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Merkel e Sarkozy: due “padrini” bisognosi di farsi vedere

Il presidente francese, scriveva ieri Le Monde, avrebbe proposto venerdì sera a Giorgio Napolitano, al telefono, di presentarsi a Roma insieme alla cancelliera tedesca Angela Merkel non appena si insedierà il nuovo governo Monti. Sarkozy – che non avrebbe ancora parlato della visita con il premier «in pectore» – si augura anche che l’Italia non torni alle urne in tempi brevi. Dal Pdl c’è chi sconsiglia a Merkel e Sarkozy di presentarsi a Roma: «La notizia di un’imminente visita per sostenere l’esecutivo Monti fa gelare il sangue. Roma non è Tripoli e se il viaggio fosse confermato riceverebbero sonore pomodorate», promette Margherita Boniver, augurandosi che Napolitano li scoraggi. Ieri invece Barack Obama ha definito «positivi» i «cambiamenti nei governi greco e italiano» sostenendo che ora saranno attuate «le riforme necessarie».

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Il “Corriere della sera”, preoccupato che possa diventare così troppo evidente il fatto che il prossimo sarà il primo governo a “sovraità zero”, invita a soprassedere.

Ma Sarkozy per favore resti a casa

Si dice Merkozy, ma si legge solo Sarkozy. Perché il presidente francese è convinto di essere lui – Nicolas, l’erede del generale de Gaulle – l’unico asse rimasto ad attraversare l’Europa. Per questo progetta di volare domani ad Atene a incontrare il nuovo premier Papademos. Per questo chiama Napolitano e si offre di parlare (lui) ai politici italiani per sbloccare il consenso necessario al neosenatore Mario Monti.

Le intenzioni sono buone, sicuramente. La realizzazione maldestra. Al vertice di Cannes era evidente a tutti – bastava guardare le espressioni sul suo volto insofferente fino all’ostilità – che Nicolas Sarkozy considerava una perdita di tempo tutti i riti di concertazione europea. L’unica salvezza per il continente stravolto dalla crisi non può che venire dalla Francia. Dalla Francia alleata alla Germania. De Gaulle che prende per mano Adenauer per rifondare l’Europa all’inizio del terzo millennio. Da questa volontà di scrivere la Storia, prima che sia troppo tardi per tutti, nasce l’idea di organizzare un vertice a Roma con il nuovo premier italiano e l’alleata Merkel. E se questo è l’ esprit che lo possiede, si capisce anche come il presidente possa arrivare a pensare di avere qualche chance personale in Italia con chi nella coalizione di centrodestra non si affretta a sostenere il nuovo esecutivo. Sarkò – lo stesso che nel libro di Bernard-Henri Lévy dice di dubitare che Berlusconi «abbia ancora un cervello» nella sua scatola cranica – è convinto di poter alzare la cornetta, chiamare Umberto Bossi e convincere la Lega a votare Mario Monti.

Raccontano che alla vigilia dei vertici europei tutti i leader si incontrino per verificare che cosa nel frattempo Nicolas abbia detto di ciascuno agli altri. Ecco una lista, per difetto, dei suoi fuorionda. Di Berlusconi abbiamo scritto. Di Zapatero che «forse non è intelligente». Di Papandreou che «quello non è uno statista». Di Netanyahu che «è un bugiardo» e che lui proprio «non lo può più vedere». Di Obama, ancora nell’aprile 2008 quando tutto andava bene, disse che era «un inesperto, uno che non ha mai gestito un ministero». A Cameron urlò direttamente che aveva «perso una buona occasione per stare zitto». E della compagna Merkel, l’unica ammessa al suo fianco sulla locomotiva che forse salverà l’Europa? Che non è così coerente se dice di essere a dieta «e poi ogni volta non resiste al bis di formaggio».

Barbara Stefanelli

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