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La lezione francese

È ancora presto per valutare appieno le conseguenze del voto francese che ha portato all’Eliseo Macron, sarà necessario attendere la tornata delle prossime legislative per capire se i voti andati al candidato plasticato delle banche, della finanza internazionale e dell’eurocrazia, si tradurranno in consenso politico anche alle elezioni per l’Assemblea nazionale.

In attesa degli eventi, è certamente utile riflettere sulla situazione del nostro campo, quello della sinistra di classe, che in Francia si è espresso in modo inequivocabile attraverso il consenso a Mélenchon.

La lezione francese può e deve tornare utile anche a noi e, in particolare, deve indurci a un’analisi che metta a confronto la dimensione oggettiva e quella soggettiva dello spettro politico.

Bisogna innanzitutto prendere atto di un dato oggettivo: il primo turno delle presidenziali ha visto quattro candidati spartirsi letteralmente l’elettorato (Macron 24%, Le Pen 21,3%, Fillon 20%, Mélenchon 19,6%). Questi dati stanno a dimostrare che, nella tornata che permetteva la libera scelta, l’opzione politica della sinistra di classe non è stata affatto percepita come anacronistica, utopica o di semplice testimonianza: il buon risultato di Mélenchon sta lì a ricordarci che il programma e la piattaforma politica di France insoumise è riuscita a intercettare buona parte dei settori popolari e ad accreditarsi come un disegno politico credibile e capace di fornire una via di riscatto ai ceti massacrati dalla crisi e vessati dalle politiche neoliberiste.

L’altro dato, eclatante e complementare al primo, è la scomparsa del candidato socialista, vale a dire l’esaustione di un’opzione politica ritenuta dall’elettorato non più di sinistra (le politiche di Hollande non possono aver lasciato alcun dubbio in proposito).

Un terzo e ultimo dato da prendere in considerazione è quello relativo alla massiccia astensione e all’alto numero di schede bianche nella tornata di ballottaggio (più del 25% dei francesi si è astenuto e il numero delle schede bianche o nulle arriva al 10%).

L’astensione ha segnato una percentuale record nella storia della V Repubblica. Questo dato, assieme alla grande affermazione di Mélenchon al primo turno, può e deve essere un segnale per il campo della sinistra europea: di fronte all’alternativa tra due destre, una ultraliberista, l’altra xenofoba e reazionaria, gli elettori hanno rifiutato di scegliere.

Contrariamente a quanto sperava l’establishment europeo, gli elettori di Mélenchon non sono andati a votare in massa per Marine Le Pen, dimostrando che, per l’elettorato francese, le critiche avanzate da sinistra ai poteri finanziari, alla UE, alla NATO e alle politiche affamatrici neoliberiste non sono assimilabili e sovrapponibili a quelle provenienti dalla destra. Queste elezioni dimostrano l’inconsistenza della logica europeista per la quale gli opposti si identificano.

Nonostante il programma (è possibile leggerlo al link https://lafranceinsoumise.fr/) del candidato della sinistra di classe francese non sia di assoluta rottura con la UE, è bastato avanzare una serie di misure sociali coerenti – fine delle privatizzazioni, lotta alla deregulation finanziaria, politiche per la tutela del lavoro e la piena occupazione, salario minimo, investimenti pubblici nei settori strategici – per ottenere il consenso di un ampio ed eterogeneo popolo di lavoratori, di studenti e di giovani. A ciò si devono aggiungere la proposta della fuoriuscita dalla NATO, l’abbandono delle politiche neocoloniali francesi in Africa e il tema della ridefinizione dei trattati europei che, sebbene non con la radicalità dovuta, addita la causa principale della crisi sociale nella costruzione politica della UE ordoliberista.

Il programma di Mélenchon, apertamente di sinistra e credibile perché di classe, pacifista e anticapitalista, è stato votato da milioni di francesi. È tempo che, anche nel nostro Paese, si costruisca una sinistra in grado di fornire una risposta chiara, radicale e coerente ai bisogni e agli interessi dei settori popolari, dei lavoratori, dei disoccupati e dei giovani. Questo, tuttavia, sarà possibile solo a partire dalla lotta alle vere cause della crisi, ovvero dall’opposizione senza quartiere al capitalismo neoliberista, sorretto dalle grandi istituzioni internazionali, politiche, finanziarie e militari.

Solo se sapremo costruire un coerente percorso di rottura con UE, Euro e NATO, potremo dare una via d’uscita politica credibile alla crisi sociale che stritola le classi popolari d’Europa.

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1 Commento


  • Daniele

    E quando costruiremo un UNICO Partito Comunista Italiano? O dobbiamo ancora aspettare che i vari capetti della galassia di micropartitini smettano di litigare e di guardarsi l'ombelico? Non capite che il nemico è alle porte e la bufera avanza?

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