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Napolitano regista della “verifica” sul governo

Il pressing dell’Europa è diventato ultimatum, con telefonate continue di Merkel e Sarkozy. Altri parlamentari del Pdl hanno portato allo scoperto il “mal di pancia”; Antonione ha lasciato il “partito” e altri scajoliani minacciano di non votare la fiducia. Il Pd si dichiara pronto a sostenere un “governo di elergenza”.

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, assume il ruolo di regista del possibile “cambio” in corsa. Convoca consultazioni, suggerisce comportamenti, garantisce l’Europa, pressa a sua volta il governo minacciando una “verifica” della sua capacità di tenuta.

E Berlusconi reagisce, ovviamente. Per stasera ha convocato un consiglio dei ministri straordinario per varare – meglio: scrivere – le “misure” capaci secondo il suo governo di mettere contemporaneamente in sicurezza i conti pubblici (e la quotazione dei titoli di stato sui mercati) e far “ripartire l’economia”. Il solito miracolo di parole – ma con provvedimenti terribili verso il lavoro e il welfare – con cui vuole presentarsi al G20 per convincere tutti di poter restare in sella.

Mentre Tremonti tace, dato quasi fuori dalla maggioranza e dal governo, sostituibile addirittura con Lorenzo Bini Smaghi, che avrebbe così la possibilità di uscire con “onore” dal ruolo scomodo che ha ormai all’interno della Bce dopo l’insediamento alla presidenza del connazionale Mario Draghi. Certo che entrare come ministro in un governo sul punto di crollare non sembra un’idea eccellente…

Il nodo resta però uno: si farà un passaggio parlamentare sul testo che uscirà fuori dal cdm serale? E se sì, riuscirà a raccogliere l’ennesima fiducia comprata un tanto a testa? Ma se mette la fiducia, come può sperare di “coinvolgere l’opposizione” in una politica di sacrifici?

In secondo luogo: il nuovo elenco di “riforme” sarà giudicato adeguato dall’Europa e dal G20?

Comunque la si giri, dal punto di vista finanziario o politico, il Cavaliere rappresenta un problema, un ostacolo, un freno.

 

La partita italiana è però stavolta tutt’altro che provinciale. Dopo la decisione di Papandreou di ricorrere al referendum per continuare o no la strada indicata dalla “troika” (Bce, Ue, Fmi), è il nostro paese a segnare il punto di svolta tra un recupero di equilibrio o lo scollamento totale dell’eurozona. “Troppo grande per essere salvata”, l’economia italiana ha in questo momento fondamentali pessimi (a partire da una crescita zero), anche se ancora un grande patrimonio industriale e di competenze. Ma è un patrimonio che va deperendo. Molte strutture sono state delocalizzate, molte altre hanno chiuso o stanno chiudendo o operano a scartamento ridotto. Molte competenze fuggono via, e comunque “invecchiano” se restano fuori dal ciclo produttivo.

 

Ci piaccia o no, abbiamo un ruolo importante in questo momento. Ed è importante capirlo per “prendere le misure” esattamente anche della congiuntura sociale e politica. Per misurare i passi e le iniziative necessarie, gli obiettivi possibili, le reazioni (per dimensione e durezza) degli avversari di classe.

 

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dal Corriere della sera

Da oggi giro di consultazioni al Quirinale Napolitano tenta l’ultima mediazione

di Breda Marzio

Prendere tempo significherebbe perdere tempo, cosa che nessuno può più permettersi. Comincerà dunque oggi stesso, al Quirinale, un giro di consultazioni per «verificare» le prospettive di una «larga condivisione delle scelte» che l’Europa (e non solo l’Europa) si attende con urgenza dall’Italia. Giorgio Napolitano l’ha lasciato intendere nel comunicato con cui ieri sera ha spiegato che vuole «verificare» — perché è «suo dovere» —le condizioni affinché si concretizzi la risposta anticrisi del nostro Paese. Lasciando intendere che, se non dovessero essere prese subito le misure necessarie e tutto andasse a rotoli, si sentirebbe le mani più libere. Magari per esplorare le possibilità di dare vita a un esecutivo d’emergenza, o tecnico, o di responsabilità, o comunque lo si chiami, evocato da diverse parti.

Per la verità, il capo dello Stato non avrebbe neppure bisogno di questo sondaggio informale. Da mesi è impegnato in una sorta di consulto permanente, e anche nelle ultime ore ha sentito molti attori della scena politica (Bersani e Casini, Berlusconi e Gianni Letta), oltre al neogovernatore di Bankitalia Visco e a parecchi esponenti del mondo economico e finanziario. Le posizioni emerse dai suoi colloqui sono al momento tre.

C’è anzitutto quella di Berlusconi, il quale esclude che dietro l’ultimo choc di Borse e mercati vi sia una questione politica e proprio per questo assicura di volere (e potere) trovare una soluzione, in un certo senso istituzionale, alla crisi. Il premier ha riferito al presidente d’aver parlato con Angela Merkel, raccontandogli che il cancelliere tedesco si accontenterebbe di un voto del Parlamento alla sua «lettera d’intenti» alla Ue. Le basterebbe cioè una decisione politica che in qualche modo ratifichi gli impegni che il governo si è assunto con quella missiva. L’ipotesi che sta studiando Berlusconi è quella di un voto al Senato, dove si sente più tranquillo della tenuta della propria maggioranza.

Ma qui Napolitano ha obiettato che l’idea di ricorrere al voto di fiducia non consentirebbe all’opposizione — che il Quirinale vorrebbe fosse coinvolta nel sostegno ad alcuni dei provvedimenti — di partecipare alla genesi della manovra. Per il presidente, insomma, cercare l’avallo politico di uno dei due rami del Parlamento attraverso quella scorciatoia ha la controindicazione di escludere a priori le possibilità di una qualsiasi «condivisione».

La seconda posizione è quella di centristi e Pd che, per voce di Casini e Bersani, hanno confermato al capo dello Stato ciò che da tempo ripetono: questo esecutivo se ne vada, e noi siamo pronti a prendere parte a un governo di responsabilità nazionale a guida tecnica (per esempio Mario Monti).

E c’è poi la terza posizione, di Confindustria, Abi e associazioni imprenditoriali, che ormai in coro ingiungono a Berlusconi: o decide subito o si ritiri. Su tutto questo s’inserisce ora, a riprova che gli esami non finiscono mai (e purtroppo motivatamente, nel nostro caso), le incognite della missione in corso in Italia da parte di tecnici del Fondo monetario internazionale. Il capo dello Stato sa che c’è questa missione, e Ignazio Visco gliene ha probabilmente fatto cenno. Ma non ha forse ancora messo in conto che, tra le ipotesi aperte nell’eventualità che si trascini l’impasse decisionale di Palazzo Chigi, c’è anche quella che l’Italia sia costretta a chiedere l’aiuto del Fondo monetario. E un prestito di questa natura si tradurrebbe fatalmente in una perdita di sovranità molto forte per il Paese.

Ecco perché, oltre ad altre preoccupazioni connesse allo choc delle Borse (come i timori sulla svalutazione dei titoli degli istituti di credito e sulle vicine valutazioni dell’Authority europea sulle banche, l’Eba), parlando con Berlusconi e con Letta, il presidente ha insistito per l’adozione di misure «eccezionali e ravvicinate». Accompagnate da concreti segnali di voler aprire un dialogo con le opposizioni. Così, per esempio, ha chiesto notizie sulla nascita di quella «commissione bipartisan per le proposte sul debito» di cui il Cavaliere aveva fatto cenno come intenzione nella sua lettera a Bruxelles. La risposta? Piuttosto confusa. Con il Cavaliere che se l’è cavata suggerendo, lì per lì, il nome di Francesco Forte come l’uomo cui affidare la guida di questa commissione. In tanta incertezza, l’unica cosa sicura è lo strumento al quale il governo pensa per queste misure eccezionali: la legge di stabilità. Che diventerebbe, attraverso un emendamento, il veicolo attraverso il quale far passare tutto.

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Il Cavaliere pensa a “misure choc”

di Verderami Francesco

L’unica certezza di Ber-lusconi è che «al Quirinale non c’è un capo dello Stato intento a ordire trappole». Tuttavia la fiducia che ancora gli accorda Napolitano è a tempo, e di tempo il Cavaliere non ne ha più. Indebolito dalle piazze finanziarie internazionali, accerchiato dalle manovre nei palazzi romani, e senza un accordo nel vertice d’emergenza convocato in serata, il premier ha trascorso la giornata meditando il varo di «misure choc» per salvare il Paese e il suo governo, entrambi a rischio default.

Non c’è dubbio che gli «interventi straordinari» sui quali sta ragionando «mi fanno venire l’orticaria solo a pronunciarli». Dalla patrimoniale al prelievo forzoso, da un piano di dismissioni doloroso fino a una lunga teoria di condoni, Berlusconi valuta i provvedimenti da porre come sacchetti di sabbia sull’argine del fiume che ha già iniziato a tracimare. «Mi hanno detto di fare come Amato», spiega il Cavaliere, che evoca così un’altra stagione economica drammatica, quella del ’92, e le misure draconiane che vennero allora adottate per salvare la lira: guarda caso una patrimoniale sulla casa, un prelievo sui conti correnti e i depositi bancari, il blocco per un anno dei contratti del pubblico impiego e il blocco delle pensioni di anzianità.

Tanto basta per far spuntare sul volto del premier una smorfia di disgusto mista a disappunto, perché ognuno di questi provvedimenti sarebbe «contrario ai miei capisaldi», al credo che ha divulgato per venti anni e che in parte ha già dovuto abbandonare con la manovra estiva. Mentre i Btp continuano a cedere terreno sui listini, Berlusconi spiega alla Merkel che «farò quanto è necessario per difendere fino in fondo la credibilità dell’Italia», e con essa anche ciò che resta della sua credibilità nel consesso mondiale. Nel corso del colloquio il premier ribadisce che «il mio governo intende rispettare gli impegni», ma intanto si chiede e chiede «cosa posso fare più di quanto ho fatto».

La risposta della cancelliera tedesca non si fa attendere, è un suggerimento che somiglia tanto a una perentoria richiesta: far validare intanto da un voto del Parlamento le linee guida del piano di risanamento presentato in Europa, una sorta di imprimatur preventivo in attesa dell’approvazione dei provvedimenti. La piena ha superato ampiamente i livelli di guardia quando Berlusconi accenna a Napolitano le «misure choc», prospettate ancora come ipotesi, segno della confusione che regna nella maggioranza e che viene indirettamente confermata dall’assenza di Bossi al vertice serale di Palazzo Chigi. E se è vero che la conversazione con il presidente della Repubblica convince il premier che «al Quirinale non si ordiscono trappole», è altrettanto vero che il Colle è risoluto nel chiedere atti di governo che tolgano l’Italia dal mirino della speculazione finanziaria.

Il punto però non è stabilire quale sia il mezzo con cui varare i provvedimenti, poco importa se si tratti di decreti e di emendamenti da inserire nella legge di Stabilità: il nodo è il contenuto. Ed è su questo che scoppia l’ennesimo scontro tra Berlusconi e Tremonti, considerato dal premier non più solo un «problema politico», ma un «fattore» dell’attacco speculativo all’Italia per via dell’atteggiamento assunto in questa fase: «Se un ministro dell’Economia si mostra scettico sulle misure che vengono adottate, che segnale trasmette ai mercati»? L’accusa che Berlusconi rivolge all’inquilino di via XX settembre di «tradimento».

Per tutta risposta anche ieri sera, al culmine dell’ennesimo alterco al vertice, Tremonti ha invitato il Cavaliere a fare «un passo indietro», in nome «dell’interesse nazionale», delle «aste dei titoli di Stato sul mercato». Ma il premier non ha intenzione di dimettersi, e ieri mattina aveva studiato una road map per resistere a Palazzo Chigi. Sul fronte istituzionale era (e al momento resta) sua intenzione convocare un Consiglio dei ministri con cui varare una prima parte di misure da presentare già ai partner internazionali del Gzo. Epperò sarà difficile realizzare questa parte del piano, visto che ieri sera non era stato ancora raggiunto un accordo. Sul fronte politico resta convocato l’Ufficio di presidenza del Pdl, pronto a chiedere —con un documento —che «tutte le decisioni in materia economica vengano accentrate a Palazzo Chigi».

È un modo per mettere in mora Tremonti, e al tempo stesso per tenere saldo l’asse con la Lega, dato che «le misure — questo sarà scritto nella risoluzione del partito — dovranno essere coerenti con il piano preparato per l’Europa», quella sorta di programma di governo di fine legislatura firmato da Bossi, e che pertanto dovrebbe vincolare il Carroccio. Dovrebbe, visto che il Senatur con la sua assenza pare volersi tenere le mani libere.

Ma non è questo il pericolo maggiore per Berlusconi, sono piuttosto le crepe nelle file parlamentari a destare allarme, l’ipotesi — fondata — che altri deputati lascino la maggioranza e lascino di conseguenza il governo senza fiducia a Montecitorio. Per questo nella sua road map il Cavaliere ha previsto di presentarsi davanti alle Camere dopo il Gzo, non prima, come gli hanno chiesto ieri i leader del terzo polo. È evidente il motivo: il premier ha intuito il rischio dell’agguato e non intende andare al vertice di Cannes da «dimissionato».

Dopo, invece, potrebbe farsi scudo dei provvedimenti per sfidare il Parlamento ad accettare il piano di risanamento «nell’interesse del Paese» o staccare la spina all’esecutivo. A quel punto — come spiegava in questi giorni il segretario del Pdl Alfano — «tutti dovranno sapere che dopo il governo Berlusconi non potrà esserci il governo dei congiurati, ma solo il voto anticipato».

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da Repubblica

Le consultazioni informali del Colle – Le consultazioni informali del Colle sotto esame al tenuta del Cavaliere e spunta l’ipotesi delle larghe intese

di Tito Claudio

Giorgio Napolitano scende in campo. La crisi economica stringe in una tenaglia il nostro Paese e la situazione politica non offre tutte le garanzie perché le misure reclamate dall’Ue vengano approvate rapidamente. Mentre le borse precipitano e il debito pubblico italiano lede la credibilità del sistema, al Quirinale suona l’allarme e il capo dello Stato avvia una sorta di consultazioni informali. Contatti con le autorità istituzionali e politiche, con quelle monetarie e comunitarie. Con i leader politici, dei sindacati e del mondo imprenditoriale. Per illustrare a tutti la delicatezza del momento e saggiarne gli orientamenti. Per esortare Palazzo Chigi a premere sull’acceleratore della concretezza e per capire quali possano essere le eventuali alternative se il centrodestra non si dimostrasse in grado di varare tutti provvedimenti necessari.

Nessun pressing sul Cavaliere a fare un passo indietro, certo, ma solo la consapevolezza che in caso di crisi, il Colle sarebbe obbligato a verificare ogni possibilità per mettere in condizione l’Italia di rispondere all’emergenza economica nel modo migliore.

Sul tavolo c’è la “disponibilità” di tutta l’opposizione a fronteggiare l’emergenza Il colloquio con il presidente del consiglio è stato centrato proprio su questo aspetto. Il capo dello Stato chiede al governo un intervento celere. «Domani approveremo il primo pacchetto di interventi – ha assicurato Berlusconi -. Possiamo andare avanti senza incertezze. Già stasera vedrò i miei ministri per concordare concretamente ogni singolo provvedimento». Una dichiarazione di cui il presidente della Repubblica ha preso atto, ma di cui verificherà le conseguenze concrete.

Il Colle si aspetta che il premier dia un seguito sostanziale alle sue parole. Ma non si nasconde le viscosità che rallentano l’azione del centrodestra: a cominciare dal conflitto tra il presidente del consiglio e il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, per finire alle incertezze sulla composizione dei provvedimenti. Sa che le fibrillazioni dei mercati sono in questa fase determinate in primo luogo dall’emergenza greca ma si riflettono nel modo più pesante proprio sull’Italia. La crescita costante dei tassi ai quali vengono collocati i nostri Btp, l’impennata dello spread con i bund tedeschi, la caduta verticale della Borsa di Milano, l’allarme lanciato dall’Abi e da un banchiere di altissimo livello come Giovanni Bazoli, sono tutti elementi che confermano la fragilità italiana e l’analisi che in questi giorni viene elaborata dal Quirinale.

Per questo se il governo – e solo se – non riuscisse a fare fronte nella sua compagine ministeriale e in Parlamento allo scadenzario imposto la scorsa settimana dal Consiglio europeo, Napolitano sarebbe obbligato a «verificare» le alternative. Anche se, dicono gli uomini di Napolitano, nelle “consultazioni informali” non si può assolutamente prevedere un automatismo a favore di un esecutivo di larghe intese.

Sta di fatto che ieri la più alta carica dello Stato ha parlato al telefono coni! segretario Pd, Pierluigi Bersani, econ il leader Udc, Pier Ferdinando Casini. Entrambi gli hanno confermato la «piena disponibilità» ad appoggiare un esecutivo di «larghe intese». Ma senza Berlusconi. Una linea che stavolta non ha sorpreso il capo dello Stato. Sul Colle, infatti, sono consapevoli che non può più essere il momento di chiedere – come è accaduto la scorsa estate – un contributo nell’approvazione dei provvedimenti preparati dal Cavaliere. «Governo di transizione, una figura credibile in Italia e in Europa che lo guidi, misure d’emergenza per l’economia e riforma della legge elettorale. Ma Berlusconi deve andare a casa», sono le richieste e le condizioni poste da Bersani e Casini.

Un modo per dire chiaramente che le «larghe intese» non possono essere confuse con la disponibilità a condividere l’operato del Cavaliere. Ma per varare un «nuovo orizzonte» al momento manca un passaggio preliminare: le dimissioni del premier. Non a caso oggi il segretario democratico ricontatterà tutti i capi dell’opposizionee anche cosiddetti “ribelli” del Pdl. Allo studio c’è ora un documento che potrebbe essere scritto e firmato proprio dal gruppo degli “indisponibili” del centrodestra e sul qualeconvergerebbero i voti di tutta l’opposizione. Un testo da presentare la prossima settimana alla Camera in occasione delle comunicazioni del presidente del consiglio.

Una formulazione in cui si eviterebbero toni eccessivamente critici verso questi tre anni di governo Berlusconi, ma si inviterebbe il presidente del consiglio a salire al Quirinale perfacilitarele risposte da dare all’emergenza economica. Sarebbe quella, insomma, l’occasione per testare la tenuta della maggioranza dinanzi alla tempesta finanziaria. Napolitano quindi ora sa che tutta l’opposizione ha offerto la «disponibilità» per un percorso di questo tipo. Nello stesso tempo è intenzionato a «verificare» sia la tenuta della maggioranza sia i malumori che stanno emergendo nel campo del centrodestra. Ma soprattutto vuole seguire i segnali che possono provenire dall’Unione europea.

Tutti infatti sono a conoscenza del pressing che anche ieri il Cancelliere tedesco Merkel ha esercitato perché l’Italia adotti gli accorgimenti per evitare il contagio greco. I provvedimenti che oggi verranno annunciati in consiglio dei ministri subiranno una prima valutazione al G20 di Cannes che prende il via domani. Ma il vero banco di prova sarà quello dei mercati finanziari. Sul Colle vogliono «verificare» quale sarà l’esito. E capire se le parole pronunciate la scorsa settimana da Giulio Tremonti fossero fondate: «Il problema non sono le misure, ma è Silvio Berlusconi. Finchè c’è lui, ogni provvedimento viene bruciato».

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