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Le Quattro Giornate di Napoli

Antonio Salzano, un amico blogger mi chiede una sintetica biografia, una breve scheda sul libro e le date delle presentazioni. Parlare di se stessi non è mai facile e la mia storia, lunga e complicata ha pagine sulle quali è meglio tacere. Dovrà contentarsi perciò di una versione riveduta e corretta di quella che si trova in questo blog dietro la parola About.

Le presentazioni previste per ora sono due: una, certa, il 21 settembre alle 17 all’ex OPG Occupato; un’altra, molto probabile, il 2 ottobre stessa ora alla Biblioteca Croce, a conclusione delle celebrazioni per le Quattro Giornate.
In quanto alla scheda, la riporto qui, perché in fondo spiega meglio e più della quarta di copertina.

Anzitutto ciò che il libro non è, per non ingannare chi pensa di acquistarlo. Come in parte annuncia il sottotitolo, con il suo esplicito cenno agli antifascisti, il lavoro non è – e non vuole essere – una ricostruzione di scontri armati, di cui altri si sono già occupati con una dovizia di particolari spesso in contrasto tra loro. Tranne sporadici cenni, la rivolta “militare” non c’è.

Ci sono, invece, sono stati finora i grandi assenti della ricostruzione storiografica, i combattenti antifascisti e la loro lunga lotta contro la dittatura. Ci sono – e anche qui si tratta di un vuoto che andava colmato, le loro idee politiche, i motivi profondi per cui giungono a metter mano alle armi e l’idea di Paese per cui si battono. Un’idea che naturalmente non è uguale per tutti, perché tra i combattenti troviamo non solo comunisti, anarchici e socialisti, subito divisi dopo l’insurrezione, ma monarchici, repubblicani, cattolici, liberali e qualche fascista che salta abilmente sul carro dei vincitori o – sembra incredibile – attacca i nazisti per patriottismo e pensa di regolare poi i conti con i comunisti. Di lì a qualche tempo alcuni di questi combattenti si ritrovano nelle formazioni paramilitari neofasciste.

Ci sono, anch’esse di fatto “dimenticate”, splendide figure femminili, che combattono da protagoniste e una pattuglia di ebrei. A conti fatti e calcolando per difetto, oltre trecento antifascisti; una percentuale significativa sul totale di quanti sono coinvolti nella lotta, che non dura quattro giorni, ma inizia l’8 settembre con l’armistizio, prosegue senza interruzione durante la feroce occupazione della città e non termina l’uno ottobre, con la ritirata dei tedeschi.

Una banda partigiana, infatti, non consegna le armi, dà la caccia ai fascisti e si ferma solo quando i carabinieri – ex fascisti, diventati badogliani e futuri “repubblicani” – arrestano il loro capo. In quanto agli altri, non manca chi prosegue la lotta partecipando alla Resistenza.
Con questa impostazione il libro è, di fatto, un andirivieni tra l’Italia prefascista, quella fascista e il Paese che nasce nel dopoguerra. Non è stato facile tenere insieme i fili del ragionamento ma, grazie ai percorsi di vita e alle esperienze politiche dei protagonisti, il libro non solo smantella lo stereotipo degli “scugnizzi” e della “città di plebe”, ricostruendo il volto politico dell’insurrezione, ma fa luce sulle divisioni spesso aspre tra i combattenti negli anni successivi, su una “epurazione alla rovescia”, che vede la sinistra del Pci e del Psi messa ai margini e spesso cancellata dalla storia e gli squadristi impuniti, che conservano le loro posizioni nei gangli del potere non più fascista ma repubblicano.

In questo senso Napoli, in cui si trovano a convivere Togliatti, Croce, De Nicola e Giovanni Leone, diventa il laboratorio politico in cui prende inizialmente corpo la repubblica con le sue luci e le moltissime ombre.

Il libro, che restituisce la parola a chi non l’ha avuta, fa giustizia delle ricostruzioni ideologiche e dei luoghi comuni. Non ultimo, quello della celebrata disciplina e correttezza dei tedeschi, che sono invece collusi con i contrabbandieri della borsa nera, responsabili con i fascisti della fame che tormenta una popolazione che prende a disprezzarli ben prima che scoppi la rivolta.

Il saggio diventa così anche una secca risposta all’intollerabile retorica sulla “formichina tedesca”, che assegna i “compiti a casa” alle “cicale” meridionali.

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