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Walter Alasia. Morire a vent’anni con il sole negli occhi

«Non piangerete mica per quel criminale?» Fu quanto si sentirono dire, il padre e la madre di Walter Alasia, dopo che i poliziotti gli avevano sparato alle spalle, lasciandolo ucciso sul cortile, davanti casa. Aveva vent'anni, Walter.

Erano entrati alle 5 del mattino, in casa Alasia, gli sbirri, in tenuta antisommossa e armi in pugno. Walter aveva sparato, trovandosi di fronte a cotanto schieramento e potenza di fuoco, ammazzando due poliziotti. Erano anni tosti, quelli. Anni durante i quali le Forze dell'Ordine sparavano senza preavviso, per primi e per uccidere. Durante le manifestazioni. Durante i blitz. A Via Fracchia, a Genova, qualche anno più tardi, gli uomini di Dalla Chiesa faranno lo stesso, lasciando a terra quattro compagni, nel cuore della notte.

Walter-alasiaSi era in guerra. Una guerra dichiarata, per di più, dal Potere "democratico" – bombe, stragi, repressione, torture, arresti – in nome dell'anticomunismo ma, soprattutto, in nome di quei moderni moloch dal nome di plastica bruciata: Mercato, Profitto, Petrolio, Denaro. Una guerra civile dichiarata unilateralmente – il giudice Spataro se ne faccia una ragione – dalle èlite borghesi e dai loro rappresentanti al Governo, e avallata moralmente dalla piccola borghesia bottegaia e impiegatizia, apatica e schiava dell’ambizione sociale, contro la pericolosa avanzata del movimento operaio.

Un’avanzata tanto pericolosa, che anche la maggior parte dei vertici del PCI – il partito della classe operaia – batté in ritirata, davanti alla sfida ambiziosa del possibile sogno rivoluzionario, preferendo storici compromessi con quelle fazioni politiche che altro non erano – e non sono – che comitati d’affari della borghesia liberal-liberista, allo schierarsi al fianco di operai, studenti, giovani, disoccupati, lavoratori, insomma di quelli che, naturalmente, avrebbero dovuto essere considerati compagni. Compagni che, invece, molti iscritti di quel PCI lasciarono soli, a combattere, quando non preferirono spedirli nelle patrie galere, tra anni di reclusione e torture.

Una ritirata, per giunta, aggravata da delazioni, collaborazioni con Polizia e Magistratura, accuse di terrorismo, approvazioni di Leggi Speciali e via discorrendo, fino alle falsificazioni storiografiche messe in campo, dopo gli anni ’70 ’80, da vincitori di una battaglia effimera, che ci ha condotto all’oggi tragico che conosciamo. Troppi diritti, esigevano gli ultimi. Troppi, tutti e subito, stanchi da secoli di oppressione e vessazione. Il Comunismo offriva – offre – il sogno di un riscatto, e loro lo volevano vivere.

showimg2All'interno di quella guerra, dunque, come altri, tanti di quella generazione, Walter, aveva fatto, da poco, la scelta, dolorosa e tragica, della Lotta Armata. Era entrato nelle Brigate Rosse, con l'idea che soltanto insorgendo in armi, contro quello Stato che, non solo maciullava diritti e persone, ma non si faceva scrupoli a massacrare civili innocenti, per tutelare gli interessi padronali, imprenditoriali e politici, e per salvaguardare gli equilibri geo-politici sanciti a Yalta, si potevano difendere le classi sociali più deboli e instaurare, con esse e per esse, una società più giusta, equa e libera.

Quell’aspirazione, quel sogno, quel bisogno di Giustizia, Libertà, Uguaglianza sociale fu interrotto, quella mattina del 16 Dicembre 1976, da un colpo alla schiena sparato dai difensori in divisa di quello stesso Stato democratico, a Sesto San Giovanni. Sesto la rossa. «Me lo hanno ammazzato, me lo hanno ammazzato», grida fuori di sé la madre, operaia della Magneti Marelli e Comunista.

Immediatamente – a testimoniare quanto si diceva più su, rispetto alle scelte della sinistra istituzionale – il sindacato, CGIL in testa, proclama due ore di sciopero per onorare i due poliziotti morti e condannare il terrorismo. Il giorno seguente, però, il Comitato operaio Magneti e il Collettivo Falck diffondono un volantino contrario alla proposta del sindacato, mentre il Coordinamento operai comunisti Breda siderurgica, Fucine, Termomeccanica espone un cartello dal contenuto analogo nei reparti. 

Nel volantino dei Comitati comunisti per il potere operaio si invitano gli operai a piangere i propri morti e non quelli degli altri e si indica che il vero terrorismo è «quello economico che fanno i padroni, è quello della stampa, è quello che 50 poliziotti armati di mitra hanno fatto a Sesto nelle vie della Rondinella, ieri mattina alle 5 e 30 contro gli operai che andavano a lavorare».

Scrive Emilio Mentasti in “La guardia rossa racconta-Storia del comitato operaio della Magneti Marelli”: «Venerdì 17, si svolgono i funerali delle vittime, il sindacato partecipa a quello dei due poliziotti, mentre i Comitati operai decidono di andare a quello di Alasia: sono in 300 e portano una corona di fiori con scritto: A Walter gli operai comunisti rivoluzionari di Sesto […]C’è nebbia, il comune rosso, di nascosto, anticipa le esequie di quasi un’ora. Nonostante questo, 300 compagni riescono ad essere presenti, 80 sono della Marelli, c’è anche Lotta continua di Sesto». Quando arriva il carro funebre , «i compagni della Magneti, che erano molti e noi della Breda ci siamo disposti su due ali: ognuno aveva il suo garofano rosso, i pugni si sono levati e si è intonato L’internazionale».

Da quel momento, la colonna milanese delle Brigate Rosse prenderà il nome di Walter Alasia e sarà guidata, per un periodo, da Mario Moretti – sia detto per ricordarlo ai dietrologi: è ancora in carcere – e Barbara Balzerani.

Noi, Walter, lo vogliamo ricordare così, col sole negli occhi e la pistola in pugno, morto a vent’anni per un ideale, giusto o sbagliato che sia. Un ideale, un sogno che si chiama Comunismo.

 

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