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Torino: inizia il FestivalStoria. Intervista ad Angelo d’Orsi

Dal 5 all’8 ottobre Torino ospiterà la X edizione di FestivalStoria, dal titolo “Vento dell’Est. L’Oriente visto da Occidente” (http://www.festivalstoria.it/festival/images/stories/pdf2016/programma_2016.pdf).  Si tratta di un’edizione particolare del Festival che ha dovuto affrontare difficoltà inattese: l’iniziativa prevista originariamente a San Marino è stata messa a rischio dall’ingiustificabile atteggiamento dell’ateneo sammarinese che ha improvvisamente ritirato il suo sostegno e il finanziamento dell’iniziativa. Nonostante ciò  FestivalStoria continuerà a esistere, per merito dell’impegno del suo Direttore, Angelo d’Orsi e delle sue collaboratrici, Francesca Chiarotto e Lorena Barale e sarà interamente autofinanziato, grazie al sostegno di associazioni e forze sociali, tra le quali anche USB Scuola, e alla disponibilità di relatori e artisti che hanno accettato di intervenire a titolo gratuito.

Chiediamo al Direttore, prof. Angelo d’Orsi, di illustrarci l’evento che, già per le sue modalità di realizzazione, appare una testimonianza di quanto sia sentita, da parte degli intellettuali  non asserviti al conformismo dominante del pensiero mainstream, l’esigenza di costruire opportunità di confronto culturale libero e di dibattito critico.

 FestivalStoria, nato fra il 2003 (quando ebbi la prima idea) e il 2005 (prima Edizione), ha vagato tra la provincia piemontese, il Cuneese, in specie, Torino, per poi spostarsi a Napoli, quindi a San Marino. Di fatto era diventato itinerante. L’esperimento sanmarinese, della IX Edizione (2014) non mi convinse, non per l’esito (il successo di pubblico, pur senza una vera campagna promozionale, fu certo ed evidente), ma per una serie di pastoie burocratiche che ci furono messe dall’Università, che complicarono la manifestazione e resero più difficile il lavoro mio e del mio piccolo staff. E, infine, notammo che pur avendo noi svolto il 90% del lavoro, i sanmarinesi non esitarono, ex post, a attribuirsi il merito della buona riuscita. Quella Edizione, peraltro, fu voluta dal collega Luciano Canfora, che mise a disposizione un suo personale tesoretto di stipendi non percepiti, gesto che ovviamente apprezzammo molto e riconoscemmo in ogni sede. Lo stesso Canfora dopo avermi annunciato l’intenzione di ripetere l’esperimento l’anno dopo (2015), si diede alla macchia, insieme al rettore, Corrado Petrocelli, a dispetto delle molte mie sollecitazioni. Ricomparvero poi all’inizio di quest’anno, riannunciando la volontà di tenere il Festival sulla Rocca di San Marino. Da allora lavorai indefessamente al programma, e all’organizzazione, per poi, improvvisamente, nella scorsa primavera, trovarmi davanti a un  imprevisto, non spiegato, cambio di rotta di Canfora: in pratica, il Festival veniva sfiduciato senza motivazione. Alla mia insistenza, mi venne inviato un risibile documento del Consiglio di Dipartimento di Storia, presieduto da Canfora, in cui contestavano il valore scientifico del programma, mi imponevano una riduzione di budget e una revisione del programma stesso, con spostamento della data ai primi di dicembre o addirittura di gennaio 2017. Ovviamente abbiamo detto di no. E la vicenda sanmarinese è finita per sempre, con un penoso strascico. Per me, una dolorosa rottura con un collega e amico che ritenevo unito da una sincera corrente di stima reciproca. Evidentemente così non era. Ne prendo atto, e nulla mi farà tornare indietro. L’arroganza e la prepotenza non trovano alcuna giustificazione, anche se ammantate di scienza o di ideologia, per di più “progressista” o addirittura “comunista”.

Parliamo dei temi di questa edizione. Quali motivazioni hanno condotto a scegliere di affrontare questi argomenti? Oltre all’indubbia fascinazione che da sempre le culture orientali hanno esercitato, ha anche influito la percezione del ruolo sempre più significativo che i paesi asiatici rivestono negli instabili equilibri geopolitici multipolari in via di definizione?

Pensando il tema di questa X Edizione, ovviamente avevo in mente la Cina, il nuovo gigante dell’economia e della politica mondiale, il vero futuro contraltare, probabilmente, allo strapotere USA. Ma avevo in mente anche le contraddizioni non solo di quel Paese, bensì, per esempio, di un’altra grande nazione come l’India: interrogarci sul volto oscuro di Paesi che sono considerati in testa alla classifica del tasso di crescita, era uno dei miei obiettivi. Più in generale, andare alla ricerca di verità dietro gli stereotipi, e ad una conoscenza “per sentito dire”.  L’orientalismo è una cifra stimolante, ma anche fonte di equivoci e misconoscenza, che proveremo a dissipare nel Festival di quest’anno.

Quali saranno i nodi problematici e le linee principali di ricerca che verranno proposte dai relatori – tutti estremamente qualificati e di riconosciuto spessore scientifico – di questa edizione?

Il nodo di fondo è andare a interrogarci sulla stessa validità di categorie apparentemente consolidate quali “Oriente” e “Occidente”, tanto prese nella loro singolarità, quanto nell’accoppiamento. La proposta è quella di andare a scavare sotto la crosta di tali luoghi comuni, per avvicinarsi a un Continente, a una storia, a molteplici culture, che sono di enorme ricchezza, e che troppo spesso conosciamo in modo non solo approssimativo, ma confuso e persino errato.

Il Festival nelle edizioni passate ha svolto una fondamentale funzione non soltanto sul piano scientifico-culturale ma anche su quello della pedagogia civile, sia per i temi affrontati (tra gli altri le questioni relative ai migranti, alla guerra, al mito della razza), sia per il coinvolgimento dei giovani, delle scuole e degli insegnanti. Quali sono i valori e i significati che FestivalStoria vuole proporre all’attenzione del dibattito pubblico?

Ho sempre pensato e dichiarato, esplicitamente, che il Festival non voleva soltanto essere un luogo e un momento di intrattenimento, ma, al contrario, al divertimento intendevo e intendo dare un contenuto forte, pieno, a carattere civile, se non addirittura politico. Non dobbiamo avere timore delle parole. La parola storia e la parola politica sono coeve, e risalgono a parecchi secoli prima dell’Era Volgare. Sono connesse, in quanto senza storia non si dà politica autentica, non c’è cittadinanza, e senza politica la storia diviene erudizione. Il Festival  ha cercato di fare due cose: 1) suscitare la volontà di conoscere, a partire dai temi proposti, ossia il desiderio di approfondirli, finita la manifestazione; 2) dare messaggi precisi, usando come “pretesto” i i tanti argomenti che studiosi e studiose, scelti con il solo criterio della competenza, svisceravano, e i nostri messaggi sono sovente andati nel senso contrario a quello del senso comune, del pensiero mainstream, sempre a partire da dati di fatto, da una informazione precisa ed esauriente.

Nella presentazione del programma del Festival si sottolinea come la Storia si ponga in dialogo con altre discipline e linguaggi, quali la geografia, l’economia, la letteratura, la scienza delle religioni, il cinema.  Qual è oggi, a suo avviso,  lo statuto epistemologico della ricerca storica e quale ruolo civile e politico, nel senso alto del termine, deve continuare ad avere l’insegnamento della Storia nelle scuole e nelle università ?

Il  nostro non è un “festival di storia”, ossia una passerella di devoti a Clio: certo gli storici dominano, ma sono sempre accompagnati da filosofi, scienziati politici, letterati,artisti, esponenti delle “scienze dure” giornalisti, economisti, e così via. La interdisciplinarità è fondamentale. Il dialogo tra le varie forme della conoscenza essenziale per evitare l’asfissia e la paralisi. Ma nella filosofia di FestivalStoria, che nasce da una costola per così dire dell’Associazione Historia Magistra, da me fondata nell’anno 2000, e che dal 2009, pubblica anche l’omonima rivista, c’è soprattutto l’idea che la storia, da una parte, costituisca un diritto fondamentale, e dall’altra che essa più che essere una disciplina, sia il binario su cui tutte devono in qualche modo muoversi. Quello che perseguo, comunque e ovunque, è il sapere critico. E oggi la storia non se la passa tanto bene, anche per la sua progressiva espunzione di fatto dalle università, la riduzione contenutistica e la semplificazione metodologica, di cui soffre, considerata com’è un “sapere inutile”, che non serve al mercato.  E soprattutto, mentre sembra crescere una richiesta di storia, essa viene affidata alle dubbie mani dei mestieranti, mentre gli storici professionali, anche per un loro difetto di capacità comunicativa, vengono emarginati.

Allargando lo sguardo oltre il Festival verso la questione più generale della trasmissione del sapere, quali le sembrano le condizioni dell’ Istruzione pubblica, Scuola e Università, nel nostro paese, ai tempi del renzismo dominante?

Sono condizioni penose, anche se sono ancora numerose e tenaci le sacche di resistenza. Credo però che non basti più resistere, perché saremmo sconfitti, prima o poi, definitivamente. Ritengo si debba passare al contrattacco. Le mie attività, tutte, si muovono in questa direzione.

In conclusione, siamo certi che FestivalStoria continuerà a vivere anche nei prossimi anni.  Pensa alla possibilità di costruire ulteriori momenti di dibattito e di formazione che coinvolgano anche le scuole, gli studenti e gli insegnanti aspettando le future edizioni del Festival?

Francamente, io non sono sicuro che il Festival possa proseguire la sua attività, che nelle nostre intenzioni doveva essere perseguita lungo l’intero anno, con attività educative verso i giovani e formative verso gli insegnanti, e di sollecitazione verso un più ampio pubblico. Questa Edizione, pur faticosamente, è stata resa possibile dai contributi di singoli e di associazioni, come è stato qui ricordato; e anche, però, dalla piccola somma risparmiata negli anni. Finita la manifestazione, fatti i conti, non ci rimarrà un euro, e ho già messo in conto l’ipotesi di dover intervenire personalmente per tappare eventuali buchi di bilancio. In ogni caso, se non interverranno soggetti esterni, in grado di sostenere finanziariamente la manifestazione, sarò costretto a chiudere. Del resto, io posso lavorare gratis, ma non posso costringere a farlo chi collabora con me.

 

Redazione Contropiano Torino

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