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Corbyn necessario, ma non sufficiente

Si era già detto a suo tempo in un articolo su Contropiano:

Corbyn si è mosso bene dicendo che la Brexit è un dato ma bisogna lavorare per sfumarne le implicazioni isolazioniste, per rimanere nell’Unione doganale europea. In questo modo egli non si prende le responsabilità della Brexit, ma non segue chi vuole far tornare la situazione a prima del referendum. Facendo rosolare la May a fuoco lento, le presenta la soluzione e acquista credito sia da coloro che la Brexit l’hanno paventata, sia da coloro che questa Brexit la volevano applicata. Il punto però è convincere la loro propria base (sia quella proletaria incattivita, sia quella radical atterrita) che tale compromesso è quello necessario per tenere unito il partito ed il paese. Il Watson di Blair (scioccamente come il suo omonimo letterario) ha tentato per l’ennesima volta di fargli le scarpe cercando di costringere il partito ad inseguire un nuovo referendum.

Per fortuna al momento non c’è riuscito. Per Corbyn infatti sarebbe la sconfitta e per il proletariato del leave sarebbe l’ennesimo schiaffo, l’ennesimo distacco e dunque l’ennesima spinta verso il populismo di destra. Ciò tenendo presente che il compromesso di Corbyn, contestato dalla destra, dovrebbe essere invece ben analizzato dalla sinistra del partito dal momento che l’unione doganale potrebbe essere un ostacolo a quella politica di parziale reindustrializzazione che dovrebbe essere il risicato risultato di tale compromesso (perché riproporrebbe in parte i motivi per cui la bilancia commerciale britannica rimane in passivo). Farage, da speculatore politico quale è, si è ripresentato con un nuovo partito che nei sondaggi ha il 27%, esattamente il risultato dell’Ukip alle Europee del 2014. In questo modo si prepara alle Europee di quest’anno a rappresentare la Brexit a tutto tondo. Sta ora al Labour decidere: provare a sperimentare questa sintesi che lo manterrebbe unito? O ripiombare di nuovo nel blairismo e staccarsi ancora una volta dalla parte proletaria della sua base? Se non vuole rilanciare Farage, il Labour deve prepararsi a contendergli il voto nei territori deindustrializzati che sta abbandonando al suo destino (e riflettere su come reindustrializzare in parte il paese all’interno dell’unione doganale). Oppure deve rassegnarsi ad abbandonare la sua base proletaria alla Destra. Presto il dado dovrà essere gettato1.

Il dato è stato gettato a Luglio di quest’anno2 quando Corbyn ha ceduto ai blairiani di Tom Watson sulla questione di un secondo referendum. Il resto è stato un piano inclinato.

Hanno fatto bene tanti compagni a tifare per Corbyn e ad evidenziare gli aspetti interessanti del suo programma3. Hanno fatto bene a dire che il proletariato inglese uscirà con le ossa rotte dalla Brexit di Boris Johnson. E tuttavia il proletariato inglese in buona parte vuole la Brexit.

Magari perché si illude di poter riavviare l’industria britannica con l’ingresso di nuovi capitali dall’estero e di recuperare così il deficit commerciale (un fattore rilevante per le sorti dell’industria britannica soverchiata dalla Germania)4. Così come si illude di ridurre la concorrenza (da loro ritenuta reale) degli immigrati nelle dinamiche del mercato del lavoro. E la scelta è stata così netta da non generare nemmeno l’equivoco di un buon risultato di Farage, tanta forse era la paura di un secondo referendum.

E tuttavia (nonostante le riserve sulla determinazione elettorale inglese) bisognava ammettere che la scelta con il referendum era stata fatta. E la svolta di Luglio dei laburisti è stata invece la goccia che ha fatto traboccare il vaso, facendo perdere definitivamente la pazienza agli elettori dell’Inghilterra centrale e settentrionale. Corbyn se avesse voluto avere più probabilità di vittoria, avrebbe dovuto rappresentare la possibilità di una diversa Brexit, più attenta alle ragioni della tutela dei meno abbienti.

Ma il Labour ha speso poco della sua riflessione su questa possibilità finendosi per darsi la classica mazzata sui piedi. Il programma del Labour sia pure interessante era inserito in un contesto (quello del remain) che non lo rendeva di facile realizzazione (vista la bilancia commerciale inglese e le difficoltà di proteggere l’industria nazionale). Non si è capito che l’austerità europea viene potenziata proprio dall’architettura e dalle regole che l’Unione si è data. Non si è capito che questa Europa è la forma concreta con cui si sta realizzando (da quasi 30 anni) la sconfitta del proletariato europeo. Un programma politico è come un progetto ideale che si deve inserire in una strategia politica. Ed il remain in questo senso è stata la strategia politica sbagliata.

Ora bisogna vedere se Johnson riuscirà ad imporre la Brexit, forte del suo successo elettorale. Non è una cosa scontata. Ne vedremo ancora delle belle. E vedremo anche gli effetti che questo processo avrà sull’Unione Europea che sta tentando di dare, con il Mes, una ulteriore torsione austeritaria al nostro continente.

13/12/2019


Note:

1https://contropiano.org/

2https://www.

3https://contropiano.org/news/

4https://www.

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