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Complesso militare industriale, ambizioni europee, la crisi della Nato

Sintesi di alcune delle relazioni e contributi al convegno di Napoli sul complesso militare industriale europeo

La complessa costruzione del complesso militare industriale europeo (Walter Lorenzi)

(…) Riteniamo che tutti questi stadi di sviluppo siano stati raggiunti da tempo dal capitalismo europeo, ovviamente in forme asimmetriche, riproducendo a livello continentale centri e periferie in funzione della massimizzazione dei profitti dei cosiddetti “campioni” europei.
Ad esso manca, per essere valorizzato al massimo nel conflitto con le altre potenze, un complesso militare/industriale adeguato al livello di sviluppo delle proprie forze produttive e finanziarie.
Da tempo, la Commissione Europea (CE) sottolinea le inefficienze e la frammentazione del settore militare. Il confronto con gli stati uniti salta agli occhi. L’Europa conta 178 sistemi di armamenti (rispetto a 30 negli USA), 17 tipi di carri armati (uno statunitense), 29 tipi di fregate e di cacciatorpediniere (4 USA), e 20 tipi di caccia (rispetto ai sei delle forze armate americane). Gli investimenti nella difesa dei paesi europei rappresentano l’1,34% del prodotto interno lordo, mentre gli usa arrivano al 3,2% del PIL.
Vediamo allora come la UE sta cercando di risolvere questo gap, per rispondere ad un’esigenza non rinviabile, alla luce dell’aumento esponenziale dei fronti di guerra ai propri confini e a livello planetario.
Il 13 giugno 2018 la CE ha presentato le sue proposte finanziarie nel campo della difesa e della sicurezza per il prossimo bilancio comunitario 2021-2027. Il nuovo fondo europeo per la difesa (EDF), avrà una dotazione settennale di 13 miliardi di euro, che significa un considerevole aumento di spesa rispetto 2,8 miliardi del precedente. Il fondo riserverà 4,1 miliardi per finanziare progetti di ricerca. Altri 8,9 miliardi andranno a co-finanziare il costo di prototipi, a cui si aggiungono circa 6,5 miliardi per adeguare le infrastrutture europee al transito di assetti militari (military mobility).
(…) Il settore europeo della difesa (base tecnologica e industriale della difesa europea – EDTIB) ha un fatturato di circa 100 miliardi di euro e occupa direttamente circa 500.000 addetti. Ha una struttura piramidale, al cui vertice si colloca un limitato numero di grandi imprese. Lungo l’intera catena di approvvigionamento, queste imprese sono coadiuvate da circa 2 500 aziende di livello inferiore – per lo più aziende a media capitalizzazione e PMI – che forniscono agli appaltatori principali sottosistemi o componenti.
Il settore europeo della difesa non è diffuso in maniera uniforme nell’UE. Rispecchiando il livello dei bilanci nazionali, le industrie del settore si concentrano nei sei paesi della lettera di intenti firmata il 20.7.1998 per istituire un quadro cooperativo mirante ad agevolare la ristrutturazione del settore, ossia Francia, Germania, Italia, Spagna, Svezia e Regno Unito, i quali generano oltre l’80 % del fatturato in questa branca dell’industria. Capacità e competitività del settore differiscono molto tra i vari stati membri e da un sotto settore all’altro. Questa base frammentata è il frutto delle culture geografiche, storiche e militari che hanno contribuito a modellare il panorama industriale dei vari stati membri. Alcuni studi hanno messo in rilievo i punti di forza del settore della difesa in Europa. Nel suo complesso è stata definita competitiva a livello globale, innovativa, a elevato livello tecnologico, in grado di fornire uno spettro completo di capacità di difesa, da piattaforme ampie e complesse fino a prodotti innovativi.
L’UE, benché ancora in ritardo rispetto agli stati uniti e alla Russia, rappresenta una quota significativa delle esportazioni totali di armamenti, a testimonianza della competitività della sua industria militare (…)
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Spese militari e diseguaglianze nell’UE (Alessandro Giannelli)

(…) In un quadro di permanente tendenza alla guerra, una potenza come l’UE che non disponga di un proprio autonomo strumento militare può essere credibile sullo scacchiere internazionale o ha necessità di attrezzarsi rapidamente al fine di giocare un ruolo nella competizione con gli USA e gli altri paesi emergenti?
La risposta a questo interrogativo si può cogliere nelle spinte e nelle accelerazioni impresse negli ultimi anni al fine di dare slancio alla cooperazione dell’Unione europea in materia di difesa.
In un contesto all’interno del quale i 2,8 miliardi di euro assegnati alla difesa nel quadro finanziario pluriennale 2014–2020, schizzerebbero a ben 22,5 miliardi del periodo 2021-2027, si segnala, in particolare, il grande balzo in avanti che dovrebbe compiere l’attività di ricerca e sviluppo delle capacità militari.
Infatti si passerebbe dai 590 milioni del triennio 2017-2019 (90 milioni per l’attività di ricerca in ambito militare e 500 milioni per finanziare attività fino al 2020 nel campo del programma europeo di sviluppo del settore industriale della difesa), ad un budget di 13 miliardi di euro (4,1 miliardi per la fase di ricerca e 8,9 miliardi di euro per quella di sviluppo delle capacità) proposti dalla Commissione a giugno 2018 per quanto concerne il periodo 2021 – 2027. Su questo punto a febbraio 2019 la CE, il Consiglio e il Parlamento Europeo hanno raggiunto un accordo e il regolamento dovrà essere formalmente approvato da Consiglio e Parlamento per diventare operativo.
Il Fondo Europeo di Difesa dovrebbe diventare, quindi, parte integrante del prossimo bilancio dell’UE in un quadro all’interno del quale aumentano complessivamente le risorse per la sicurezza, mentre la politica agricola comune (PAC) verrebbe tagliata di circa un 15% e la politica di coesione sociale di circa un 10%.
D’altronde il de profundis della Nato pronunciato da Macron nell’intervista al settimanale britannico “The Economist” lascia poco spazio a fraintendimenti, e punta direttamente all’obbiettivo: la necessità che l’Europa acquisisca autonomia strategica e capacità militare.
Non è un mistero che la Francia di Macron spinga da tempo per la creazione di un vero esercito europeo e quindi di fatto per trasformare l’Unione Europea anche in una alleanza militare. Dall’altro lato il rapporto con la Germania si configura contraddittorio: se il Trattato di Aquisgrana siglato da Francia e Germania stabilisce meccanismi stabili di collaborazione in tema di difesa, sicurezza interna, industria militare e missioni militari all’estero e delinea un Europa core con gli altri Stati ridotti al rango di colonie da tenere in riga, è anche vero che la Germania non vede certamente di buon occhio il protagonismo militare della Francia. (….)

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L’insostenibile fedeltà atlantica, Italia nucleare, altre ingerenze funeste e nuovi rischi epocali (Angelo Baracca)

(…) L’OTAN (NATO) difensiva, che non aveva più alcun senso, non fu sciolta ma radicalmente trasformata con il Nuovo Concetto strategico del 1991: «una nuova Alleanza più grande, più capace e più flessibile, impegnata nella difesa collettiva e capace di intraprendere nuove missioni, … incluse le operazioni di risposta alle crisi», e impegna i paesi membri anche a «condurre operazioni di risposta alle crisi non previste dall’articolo 5, al di fuori del territorio dell’Alleanza»! Si deve sottolineare che l’articolo 5 afferma che un “attacco armato” contro uno o più alleati dell’OTAN si considera come un attacco contro ogni componente dell’OTAN e quindi ognuno di essi può, secondo il diritto all’autodifesa sancito dall’articolo 51 della carta dell’ONU, decidere le azioni che ritiene necessarie a “ristabilire e mantenere la sicurezza”, compreso “l’uso delle forze armate”: ora tale diritto è riconosciuto anche al di fuori del territorio dell’Alleanza! Va aggiunto che secondo l’articolo 24 del “Nuovo concetto strategico” si possono considerare rischi per la sicurezza anche “atti di terrorismo, sabotaggio e crimine organizzato, e l’interruzione del flusso di risorse vitali”.
Iniziò inoltre l’espansione dell’OTAN (aggressiva) nel territorio dell’ex Unione Sovietica. Si noti la convergenza-equivalenza delle condizioni di ingresso nella UE e nell’OTAN, che hanno pesantemente condizionato la formazione della UE e determinato la sua completa sudditanza agli Stati Uniti.
Ritengo importante confutare il luogo comune che dopo la fine della IIa Guerra Mondiale l’Europa non abbia più partecipato a guerre e abbia costituito una garanzia di pace: nulla di più falso! Che cosa sono stati i tentativi di colpi di stato che ho ricordato, se non atti di guerra? E sul piano concretamente militare basti ricordare la deleteria partecipazione, appunto con l’OTAN, all’aggressione del 1999 alla ex-Jugoslavia e alla sua dissoluzione: ancora una volta una sudditanza agli interessi degli USA, miope e autolesionista (bombardamento della Zastava, fabbrica della Fiat!). Per non parlare della partecipazione veramente autolesionista alla disastrosa aggressione del 2011 alla Libia di Gheddafi, il nostro principale alleato nel Mediterraneo. Quanto agli Stati Uniti mi sembra opportuno osservare che dopo la IIa Guerra Mondiale hanno fatto molte guerre, ma non ne hanno vinta nessuna! Il loro scopo era evidentemente un altro.

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La Francia, la proiezione di potenza della UE e il neo-colonialismo in Africa (Giacomo Marchetti)

(….) Nel discorso della Sorbone, che è un manifesto del nuovo slancio che Macron vorrebbe dare all’UE, la “sicurezza” è la prima delle sei chiavi della “sovranità europea da costruire”.
«In materia di difesa, il nostro obiettivo dev’essere la capacità di azione autonoma dell’Europa complementare alla Nato (…) lo scorso giugno abbiamo gettato le basi di questa Europa della Difesa; una cooperazione strutturata permanente che permette di prendersi maggiori impegni, di avanzare insieme e di coordinarci meglio; ma anche un fondo europeo di difesa al fine di finanziare le nostre capacità e la nostra ricerca (…) All’inizio del prossimo decennio l’Europa dovrà anche essere dotata di una Forza d’Intervento comune, di un bilancio della difesa comune e di una dottrina d’azione comune»
Un progetto a tutto tondo quindi che in questi anni anche se in maniera non del tutto lineare sta prendendo forma sia all’interno della cornice UE vera e propria, sia per “cooptazione interna” legando alla Francia tutti coloro che desiderano far avanzare questo orizzonte nella cooperazione militare, a cominciare dal terreno pratico della capacità d’intervento che è uno dei fiori all’occhiello della Francia e dalle priorità dell’Esagono.
Così è scritto nella legge di programmazione militare: «questa capacità d’intervento in autonomia o in coalizione, sarà mantenuta al livello più alto, cosa che già oggi ci conferisce una grande credibilità internazionale».
Dei più dei 30.000 militari impegnati nel mondo – tra cui la ragguardevole cifra di 13.000 nel territorio metropolitano – a parte le due operazioni condotte in Medio Oriente Chammal con 1.200 uomini in Siria ed Iraq nel marzo del 2018 e 900 nell’operazione Daman in Libano (e i 300 in Estonia) il maggior contingente è impegnato in Africa, come vedremo nel dettaglio.
E proprio in Africa nel Sahel che il livello di cooperazione militare a guida francese raggiunge i più alti livelli, e mostra allo stesso tempo i suoi limiti per il soddisfacimento dei requisiti dell’ipotizzata autonomia strategica – nei confronti in questo caso degli Stati Uniti prima in Libia e poi nel Mali – e di efficacia di contrasto di una minaccia “asimmetrica” come lo jihadismo, così come nel rapporto con la Germania.
Il Sahel rischia di diventare “L’Afghanistan francese”, soprattutto alla luce delle rivelazioni degli Afghan Papers negli Stati Uniti.
Mentre la minaccia jihadista non scema, monta l’ostilità delle popolazioni locali per la presenza straniera, e perdita di fiducia di coloro a cui si erano appoggiati i francesi (le popolazioni Tuareg del nord del Mali, o più correttamente “Azawidi”) in ciò che in un primo tempo sembrava essere un esito vittorioso del proprio intervento.

In questo contributo non potevamo che accennare brevemente a due aspetti strategici dello strumento militare francese che ne fanno il perno imprescindibile per lo sviluppo della cornice della Difesa Europea qualunque configurazione assuma: la dissuasione strategica nucleare e la marina militare (….)

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La ricerca orientata a fini militari. Il dual use (Mauro Luongo)

(….) E’ evidente da quanto si è cercato di esporre che la definizione delle tecnologie duali non riguarda la semplice possibilità di uso per finalità civili e militari delle proprietà di un particolare prodotto: una lama può essere sia utensile che strumento di offesa; un motore può essere propulsore tanto di veicoli civili che militari, ecc..
Ciò che qualifica le tecnologie duali nell’attuale contesto economico-produttivo è il contenuto di ricerca e conoscenza e il propagarsi in filiere di produzione tanto civili che militari con identica base tecnologica. L’ambito della ricerca e dello sviluppo non si differenzia per le finalità, la sua centralizzazione e i contenuti sono assunti, indipendentemente dalle potenzialità di applicazione originaria in uno dei due campi, all’interno di una dimensione della competizione al contempo economico-produttiva e militare.
L’interruzione del flusso tecnologico dal militare al civile e la sua, anche parziale, inversione, a partire dalle fonti di finanziamento privato, mette in mostra una militarizzazione del civile che opera come recrudescenza delle tensioni nelle relazioni tra poli geo-economici, in cui la ricaduta militare è intrinseca al modello di accumulazione.
L’intera gamma delle tecnologie su cui si gioca la partita della competizione globale e della supremazia è composta da tecnologia duale: la tecnologia dell’informazione e comunicazione, l’intelligenza artificiale, il 5G, internet of things, la robotica, aereo-spazio, nanotecnologie, biotecnologie, sono la base di un concentrato tecnologico intorno a cui si costruiscono network di conoscenze interdipendenti impegnate in sviluppo di prodotti con impiego commerciale e potenzialità militari. Lo sviluppo delle tecnologie duali è assunto pertanto in modo sistematico nei documenti di orientamento strategico degli attori della competizione globale.
La salvaguardia della supremazia tecnologica da parte del paese, gli Stati Uniti, che nel rapporto con il settore militare ha costruito la leadership planetaria, è un executive order, un’istruzione operativa, al governo federale per il mantenimento in territorio americano delle strutture della ricerca e dell’innovazione nel campo dell’intelligenza artificiale, ossia il baricentro dell’innovazione tecnologica, per consentire una maggiore penetrazione delle industrie americane ai mercati proteggendo le tecnologie dall’acquisizione da parte di competitori strategici. Ciò che si vuole conseguire in questo scenario di competizione strategica è chiaramente enunciato dal Pentagono: “una integrazione senza soluzione di continuità tra molteplici elementi della potenza nazionale – diplomazia, informatica, economia, finanza, intelligence, esercito” al fine di costruire un continuo vantaggio tecnologico militare per gli Stati Uniti.
Le tecnologie duali sono, ben oltre i pur rilevanti aspetti tecnici, una “testa d’ariete” della competizione, il cui concentrato (cluster) tecnologico nella conquista dei mercati riassume i caratteri della colonizzazione economica e militare. Esportare tecnologia digitale-informatica, intelligenza artificiale, non si esaurisce nella vendita della merce, ma implica la sua interazione in un eco-sistema omogeneo: chi riuscirà ad affermare i propri standard internazionali per l’intelligenza artificiale sarà in vantaggio per la supremazia tecnologica.
Questo spiega la tensione USA verso il punto più alto della intelligenza artificiale il 5G, la rete delle reti nelle mani del colosso tecnologico cinese Huawei, la chiave di accesso capace di mettere in connessione le smart city, le citta del futuro, l’internet of things, le fabbriche di automi, insomma , una filiera di distribuzione ( supply chain) che sovrintende una pluralità di connessioni, da cui può dipendere il funzionamento di reti di servizi di una intera città o addirittura di una nazione: assicurarne il controllo ( cybersecurity) è questione fondamentale della sicurezza nazionale, dimensione che riflette inestricabilmente il rapporto civile e militare (….)

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La guerra ha stravolto e rimodulato il diritto internazionale (Claudio Giangiacomo)

(….) Se noi analizziamo quanto è accaduto dal 1989 ad oggi e quindi a partire dalla prima guerra del Golfo abbiamo una serie continua di violazioni in alcun modo sanzionate dagli organismi internazionali mentre, dall’altra parte, presunte e non provate violazioni di accordi (vedi armi chimiche Saddam, Assad, accordo nucleare Iran) portano all’imposizione da parte degli USA di sanzioni internazionali, embarghi ed alla legittimazione di veri e proprio omicidi.
Ci si ritrova quindi di fronte alla:
.- totale impotenza delle istituzioni internazionali;
– totale irrilevanza della nozione giuridica di “guerra di aggressione”. La guerra preventiva è oggi teorizzata e impunemente praticata dalle grandi potenze, in particolare dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna, da Israele e persino dalla Turchia;
– il recupero dell’ideologia della “guerra giusta”, la “guerra globale contro il terrorismo” e contro gli “Stati canaglia” come una guerra del bene contro l’”asse del male”. La guerra viene motivata sulla base di valori che si ritengono doverosamente condivisibili dall’umanità intera;
– l’esplicita motivazione “umanitaria” di interventi militari decisi in violazione della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale generale. Si pensi alla guerra di aggressione scatenata nel 1999 dalla NATO contro la Repubblica Federale Jugoslava in nome di una sedicente difesa dei diritti umani della minoranza kosovaro-albanese che ha offerto alla NATO, senza alcuna autorizzazione dell’ONU, l’occasione per devastare un intero paese, fare strage di migliaia di persone innocenti e costruire nel cuore del Kosovo un’imponente base militare, Camp Bondsteel;
– l’uso della giurisdizione penale internazionale ad orologeria secondo la logica della degradazione morale del nemico sconfitto e dell’esaltazione propagandistica dell’eccellenza morale dei vincitori .
– la sistematica, feroce discriminazione nei confronti di nemici fatti prigionieri nel corso di guerre “umanitarie” o preventive, non riconosciuti neppure quali combattenti irregolari, come provano gli orrori delle prigioni di Guantánamo, di Abu Ghraib, di Bagram e come conferma la legittimazione o l’uso diretto della tortura nel corso delle extraordinary renditions praticate dalla CIA.
Se non basta l’esempio jugoslavo potremmo analizzare quanto accaduto con l’Afghanistan La guerra in Afghanistan, è iniziata il 7 ottobre 2001, a meno di un mese dagli attentati dell’11 settembre 2001 ed è stata giustificata dall’asserita necessità di combattere l’organizzazione terroristica Al Qaida e catturare ed uccidere Osama bin Laden (…)

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L’industria aeronautica europea non conosce crisi, Leonardo ne è un asset strategico (Giovanni Giovine)

(….) Al di là delle esagerazioni propagandistiche di questo o quel ministro – il dato che ci interessa evidenziare è che LEONARDO sta rapidamente scalando la classifica delle aziende a più alta tecnologia al mondo. Ed è di questi giorni la notizia, riportata dal Sole 24 Ore, che LEONARDO è passata dall’ottavo al quarto posto delle varie classifiche del settore con un dinamismo non solo di tipo commerciale ma, soprattutto, sul versante dell’innovazione e della ricerca.

Attorno a questioni inerenti la “sicurezza” e la “difesa” LEONARDO ha siglato accordi e convenzioni che permetteranno di raggiungere una soglia di maturità capitalistica di tutto rispetto anche attraverso l’integrazione tra le caratteristiche dell’azienda di stato, le università e i centri di ricerca di vario tipo.

Ci troviamo, dunque, davanti ad una Azienda che – per usare il lessico dei padroni – si muove in una logica di sistema ed è profondamente connessa con i punti più alti dello sviluppo tecnologico.

Facciamo un esempio: nella scorsa estate proprio al citato Salone dell’aeronautica svolto in Francia LEONARDO ha sottoscritto l’accordo Next Generation Fighter che è alla base di un nuovo sistema di combattimento aereo targato Unione Europea. Una partnership in cui sono coinvolti l’Airbus (azienda leader franco/tedesca), la Dissault (azienda francese) con la partecipazione anche della Thales. Inoltre LEONARDO è già impegnata in un accordo con i britannici attraverso il progetto militare Tempest che con la Brexit alle porte potrebbe complicare i rapporti con gli altri partener europei.

Ma se LEONARDO ha primeggiato tra i vari marchi europei possiamo affermare che complessivamente i vettori europei stanno acquisendo grande autorevolezza in tutto il mondo scalzando gli altri competitori dai posti alti delle varie classifiche.

A dimostrazione della dinamicità di LEONARDO è da segnalare una notizia di questi giorni circa l’assegnamento di una commessa di elicotteri per la marina militare statunitense. Un risultato importante nel mercato americano dopo che negli scorsi anni si era registrata un’altra aggiudicazione per la fornitura di elicotteri per le operazioni speciali alle forze armate USA. Anche il “tabù” del mercato statunitense è stato sfatato dalle capacità di LEONARDO!

Insomma ciò che la realtà concreta sempre più dimostra è il rafforzamento di questo significativo comparto industriale e militare che sempre più assume un assetto continentale ed è in sintonia con le proiezioni egemoniche delle politiche dell’Unione Europea con buona pace di quanti ancora perdono tempo ad immaginare una Europa portatrice di valori di progresso o di “civiltà”.(….)

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Non è vero che l’industria militare sia vitale per l’economia (Rossana De Simone)

(….) Tutta questa narrazione sull’industria delle armi come impresa fondamentale perché contribuisce all’occupazione, alla ricerca e allo sviluppo e alle entrate delle esportazioni, viene smontata se si mette a confronto con le più grandi società al mondo nel settore manifatturiero.

Secondo il Sipri tale comparazione “è appropriata perché anche se i processi di produzione e sviluppo della maggior parte dei produttori commerciali e dei produttori di armi sono abbastanza simili, va notato che ci sono chiare differenze tra le due tipologie di industria.

Ad esempio, a differenza dell’industria civile, l’industria delle armi ha un pool molto limitato di clienti (principalmente ministeri della difesa) ed è soggetta a specifici quadri giuridici per il trasferimento di armi verso altri paesi. Per averne una idea, le vendite di una sola società, Toyota, la più grande azienda manifatturiera del mondo nel 2018 con vendite di 265 miliardi di dollari, da sola surclassa le vendite delle prime cinque multinazionali militari statunitensi. Lockheed Martin, Boeing, Northrop Grumman Corp., Raytheon e General Dynamics insieme hanno venduto per 148 miliardi di dollari.

Nella classifica 2019 delle 10 aziende con fatturato più alto in Italia Leonardo è al 7° posto ( circa 11,5 miliardi, 46.462 persone in tutto il mondo). Prima è risultata Enel (73 miliardi l’anno, 68.000 persone in tutto il mondo), e, a seguire ENI (66 miliardi), Gse Gestore dei servizi energetici (31,4 miliardi), Fca Italy (28,6 miliardi), TIM (circa 19,5) e Edizione Società della famiglia Benetton che si occupa di abbigliamento, immobiliare, digitale, trasporto e agricoltura (circa 12,1 miliardi). Ottavo posto Edison (9,7 miliardi), nono posto Luxottica Presente (9,2 miliardi) e 10 posto Saipem Presente (9 miliardi)

Per quanto riguarda gli investimenti in ricerca e sviluppo nella classifica delle prime 1.000 aziende europee per spesa in Ricerca e Sviluppo (R&S), pubblicata nel report The 2018 EU Industrial R&D Investment Scoreboard, Leonardo si trova al 32° posto, mentre al 17° c’è Airbus. Le prime cinque sono: Volkswagen, Dailmer, BMW, Robert Bosch, Siemens.

Anche nel caso degli investimenti in ricerca e sviluppo nel mondo, le aziende che spendono di più sono Alphabet, Samsung, Microsoft, Volkswagen e Huawei Investment.

Per trovare la prima delle industrie aerospaziali e difesa bisogna andare al 48° posto con Airbus, Boeing al 56°, United Tecnologies al 65° e Leonardo al 107° posto (…)

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