Inghilterra, dove inizialmente l’oppio era riservato ad aristocratici e artisti, esso si diffuse tra le operaie e gli operai dei distretti industriali e dei villaggi agricoli vicini alle fabbriche, che lo usavano per sopportare meglio i ritmi della fabbrica. La droga dava un sostegno all’organismo attraverso l’oblio e dissimulando uno stato mentale e fisico efficiente, ma produceva una immediata dipendenza. Lo spaccio di questo stupefacente era clandestino ma era accessibile nelle drogherie, dove era l’articolo di più facile smercio: il suo costo era inferiore a quello dell’alcol. Ma la disarticolazione delle famiglie operaie e lo sfruttamento eccessivo del lavoro delle donne ebbe altre conseguenze drammatiche, poiché costringeva moltissime operaie non solo a non poter prendere cura dei loro neonati, lasciandoli nel corso della lunghissima giornata a se stessi o a vicini di casa, ma a stordirli con droghe per renderli inerti e controllabili8. Lo sviluppo del capitalismo vanta anche, un vero infanticidio di massa che fece crescere la mortalità infantile a livelli altissimi.

L’oppio divenne la materia prima che finanziò l’impero britannico in India9: da solo forniva agli Inglesi tra il 17 e il 20% del totale delle entrate indiane (senza tenere conto degli altri profitti generati dal trasporto o le varie industrie dell’indotto).

Una delle pagine nere del colonialismo britannico l’operazione di colmare un forte deficit interno imponendo con le cannoniere, con un atto di violenza imperiale, all’India e soprattutto all’immensa Cina di acquistare tonnellate di oppio, falcidiando un popolo per qualche generazione! Nel 1839, quando la Cina propose un trattato per la cessazione del traffico, scoppiò la Prima Guerra dell’Oppio (1839-1842): una flotta di ben quaranta navi partì dall’Inghilterra per assediare Canton, e la tecnologia degli inglesi fu determinante sulla superiorità numerica dei soldati cinesi. Fu la prima guerra il cui esito venne deciso dall’impiego di cannoniere azionate da forza vapore.

Ma per l’Impero Cinese il peggio doveva ancora venire. La Francia fiutato l’affare provocò un casus belli che diede inizio alla Seconda Guerra dell’Oppio (1856-1860), le forze Anglo-Francesi entrarono a Pechino, saccheggiandola. Il grande Impero del Sol Levante era finito e con esso la filosofia, e anche il più antico sistema medico conosciuto ebbe quasi a scomparire. Con questa disfatta la Cina dovette cedere Hon Kong al Regno Unito. Law and order fu la parola d’ ordine della penetrazione inglese in Cina. L’oppio fu il grimaldello di questa svolta della storia mondiale.

Il colonialismo moderno, l’imperialismo: conquista, saccheggio, epistemicidio dell’Africa

Nell’Ottocento lo sfruttamento coloniale conobbe una trasformazione epocale: mentre i paesi di prima colonizzazione in America Latina raggiungevano l’indipendenza dalla Spagna e dal Portogallo, gli altri Stati europei si gettarono alla brutale conquista e al saccheggio dell’Africa e dell’Asia. La colonizzazione dell’Africa inaugurò la fase imperialista, volta al rafforzamento della potenza internazionale, all’estensione dei commerci, all’esportazione del surplus della produzione in patria, all’accaparramento delle grandi miniere d’oro e di diamanti, all’esportazione di capitali. La Gran Bretagna dominò le conquiste coloniali, proclamando nel 1876 l’Impero Britannico (che aggiungeva ai 244.000 kmq dell’isola un territorio 100 volte superiore “conquistato” nei cinque continenti, e sarebbe arrivato a 150 volte nel 1914). Una vera “gara” con ogni mezzo si sviluppò fra L’Inghilterra, la Francia (che nel 2014 raggiunse quasi un terzo dell’estensione dell’Impero Britannico), il Belgio, l’Olanda, la Germania, le Russia, e buon ultima l’Italia.

Le atrocità commesse dal colonialismo nell’Ottocento sono inenarrabili! Valgano pochi esempi.

Il Congo (che quando io ero bambino veniva ancora chiamato “Congo Belga”: ma quante persone sanno che nei secoli XIV-XV vi era stato un potente Regno del Congo10? Poi, da lì vennero deportati 4 milioni di schiavi verso l’America). Dal 1895 possedimento personale del cattolicissimo re Leopoldo II del Belgio (che lo chiamò eufemisticamente “Stato Libero del Congo”), il paese fu soggetto a uno sfruttamento talmente brutale da fare 10 milioni di vittime in 23 anni11 (moltissimi altri vennero ridotti in schiavitù e orribilmente mutilati): un vero genocidio, in cui perì quasi metà della popolazione congolese, stimata a circa 20-25 milioni di abitanti nel 1880. Anche i bambini di pochi anni erano costretti a lavorare per 10-12 ore nelle piantagioni di re Leopoldo. Se oggi l’opinione pubblica ignora questa, e altre orribili carneficine compiute ai tempi della colonizzazione europea in Africa, lo si deve anche al fatto che gli autori dell’eccidio fecero in modo da nascondere le proporzioni e le prove dei loro scempi: quando nel 1908 Leopoldo cedette ufficialmente la propria colonia al governo del Belgio, egli fece bruciare per otto giorni consecutivi gli archivi dei suoi possedimenti congolesi, e ridusse al silenzio i testimoni scomodi. A riportare alla luce l’ecatombe congolese sono stati i pochi documenti amministrativi rinvenuti dagli storici, e soprattutto le centinaia di impressionanti fotografie scattate da reporter indipendenti o da missionari ai tempi dei massacri12. Le risorse più sfruttate erano l’avorio e il caucciù, il Congo fu uno dei più grandi serbatoi mondiali di questo prodotto fondamentale per l’industrializzazione dell’Occidente: fu un certo sig. Goodyear che nel 1835 scoprì, per caso, la gomma vulcanizzata (e di lì a poco la gomma sintetica avrebbe soppiantato quella naturale).

L’Australia fu scoperta solo nel 1770 da James Cook. Vi vivevano probabilmente almeno 1 milione di “Aborigeni”, ma la dottrina giuridica della “terra nullius” (terra di nessuno) dichiarò che il quinto continente era disabitato! Questo perché nella cultura degli Aborigeni non era presente il concetto di proprietà terriera bensì quello di appartenenza dell’individuo alla terra d’origine. Cominciò la caccia per lo sterminio degli Aborigeni e la conquista delle loro terre. Il fenomeno più obbrobrioso è stato quello delle Stolen generations (Generazioni rubate), che si è protratto dal 1870 a ben il 1970! I bambini venivano strappati alle loro famiglie per privarli della loro identità culturale, rieducati ai costumi britannici per impiegarli come servi per le famiglie dei colonizzatori. Tra il 1910 e il 1970, almeno 100.000 bambini furono allontanati dalle loro famiglie.

L’ultima strage di aborigeni accertata é avvenuta nel 1928, con il barbaro massacro di un centinaio tra bambini, donne e uomini perché non volevano cedere un ultimo lembo di terreno. Nel 1930 sopravvivevano solo 80.000 aborigeni. Solo nel 1992 la Suprema Corte australiana dichiarò l’invalidità della dottrina della “terra nullius”. Tra il 1995 e il 1997 fu condotta un’inchiesta sull’allontanamento di bambini australiani aborigeni dalle loro famiglie, e nel 1998 fu istituito il National Sorry Day. Solo il 13 febbraio 2008 il neo-primo ministro australiano Kevin Rudd si è scusato ufficialmente con le popolazioni e con i sopravvissuti delle Stolen Generations. Secondo la Convenzione del’ONU per la Prevenzione e Repressione del Genocidio del 1948 il “trasferimento violento dei minori da un gruppo all’altro” integra gli estremi del genocidio.

Namibia. Nel 1884 il Cancelliere tedesco Bismarck dichiarò “colonia tedesca” un’area corrispondente a gran parte della Namibia moderna, chiamata “Africa Tedesca del Sud-Ovest”. Gli occupanti tedeschi si appropriarono con la violenza delle terre (molte ancora oggi in mano a discendenti dei colonizzatori) e misero in schiavitù gran parte della popolazione. Nel 1904 i coloni tedeschi effettuarono uno sterminio di immense proporzioni, che però è stato dimenticato fino a poco tempo fa. In seguito alla rivolta dei popoli Herero e Nama contro le violenze dei conquistatori, il governo di Berlino inviò il famigerato Lothar von Trotha, la cui strategia fu l’annientamento totale, ricorrendo anche all’avvelenamento dei pozzi d’acqua, decimando per fame e sete la popolazione civile. Dopo aver sconfitto i Herero nella battaglia di Waterberg (1904), il generale ordinò di spingere i rivoltosi sopravvissuti verso le propaggini desertiche del Kalahari, dove morirono a migliaia di fame e sete. Sorte non migliore toccò ai Nama, gran parte dei quali morì in veri e propri campi di concentramento, di malattie, fame e stenti. Le stime degli storici parlano di almeno 100.000 morti tra Herero, Nama e altre etnie tra il 1904 e il 1908. Per lo storico del colonialismo Jurgen Zimmerer: “La differenza della Namibia con gli altri colonialismi è anzitutto il genocidio come guerra dello Stato, e non come espressione di violenza privata. … una pulizia etnica sistematica e centralizzata”13.

Per gli storici le tecniche di strage di massa precorsero quelle utilizzate per gli ebrei. «La distruzione dei popoli coloniali fu una preparazione all’Olocausto – scrive Hannah Arendt ne Le origini del totalitarismo – i campi di raccolta e le impiccagioni di massa degli Herero, un gigantesco e infernale addestramento ai campi di concentramento nazisti». Dietro gli atti atroci, inoltre, erano presenti ideologie razziali e pseudoscientifiche molto simili a quelle che informeranno lo sterminio degli ebrei, anche se era la “razza” nera a essere considerata inutile o nociva per gli interessi della popolazione tedesca. Alcune vittime diventarono cavie umane per gli esperimenti medici di Eugene Fischer, uno scienziato tedesco che condusse studi sulla “razza” e sperimentò la sterilizzazione e l’inoculazione di malattie come vaiolo, tifo e tubercolosi su donne e bambini. Tra gli allievi di Fischer, diventato poi rettore all’Università di Berlino, ci fu Josef Mengele, che in seguito condusse esperimenti genetici sui bambini prigionieri nel lager di Auschwitz.

Solo pochi anni fa sono iniziati negoziati fra la Germania e la Namibia e sono in corso azioni legali per ottenere “compensazioni” per le popolazioni namibiane.

Le richieste di risarcimento e riconoscimenti per l’orribile passato colonialista stanno ora fluendo dal Pakistan, dall’India e da altri paesi che sono stati devastati dal razzismo e dall’imperialismo europei. Il caso namibiano potrebbe mettere in moto l’intero pianeta, poiché è quasi il mondo intero che è stato devastato dal colonialismo europeo.

L’Impero Britannico crea il caos in Medio Oriente

Fino alla Prima Guerra Mondiale tutto il Medio Oriente faceva parte dell’Impero Ottomano.

Per capire le vicende seguenti si consideri che almeno per tutto l’Ottocento il concetto di “frontiera” era sconosciuto e fu il colonialismo con la logica di rapina che cambiò radicalmente le cose: la furiosa competizione tra le potenze europee pose l’esigenza di demarcare le conquiste dei singoli Stati stabilendo le basi della “legalità” (coloniale) del possesso dei territori. Un concetto del tutto strumentale di “legalità” che ha dato fondamento giuridico formale alla predazione delle terre dei popoli che vi vivevano da secoli, considerandole anche qui terre “di nessuno”.

L’evento epocale fu a fine Ottocento la comparsa del petrolio: la lotta per il controllo del petrolio divenne frenetica, rendendo sempre più inevitabile un conflitto mondiale. Di fronte alla crescente potenza militare dell’Impero Tedesco, che varò la costruzione di una poderosa flotta azionata con il carbone di cui la Germania era ricca, la Gran Bretagna reagì con la conversione della propulsione navale al petrolio, molto più efficiente. Il petrolio divenne una risorsa vitale.

La Gran Bretagna impostò in vista della guerra uno spregiudicato doppio gioco nei confronti degli arabi, per assicurarsi l’appoggio nella guerra imminente contro la Turchia, fornendo a tutti garanzie inconciliabili fra loro di concessioni e diritti successivi al conflitto14.

Così nel giugno 1915 lo sceriffo Hussein che governava La Mecca proclamò la rivolta araba a fianco di Londra (consigliato militarmente dal colonnello britannico Lawrence, detto Lawrence d’Arabia): gli inglesi lesinarono i mezzi agli arabi, perché non volevano trovarsi una nuova potenza araba una volta sconfitti i turchi. Nel frattempo Londra e Parigi avviarono alle spalle degli arabi trattative segrete per decidere la spartizione del Medio Oriente dopo la sconfitta dell’Impero Ottomano. Con vari tiremmolla (per il controllo dei pozzi petroliferi) conclusero nel 1917 l’accordo detto Sykes-Picot (dai nomi dei negoziatori) che, per procurarsi l’appoggio militare, forniva alla Russia zarista garanzie che annullavano la prospettiva di uno stato per il popolo armeno (che nel 1915 aveva subito lo spaventoso genocidio da parte della Turchia), e giocando cinicamente la carta sionista sulla pelle degli arabi. A fine Ottocento Teodoro Herzl aveva posto l’obiettivo della creazione in Palestina – abitata da 600.000 arabi a fronte di 25.000 ebrei – di una sede nazionale per il popolo ebraico, e nel 1917 con la “Dichiarazione Balfour”, “Il governo di Sua Maestà considera[va] favorevolmente l’insediamento di un focolare nazionale in Palestina per gli ebrei”.

L’imprevista Rivoluzione Bolscevica guastò i calcoli, determinando il ritiro della Russia dal conflitto con la pace separata di Brest-Litowsk, marzo 1918 (gli accordi Sykes-Picot vennero allo scoperto perché una copia fu trovata negli archivi del ministero degli Esteri russo).

Dopo la fine del conflitto gli accordi di spartizione furono difficilmente applicabili, soprattutto per il controllo del petrolio (guastarono la festa anche gli Stati Uniti, che dopo l’intervento nella guerra reclamavano la loro parte): dopo travagliate trattative le brutali spartizioni crearono i problemi drammatici che ancora oggi segnano il mondo! Anche nei Balcani gli interessi delle potenze vincitrici imposero di spostare confini e ridefinire appartenenze statuali senza tenere in nessun conto la composizione etnica dei singoli territori che passarono da uno Stato all’altro.

In Medio Oriente i popoli curdo e armeno vennero cinicamente sacrificati. La Francia ottenne il protettorato della regione siriana che, per mettere sotto controllo le conflittualità, spezzò in 5 Stati. Gli inglesi lasciata la Siria e ritirarono in Palestina e in Iraq, dove proseguirono dopo la firma dell’armistizio con la Turchia l’offensiva militare per occupare i campi petroliferi di Mossul, incontrando una fiera opposizione popolare degli arabi. Il nazionalismo arabo si sviluppò irrimediabilmente e non poteva più essere frenato, alimentato dai soprusi degli europei.

Nel 1921 gli inglesi crearono in Iraq un apparato statale formale, disconoscendo che il paese era composto da Kurdi, Turkmeni, musulmani sciiti e sunniti, e imponendo un trattato di sostanziale dipendenza: la Gran Bretagna fece profitti favolosi concedendo per 75 anni i diritti sul petrolio iracheno alla Turkish Petroleun Company, controllata da Londra, che si trasformò in British Petroleun Company.

Risolto il controllo del petrolio, furono definite, artificialmente, le frontiere.

Gli errori e i soprusi degli inglesi in Iraq e dei francesi in Siria produssero danni irreparabili nel futuro del Medio Oriente!

La Gran Bretagna divise artificialmente la Transgiordania in Palestina e uno Stato inventato, che diventò più tardi la Giordania. E sulla Palestina impose un protettorato, di fatto un’occupazione militare, e praticò una sistematica politica di impoverimento e vessazione della popolazione araba. Nel 1936 esplose la grande rivolta araba, che si protrasse fino al 1939 e fu l’atto di nascita del nazionalismo palestinese. Maturarono i prodromi della formazione dello Stato di Israele del 1948. Basti qui ricordare che negli anni Trenta i sionisti svilupparono una campagna di terrorismo verso gli inglesi che assunse le caratteristiche di una vera guerra di logoramento: sabotaggi, attentati dinamitardi, rapimenti di militari, ecc. D’altronde la Gran Bretagna vacillava in tutto il suo impero, in quel periodo si ritirò dalla Birmania e dall’India.

Le manovre britanniche portarono anche alla proclamazione nel 1932 del regno dell’Arabia Saudita, cioè Arabia dei Saud, che si fondò sul wahabismo radicale come religione di stato15: i potenti Saud hanno meno di un secolo. Gli inglesi sbarrarono però la strada al controllo saudita sul Kuwait, per i propri interessi imperiali, e privando allo stesso tempo l’Iraq dello sbocco al mare.

Ingiustizia era fatta! La strategia del “caos creativo” perseguita oggi dai neocons statunitensi non è in fondo nulla di nuovo, l’aveva inaugurata l’Impero di Sua Maestà Britannica un secolo fa.

Anche se la IIa Guerra Mondiale non investì direttamente il Medio Oriente (perché i nazisti furono sconfitti in Russia e fermati in Africa e nei Balcani, dove preparavano l’attacco alla Turchia) esplose nella regione il movimento nazionalista, con una fortissima caratterizzazione anti-britannica. Alla fine del conflitto la Gran Bretagna controllava tutto il medio Oriente.

Dopo la fine della guerra si esasperarono, oltre all’insofferenza delle popolazioni, rivendicazioni territoriali tra gli Stati “inventati”, aggravate dalla competizione senza quartiere fra le compagnie petrolifere (e pertanto fra Londra e Washington): si tenga presente che prima della scoperta del petrolio nessuno aveva sentito il bisogno di tracciare confini precisi nei vari emirati della zona del Golfo, i quali pure si contendevano la sovranità su diverse zone.

In Palestina il cambiamento fu quando l’appoggio all’operazione sionista passò dagli inglesi agli americani, i quali puntarono a costituire un baluardo strategico in una regione (resa) così instabile: un baluardo tuttora intoccabile! La formazione dello Stato di Israele nel 1948 rientra quindi pienamente nella strategia di rapina attuata in Medio Oriente.

Dopoguerra, cambia il metodo rimane lo sfruttamento

Mi sono già dilungato troppo, ma un cenno sintetico sul dopoguerra è necessario. I processi di decolonizzazione hanno solo cambiato le strategie di rapina degli ex-colonizzatori, riciclatisi in neo-colonialisti. I paesi colonialisti prima di cedere compirono ovunque repressioni feroci, come quelle della Francia nella Guerra d’Algeria 1954-1962. E durante tutto questo travagliato processo le potenze Occidentali hanno sistematicamente complottato e operato per eliminare i leader progressisti “scomodi” che intendevano svincolarsi dal loro dominio (basti ricordare gli assassinii di Patrice Lumumba, Congo 1961; Thomas Sankara, Burkina Faso 1987) e insediare al potere regimi oscurantisti o dittatoriali molto più malleabili per i loro fini.

In Medio Oriente iniziò una successione di colpi di stato e cambiamenti di regimi, iniziata dal golpe organizzato dalla Cia in Iran nel 1953 per deporre il primo ministro Muhammad Mossadeq, il quale aveva proposto niente meno che di nazionalizzare la Compagnia anglo-iraniana del petrolio!

Ma intanto in quei paesi e in quei popoli si è sviluppata una coscienza civile, e con questa la consapevolezza dei danni profondi subiti durante la dominazione coloniale. Come possiamo stupirci del profondo risentimento verso i nostri Paesi? Questa consapevolezza sta sfociando in primo luogo nella richiesta di scuse ufficiali da parte dei Paesi coloniali, con il riconoscendo del proprio comportamento come criminale, ma si sta concretizzando anche un movimento per rivendicare concretamente risarcimenti materiali. Non c’è da stupirsi che i nostri media non ne diano notizia! Rinvio a un sito internet dedicato a questo problema e continuamente aggiornato: http://www.colonialismreparation.org/it/.

Il 23/9/2016 a New York durante il Dibattito generale della 71a sessione dell’Assemblea Generale dell’Onu il Primo Ministro di Saint Vincent e Grenadine, Ralph Gonsalves, ha evidenziato che la richiesta della Comunità Caraibica di giustizia riparatrice per le vittime della tratta transatlantica e del genocidio dei nativi continua a prendere slancio, e ha fatto appello “alle nazioni europee che hanno creato e tratto profitto incommensurabilmente da questo indifendibile commercio di esseri umani [Regno Unito, Francia, Spagna, Portogallo, Paesi Bassi, Norvegia, Svezia e Danimarca] ad aggiungersi alla discussione in corso sui contorni di una giusta ed adeguata risposta a questa tragedia monumentale ed il suo conseguente lascito di sottosviluppo”.

Nella stessa sessione dell’Assemblea dell’ONU, il 20/10/2016 durante la riunione sulla “Commemorazione dell’abolizione dello schiavismo e della tratta transatlantica”, il delegato di Cuba ha descritto la tratta e il lascito dello schiavismo come “la radice delle profonde disuguaglianze sociali ed economiche, dell’odio e del razzismo che continuano a colpire le persone di discendenza africana oggi”, sottolineando la necessità di rimediare pienamente e risarcire quei crimini orribili.

Se si avvicinasse il momento delle riparazioni?

1# Assumo l’insieme di queste categorie, che mi sembra estremamente efficace, da Ramon Grosfoguel, Rompere la colonialità. Razzismo, islamofobia, migrazioni nella prospettiva decoloniale, Mimesis, 2017, p. 32.

2# A. Legni, La vera storia del genocidio dei nativi americani, DolceVita online, 24 maggio 2017, https://www.dolcevitaonline.it/la-vera-storia-del-genocidio-dei-nativi-americani/.

3 Roxanne Dunbar-Ortiz, “Sì, i nativi americani sono stati vittime di un genocidio”, 15 giugno 2016, http://znetitaly.altervista.org/art/20235.

4 Oltre al citato Grosfoguel, un riferimento classico è Silvia Federici, Calibano e la strega. Le donne il corpo e l’accumulazione originaria, Mimesis, 2015 (Calibano è un personaggio teatrale di William Shakespeare nella commedia La Tempesta, un mostro ripugnante amico di Prospero).

5 Intervista a Silvia Federici, “Su capitalismo, colonialismo, donne e politica alimentare”, 17 luglio 2010, http://www.sagarana.net/anteprimal.php?quale=32.

6 H. L. Gates, Slavery, by numbers, The Root, 2/10/2014, https://www.theroot.com/slavery-by-the-numbers-1790874492. Si deve precisare che l’Europa non ebbe il monopolio di questa tratta, essa era attiva fin dall’antichità, e si valuta che i musulmani abbiano deportato 17 milioni di africani alle coste dell’Oceano Indiano e il Medio Oriente: Focus on slave trade, BBC News, 3 settembre 2001, http://news.bbc.co.uk/2/hi/africa/1523100.stm<.

7 È degno di nota che i paesi dei Caraibi si stanno organizzando per chiedere risarcimenti. Il 4 giugno 2016 si è tenuto a L’Avana il settimo vertice dei Capi di Stato e di Governo dell’Associazione degli Stati Caraibici (ACS) con la partecipazione di trentadue delegazioni. Al punto 7 della Dichiarazione de L’Avana “l’ACS […] riconosce che lo schiavismo e la tratta sono stati atroci crimini contro l’umanità, riafferma […] l’importanza di stabilire effettive risorse e misure risarcitorie e riparatrici […] per affrontare i persistenti effetti dello schiavismo e della tratta transatlantica, dà il benvenuto all’iniziativa della CARICOM per la creazione della Commissione per le Riparazioni della Comunità Caraibica e loda gli sforzi di detta commissione per correggere tali ingiustizie […]”. Si veda: http://www.colonialismreparation.org/it/newsletter-11-17-riparazioni-ai-caraibi.html.

8 Lucio Villari, “I bambini drogati ai tempi di Dickens, Il lato oscuro della rivoluzione industriale nei rapporti dei medici inglesi”, La Repubblica, 16 marzo 2013, http://illuminations-edu.blogspot.com/2013/03/i-bambini-drogati-ai-tempi-di-dickens.html.

9 Amitav Ghosh, Mare di Papaveri, Neri Pozza, 2009.

10 William G. Randles, L’antico Regno del Congo, Jaca Book, 1983.

11 B. Bellesi, “Congo, il genocidio dimenticato. Dalla seconda metà dell’Ottocento al 1960“, Peacelink, 26 marzo 2005, https://www.peacelink.it/kimbau/a/10354.html. R. Masto, “Storia: le atrocità di re Leopoldo II in Congo” (con foto impressionanti dell’epoca), Africa, 8 agosto 2015, https://www.africarivista.it/storia-le-atrocita-di-re-leopoldo-ii-in-congo/63934/. “Il genocidio e la depredazione del ‘Libero Stato del Congo’”, https://www.didadada.it/file/congo.pdf. David Van Reybrouck, Congo, Feltrinelli, 2014.

12 Le foto di Alice Seeley Harris raccontano gli orrori del colonialismo in Congo, https://www.vice.com/it/article/vd58dm/alice-seeley-harris-foto-colonialismo-congo-432.

13 T. Mastrobuoni, “Namibia, 1904; quando i tedeschi fecero le prove della Shoah”, La Repubblica, 30 maggio 2017, https://www.repubblica.it/venerdi/articoli/2017/05/30/news/namibia_genocidio_tedeschi_herero-166817547/.

14# Ritengo davvero fondamentale per capire le vicende, gli interessi, le manovre, gli inganni che hanno portato al Medio Oriente di oggi il libro di Filippo Gaja, Le Frontiere Maledette del Medio Oriente, Maquis Edizioni, 1991. Suggerisco anche: R. Paternoster, “Medio Oriente, mina vagante fabbricata in Europa nel1900”, http://win.storiain.net/arret/num120/artic2.asp (http://win.storiain.net/arret/num120/artic2.asp).

15 Si veda ad esempio E. Bertini, Arabia Saudita e wahhabismo, 24 aprile 2017, https://[limesclubpisa.wordpress.com/2017/04/24/arabia-saudita-e-wahhabismo/.

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