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Referendum del 17. Per che cosa si vota

Domenica 17 si va a votare per il cosiddetto referendum sulle trivelle petrolifere. A parte le difficoltà legate alla disinformazione per cui molte persone non sanno nemmeno che c’è un referendum, c’è un agguerrito movimento di opinione che, argomentando per il no, in maniera sottaciuta invita ad astenersi dal voto in modo da non far raggiungere il quorum del 50% più uno dei votanti, quorum necessario affinché il risultato del referendum sia efficace ai fini normativi. Per chiarire alcuni punti della questione riteniamo necessario osservare che:

  1. Il referendum abrogativo è un istituto che ha fatto avanzare la civiltà giuridica e politica del nostro paese, quale che sia la forza che lo abbia innescato. Il dibattito che ne è uscito ha sempre reso più maturo il rapporto delle masse con le questioni di pubblico interesse. Il fatto che da tempo almeno una delle parti in causa punti sull’astensionismo, oltre a demolire l’istituto del referendum, depotenzia anche il dibattito democratico. L’astensione infatti confonde coloro che prendono parte nel dibattito con coloro che invece non ne sanno nulla, generando maggioranze fasulle, sfiducia nella politica, confusione ideologica.

  2. Il referendum abrogativo, non potendo proporre un disegno alternativo della legge, si limita ad abolire alcune norme di modo che il potere legislativo sia costretto ad intervenire in corrispondenza con il risultato delle urne. Discutere quindi dell’abolizione della norma in senso stretto (come fanno alcuni che incoraggiano ad astenersi) non è sufficiente per discutere le ragioni di coloro che il referendum lo hanno proposto. La discussione cioè per essere più fruttuosa deve essere complessiva e riguardare anche il contesto della norma che si chiede di abrogare.

  3. Dietro questo referendum c’è la battaglia tra l’istanza politica che punta allo sviluppo delle fonti rinnovabili per soddisfare il fabbisogno energetico del nostro paese e l’istanza che, in accordo con la feroce reazione del capitale determinata a distruggere gli istituti del Welfare e del mercato del lavoro in Italia, vuole condannarci per altri decenni alla dipendenza dal petrolio. Per una breve storia di questa operazione delinquenziale, fatta dagli ultimi governi (ed in particolare dal governo Renzi) che hanno straziato la società italiana si legga l’istruttivo articolo di Annalisa Corrado a questo indirizzo web: http://www.sinistrainrete.info/ecologia-e-ambiente/6940-annalisa-corrado-la-partita-del-referendum.htm. Dunque, al di là del dettaglio, la scelta è di fatto tra queste alternative politiche, per quanto sarebbe augurabile avere la libertà di discutere in maniera più raffinata ed empirica. I presupposti materiali che stanno dietro alla legge così com’è sono purtroppo molto più grevi di quanto la questione meriterebbe. E bisogna prenderne atto.

  4. Il referendum letteralmente impedirebbe, se approvato, di prolungare lo sfruttamento dei giacimenti esistenti a tempo indeterminato all’interno dei 12 chilometri dalla costa e costringerebbe il legislatore a stabilire dei limiti temporali più precisi alle concessioni. Ciò in quanto una concessione a tempo indeterminato ad un privato (Eni è una società per azioni quotata sul mercato per quanto contingentemente lo Stato abbia di fatto il controllo azionario dell’azienda) risulta essere quanto meno paradossale soprattutto se si tratta di un bene dello Stato (è stata la Corte Costituzionale ad asserire questo). Il blocco di nuove concessioni inoltre (dice Marina Forti) non impedisce che all’interno di concessioni già esistenti siano perforati nuovi pozzi e costruite nuove piattaforme, se previsto dal programma di lavoro. Inoltre prolungando la durata della concessione si rinvia il momento in cui le piattaforme obsolete vanno smantellate e rimosse. È un’operazione costosa che da contratto spetta alle aziende concessionarie insieme al ripristino ambientale e quindi c’è il timore che il prolungamento delle concessioni sia un modo per dilazionare questo impegno economico a tempo indeterminato. Infine quanto l’Eni sia attenta a questioni di pubblico interesse lo si può dedurre dalla lettura di questo link: https://it.wikipedia.org/wiki/Eni#Controversie

  5. Entro le 12 miglia marine viene estratto il 17,6% del gas estratto in Italia (che a sua volta copre il 10% del fabbisogno italiano di gas). Dunque entro le 12 miglia marine verrebbe estratto l’1,76% del fabbisogno italiano di gas (anche se qualcuno parla del 3%). Non sembra essere una percentuale da urlo, tale cioè da rendere indispensabile lo sfruttamento ad oltranza di questi giacimenti. Per quanto riguarda il petrolio siamo a meno dell’1% del fabbisogno nazionale. Dunque i difensori di tali piattaforme stanno a guardia di un barile (quasi) vuoto. Il poco di petrolio che viene estratto può essere più dannoso ecologicamente di quanto sia utile dal punto di vista energetico. Inoltre l’ammontare delle royalties pagate dalle piattaforme interessate allo Stato italiano è ridicolo: noi insomma non ci guadagniamo quasi niente. Il prelievo fiscale è pure al di sotto della media europea, mentre il numero di piattaforme esistenti è tra i più alti d’Europa. Nel mentre Francia e Croazia stanno rinunciando quasi definitivamente a queste piattaforme e non solo ad una certa distanza dalla costa.

  6. Il numero degli occupati entro i 12 chilometri dalla costa è nell’ordine delle centinaia e, considerando l’indotto, di qualche migliaio che però verrà smaltito nel corso degli anni che ci separa da un termine più o meno tassativo della concessione. Se riparte il settore delle rinnovabili, questi occupati avrebbero tutto il tempo di essere riconvertiti. Il problema è la volontà politica ovvero quella che deve essere ricondotta alla ragione dalla vittoria del SI.

  7. Quasi metà delle piattaforme entro i 12 chilometri non hanno mai dovuto essere sottoposte ad una valutazione di impatto ambientale. Molte di esse ormai inutilizzate sono un potenziale fattore inquinante nel caso di cedimento strutturale ed inabissamento in mare. Quelle che funzionano, pur escludendo incidenti, inquinano pesantemente le acque, come dimostrato dalle analisi compiute dall’Ispra (che a sua volta si trova in una preoccupante situazione di conflitto di interessi dal momento che dovrebbe valutare l’operato delle piattaforme ma riceve al tempo stesso anche incarichi da Eni).

  8. Infine i dati provenienti dai sostenitori del NO sono spesso sovrastimati sia per quanto riguarda l’apporto percentuale delle piattaforme interessate in termini energetici sia per quanto riguarda l’impatto occupazionale diluito nel tempo (sempre che Eni non provveda a mettere in atto provvedimenti terroristici in tal senso, il che sarebbe facile dal momento che il suo presidente è Emma Marcegaglia). Spesso si fa riferimento ai dati riguardanti l’insieme di tutte le piattaforme e non quelle entro i dodici chilometri. Inoltre ad es. le bandiere blu, così sventolate dai razionali del NO a proposito delle località romagnole, hanno poco a che vedere con l’inquinamento in prossimità delle piattaforme dal momento che la qualità delle acque è solo una componente della valutazione e non fa riferimento esplicito all’inquinamento chimico legato alle piattaforme petrolifere (senza contare che i dati relativi all’inquinamento sono forniti da soggetti in loco e tra i componenti della commissione valutatrice ci sono le istituzioni governative del paese preso in esame).

Non resta che augurare a tutti buon voto.

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