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Luca De Fusco, ovvero: chi semina vento raccoglie tempesta!

Venerdì scorso. Le soffuse luci del crepuscolo fanno da preludio alla serata inaugurale della terza edizione della rassegna Pompei theatrum mundi.

Diretta e ideata con la partecipazione della Fondazione Campania dei Festival (istituzione in house della Regione Campania) – dall’Eliogabalo del Teatro Nazionale di Napoli, Sua Eccellenza il Mega Direttore Luca De Fusco, la rassegna avrebbe visto in scena, per la sua inaugurazione, la prima de La Tempesta, di William Shakespeare. Per la regia, neanche a dirlo, dello stesso De Fusco.

Pompei Teatrum Mundi, per altro, vale la pena ricordarlo, è una sezione del Napoli Teatro Festival Italia che, diretto da Ruggero Cappuccio -nome papabile a sostituire lo stesso De Fusco alla direzione del Nazionale partenopeo – è in corso, in questi giorni, a Napoli.

Un magma dispendioso e scriteriato di spettacoli che, secondo l’ormai consolidata formula, fondata sul modello preminentemente liberista, del rapporto sinergico tra Cultura e Turismo, trova diverse dislocazioni su tutto il territorio regionale.

Ma torniamo a La Tempesta. Uno spettacolo sfarzoso e costosissimo, finanziato con soldi pubblici, per la realizzazione del quale – come, d’altra parte, per ogni suo progetto – l’Eliogabalo De Fusco ha investito centinaia di migliaia di euro, provenienti (a quanto pare) in larga parte dagli stanziamenti della Città Metropolitana. Fondi non vincolati, certo, ma che sarebbero stati necessari al pagamento dei cosiddetti “cronologici”, cioè al versamento degli stipendi delle ultime tre mensilità arretrate, a dipendenti e scritturati del Teatro Stabile Nazionale Mercadante; nonché al saldo del debito di coproduzioni, legate allo stesso Mercadante. Tra cui, ad esempio, l’ormai storico progetto Arrevuoto.

Dunque, un uso altamente opinabile del denaro pubblico, da parte del signor Luca De Fusco, che risulta quanto meno eticamente discutibile, perché rientrante in una logica di gestione autocratica e padronale di un ente a tutti gli effetti pubblico, qual è un Teatro Nazionale.

Una logica, per di più, che esautora, di fatto, un Consiglio di Amministrazione la cui attività sembra ridursi a semplici prese d’atto formali, piegate ai desiderata del Direttore, di cui si avalla ogni scelta, anche se sconsiderata.

Eppure, all’interno di quel Cda – nominato sulla base di un rigoroso spoil system – siedono membri designati dal Comune e, dunque, rappresentanti il Sindaco De Magistris e il suo movimento, DemA. Quello stesso sindaco che, in passato, tante volte ha criticato la gestione De Fusco, per poi volare, successivamente, a Barcellona, in occasione di uno spettacolo tenuto lì dal direttore, e sancire quella che è passata agli annali come la Pax Catalana. Cosa facciano quei membri e che funzione di controllo svolgano sull’operato del direttore artistico, resta quindi, per noi, un mistero.

E sì che non poche irregolarità sono state commese nel corso di questi otto anni di direzione De Fusco. Dallo scandalo per le assunzioni del personale, a causa di una mancanza di trasparenza nelle procedure di selezione – che provocò anche l’apertura di un’inchiesta, da parte della Procura della Repubblica di Napoli – alle ripetute proteste da parte di maestranze e scritturati, proprio per i mancati pagamenti, finanche delle diarie. Fino al cumulo di nomine collezionate, in passato, dall’abbronzatissimo e principesco direttore che, per un certo tempo, ha anche ricoperto il ruolo di direttore del Napoli Teatro Festival e della Fondazione Campania dei Festival, presieduta dall’allora Assessora regionale alla Cultura, Caterina Miraglia, durante la presidenza Caldoro.

Un cumulo di nomine e una dissennata attività manageriale che provocarono le proteste di numerosi artisti e addetti ai lavori, culminate, nel 2012, in quella che si definì Assemblea permanente sulle arti della scena, svoltasi nei locali del museo Pan di Napoli. Un’assemblea che vide la partecipazione nutrita di attori, registi, musicisti, scenografi e di tante altre figure professionali legate allo spettacolo dal vivo, e dalla quale uscì un documento di denuncia durissimo contro la mala gestione e il conflitto d’interessi che coinvolgevano De Fusco.

Quel documento fu indirizzato alla Procura della Repubblica di Napoli, al capo dello Stato Giorgio Napolitano, ai leader di Commissione e Parlamento europei – Josè Manuel Barroso e Martin Schulz – al sindaco Luigi de Magistris. Ma come risultato ottenne, purtroppo, solo le dimissioni di De Fusco dalla carica di direttore della Fondazione Campania dei Festival. Mentre soltanto in seguito si sarebbe dimesso da quella di direttore artistico del Napoli Teatro Festival.

Il defuschismo però – un modello manageriale-artistico ultraliberista ma con venature da struttura economica feudale – resiste all’interno del Mercadante, come abbiamo più sopra evidenziato. E, purtroppo, fa proseliti, trovando larga applicazione, più o meno con gli stessi caratteri, anche presso altri Teatri.

E allora ci chiediamo, ad esempio, se il Teatro Nazionale di Genova, coproduttore della suddetta Tempesta e diretto da quel Marco Sciaccaluga, con il quale De Fusco applica una rigorosa legge dello scambio di spettacoli da essi stessi diretti – desertificando, di fatto, le tournée di altri lavori prodotti e coprodotti dai due Nazionali – sia informato dell’uso – diciamo così – disinibito che il direttore dello Stabile partenopeo fa dei soldi della collettività. E, se informato, se ne condivida la disinibizione.

Sia ben chiaro, lo scambismo tra i direttori dei teatri nazionali è pratica sancita dal Ddl Franceschini-Nastase, con cui, com’è noto agli addetti ai lavori, il Mibac ha inteso inopinatamente disciplinare, qualche anno fa, il settore dello spettacolo dal vivo. Il problema è che lo scambismo praticato da De Fusco è totalizzante al punto che, a goderne, è quasi esclusivamente il direttore del Mercadante. La cui ingordigia panspettacolare, all’interno di una direzione, per giunta, pressoché autoreferenziale, da dominatore assoluto, ha, in questi anni, finito per polverizzare le piccole realtà teatrali cittadine.

Il tutto, nell’ottica di quel brechtiano e negativo concetto di teatro gastronomico, digeribile, rassicurante, borghese, da vendere in megastore alla Godard adibiti a Teatro, e il cui principale obiettivo è il profitto. Un’ottica mercantile e produttivistica che, ormai, investe ogni aspetto della nostra vita e, di conseguenza, anche quello culturale. Cultura ridotta a pura merce, incapace di far sedimentare e lievitare un qualunque pensiero critico.

Senza tema di smentita, infatti, possiamo affermare che siamo alla realizzazione del paradigma Marchionne applicato alla cultura e all’arte, come peraltro pevedibile già anni fa. Di quel paradigma, De Fusco rappresenta l’apice. Seppur non sia il solo a procedere secondo le direttive di un management prettamente aziendalista e ultra liberista.

Va cambiato il sistema e le regole che lo informano. Ma per far questo, lo scontro – anche sul piano culturale – va portato fin dentro il cuore della macchina istituzionale. Che, è bene ricordarlo, risale come filiera alla “gabbia” dell’Unione Europea. Quella gabbia che, con l’imposizione del pareggio di bilancio in Costituzione e con l’ossessione per il rapporto Deficit/Pil – da tenere rigorosamente sotto il 3% – finisce col penalizzare qualunque investimento, anche nel settore culturale. Che si tratti di Teatro, Cinema, Arte, Musei, Editoria. Quel che conta, è vendere e fare profitto. Il resto va tagliato. Come il personale. Come gli operai di una fabbrica.

Com’è noto, però, chi semina vento raccoglie tempesta. E La Tempesta, quindi, oltre che metterla in scena, se la ritrova dentro casa.

E allora, per tornare al principio di questo nostro racconto, venerdì sera, all’esterno del teatro pompeiano, prima dell’inizio dello spettacolo diretto da De Fusco, un Calibano e alcuni spiriti magici si sono aggirati per lo spazio prospiciente l’ingresso, denunciando a voce alta la mala gestione, l’utilizzo disinvolto dei fondi pubblici, l’arroganza autoreferenziale, la concezione e la gestione padronale, quasi principesca – come si diceva più sopra – del Teatro Stabile Nazionale di Napoli, messa in campo dal signor Luca De Fusco.

Lo stesso De Fusco che, tra l’altro, anche per La Tempesta in questione, ha affidato, immancabilmente, il ruolo di prima attrice, alla sua musa scenica. Quella Gaia Aprea, sulle cui doti artistiche non possiamo dilungarci, ma che certo non giustificano l’incredibile novero di personaggi da ella interpretati, tra i più importanti del Teatro mondiale.

Si trattava, dunque, di giovani militanti e artisti dell’ex Opg-Je so’ pazzo e di Potere al Popolo. Militanti e artisti che, in questi pochi anni di attività, non solo hanno contribuito e stanno contribuendo a costruire un soggetto politico come Pap – fuori dalle sclerotiche logiche della decrepita sinistra italiana, votatasi, da tempo, al suicidio per auto consunzione- ma che hanno dato vita, proprio sul terreno della cultura e delle arti della scena, ad un’interessante realtà come quella del Teatro Popolare, in sintonia con altre città italiane.

All’interno di questo percorso, inoltre, hanno dato il via ad un Tavolo sui delicati temi della Cultura, dell’Arte e dello Spettacolo dal vivo, con l’intento di procedere, sul piano più direttamente politico, alla tutela dei diritti dei lavoratori del settore. Un impegno che sta già dando i primi frutti e che ha prodotto svariati incontri, a Roma come a Napoli, con diverse figure del comparto, pronte a sostenerne l’iniziativa politica.

Iniziativa politica cui va ascritta, a pieno titolo, la lettera contro l’eventuale rinomina, allo scadere del suo mandato, di Luca De Fusco a Direttore del Teatro Nazionale di Napoli Mercadante. Una lettera di cui proponiamo il testo di seguito:

Al Sindaco di Napoli Luigi De Magistris,

All’Ass. Cultura del Comune di Napoli, Nino Daniele,

Al Presidente del CDA del Teatro Stabile di Napoli Patroni Griffi

Siamo l’unità di diverse voci, occhi, braccia, figure professionali e artistiche, che quotidianamente lavorano nell’ambito del teatro, del cinema e della cultura. Il nostro, oltre ad essere un impegno lavorativo è uno strumento contro la dispersione scolastica, l’esclusione sociale e psicologica, lo sfruttamento lavorativo, la discriminazione di genere e di cultura.

Il nostro obiettivo è quello di restituire al teatro e a tutte le forme espressive la loro missione artistica, culturale e sociale, lontana dalla visione imprenditoriale e circoscritta alle logiche del mercato, una prassi ormai legittimata dallo Stato che tende solo a massimizzare il profitto.

Ci rivolgiamo a voi, in questa occasione, per chiedere che Luca De Fusco non sia rieletto alla direzione del Teatro Stabile di Napoli.

Luca De Fusco è il simbolo di un sistema nazionale che usa il teatro pubblico come spazio principalmente auto-referenziale, che nega qualsiasi tipo di relazione con chi anima e vive la scena teatrale della città. In otto anni di direzione artistica, gli obiettivi dichiarati dallo Statuto sono stati attuati in maniera funzionale alla sua personale gestione, allontanandoli completamente dalla loro reale intenzione di «valorizzare il repertorio contemporaneo», «sostenere la ricerca e la sperimentazione», «realizzare un centro studi di teatro», «prevedere la possibilità di una gestione condivisa»: neanche uno di questi punti può dirsi esente dalla mercificazione attuata dal De Fusco.

La direzione artistica di De Fusco è il risultato del Decreto Nastasi-Franceschini, e di un utilizzo del Fondo Unico dello Spettacolo basato su un astruso e freddo algoritmo economico. Ragioni che ci hanno resi ancor più spettatori passivi di una cultura sottoposta alle mere regole dell’efficienza economica, incapace di dibattito con il pubblico. La riforma favorisce, inoltre, un mercato al ribasso e incentiva la modalità di abbonamento “a scatola chiusa”. Un’offerta che risponde esclusivamente ad una logica commerciale e mai culturale. Non possiamo più accettare una tale gestione rispondente esclusivamente ai codici dell’intrattenimento, anziché a quelli dell’approfondimento e del pensiero critico.

Tale dinamica instaura un rapporto viziato tra i teatri, non incentiva un autentico scambio culturale ed artistico, ma vuole semplicemente perpetrare il sistema del mondo dello spettacolo il cui vero obiettivo è rientrare nel bilancio, dare comodità al pubblico, rincuorare il loro modo di essere non più spettatori, bensì turisti.

Noi chiediamo che la futura direzione attui dei CAMBIAMENTI REALI ALLA GESTIONE CULTURALE DEL TEATRO STABILE e della città di Napoli. Per questo esigiamo:

1) Trasparenza: chiediamo che l’elezione del direttore artistico e la nomina del CDA e del Comitato scientifico avvengano per bando pubblico, che dia merito al progetto e non al soggetto.

2) Decentramento, diffusione culturale e partecipazione: favorire una partecipazione decisionale plurale, creando consulte popolari composte dalle realtà teatrali operanti sul territorio, con attenzione alla componente giovanile e alla periferia. Promuovere progetti che investano nella ricerca e nella sperimentazione di diverse forme artistiche. Individuare nella città spazi abbandonati o in disuso e trasformarli in Beni Comuni di creazione artistica e culturale per tutte e tutti.

3) Ruolo culturale e sociale di un Teatro Stabile in città: un esempio potrebbe essere dar vita a un percorso simbiotico con le scuole, favorendo il senso critico degli studenti; porre fine alle masse scolaresche trascinate a teatro solo per rendicontare l’importo erogato dal FUS: è il teatro a dover entrare nelle scuole!

Qualsiasi sia la decisione del CDA, attueremo in modo capillare un controllo reale e concreto sulla gestione di un bene pubblico qual è il Teatro Stabile, sulle condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici della cultura e dello spettacolo e sulle politiche culturali che verranno portate avanti. Un controllo popolare sul teatro della nostra città, un teatro che dev’essere di tutte e tutti!
Potere al Popolo! (Tavolo Cultura e Spettacolo)

Ex Opg Je So’ Pazzo

Teatro Popolare

De Fusco e l’annosa questione Mercadante , dunque, promettono di essere solo il primo passo verso un processo rivoluzionario da intraprendere per smantellare quell’ astrusa congerie di norme logaritmiche, che disciplinano il settore teatrale, e, più in generale, per un radicale cambiamento di paradigma culturale in questo paese. Un processo rivoluzionario che deve necessariamente investire ogni settore del sapere e della società. Perché, come diceva il mai abbastanza compianto Antonio Neiwiller, “È tempo di mettersi in ascolto! È il tempo di un’arte clandestina!”

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1 Commento


  • Giorgio Taffon

    Basta con gli artisti “morti” di un teatro “morto”. Appoggio in pieno la iniziativa proposta qui…

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