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Turchia: rabbia contro la polizia, giornalisti in piazza

I numeri dei partecipanti alle mobilitazioni contro il governo e contro la repressione non sono quelli enormi di qualche settimana fa, ma le piazze turche non smobilitano, e non passa giorno senza una manifestazione. Puntualmente repressa dalla polizia.

Le forze antisommossa turche hanno impedito la notte scorsa a diverse centinaia di giornalisti che protestavano contro la repressione delle proteste delle ultime settimane e contro pressioni, censura e autocensura imposti alla stampa turca di raggiungere Piazza Taksim a Istanbul. La manifestazione dei cronisti é stata bloccata sulla Istiklal Caddesi, il lungo viale noto per la movida ma ora soprattutto per le mobilitazioni e la repressione, da alcuni blindati della polizia e da un folto cordone di agenti in tenuta antisommossa. I giornalisti, nell’impossibilità di proseguire, hanno allora deciso di realizzare comunque un sit-in di protesta. La manifestazione era stata organizzata dalla “Piattaforma dei Giornalisti” per denunciare anche gli arresti arbitrari di cronisti e fotoreporter – tra i quali anche gli italiani Daniele Stefanini e Mattia Cacciatori – avvenuti durante le manifestazioni delle ultime settimane. Secondo i dati forniti dalla Fondazione Vakfi almeno 111 giornalisti sono stati feriti, arrestati dalla polizia o sono stati oggetto di violenza da parte degli agenti. Secondo Gulsah Karadag, del quotidiano Birgun, la polizia più volte ha sparato candelotti lacrimogeni ”direttamente contro i giornalisti” e diversi cronisti ”sono stati picchiati o arrestati solo perché stavano facendo il loro lavoro”. Il quotidiano Hurriyet riferisce anche del caso della giornalista Arzu Demir, dell’agenzia Etha, che ha denunciato di avere subito molestie sessuali durante la perquisizione della sua casa da parte della polizia il 18 giugno scorso. Secondo il Comitato internazionale per la Protezione dei Giornalisti (Cpj) la Turchia del premier Recep Tayyip Erdogan é oggi il paese del mondo con il maggior numero di cronisti in carcere.

1gezikorkmazE durante la notte scorsa ci sono stati di nuovo violenti scontri fra polizia e manifestanti sia ad Ankara che nella città meridionale di Antiochia. Nella capitale le unità antisommossa hanno disperso con la violenza diversi gruppi di manifestanti nella zona centrale di Kizilay usando gas lacrimogeni e cannoni ad acqua. Scontri anche ad Antiochia, nel sud del paese al confine con la Siria, dove già giovedì i funerali di un giovane dimostrante di 19 anni pestato a morte da un gruppo di membri dell’Akp oppure di poliziotti in borghese si sono trasformati in una grande manifestazione governativa. I manifestanti portavano foto di Alì Ismail Korkmaz, studente deceduto pochi giorni fa dopo 33 giorni di coma causato dalle botte ricevute nella notte tra il 2 e il 3 giugno durante una manifestazione a Eskisehir. Giovedì la polizia aveva accerchiato i dimostranti intimando loro di abbandonare la piazza dove erano concentrati e, al loro rifiuto, é intervenuta con cariche, getti d’acqua e lanci di lacrimogeni. Lo scontro con i manifestanti é durato alcune ore. Stesso scenario ieri sera quando la polizia ha impedito a migliaia di manifestanti di avvicinarsi al luogo in cui é stato ucciso il mese scorso un altro giovane manifestante, Abdullah Comert, nel quartiere di Armutlu, usando anche stavolta idranti e lacrimogeni. Ci sono stati diversi feriti. Uno dei giovani manifestanti, colpito alla testa da un candelotto lacrimogeno sparato ad altezza d’uomo, è in condizioni gravi.

Anche un altro manifestante è in gravi condizioni – è in coma – sempre a causa di un candelotto lacrimogeno che lo ha colpito alla testa martedì scorso nel centro di Istanbul. Si tratta di Mustafa Ali Tombul, 17 anni, colpito quando la polizia ha brutalmente caricato i manifestanti che volevano tenere un’assemblea all’interno del Gezi Park.  “Non auguro a nessuno di subire questo”, ha detto all’agenzia Dogan il padre di Mustafa Ali, Mehmet Tombul. “Pago le tasse, sulla casa, sull’auto, sul telefono, su qualsiasi cosa meno l’aria che respiro. E un poliziotto pagato con le mie tasse ha sparato a mio figlio. Ma in che mondo siamo?”.

Nelle ultime ore manifestazioni sono state sciolte e attaccate dalla polizia anche a Eskisehir e Smirne dove migliaia di persone sono scese in piazza per denunciare l’impunità garantita dal governo agli aggressori di Korkmaz.

Per stasera, invece, la Piattaforma “Taksim Solidarietà” ha fatto appello a scendere in piazza, di nuovo, nel centro di Istanbul, alle 17,30, per protestare contro l’ondata di arresti che nei giorni scorsi ha colpito molti dei suoi esponenti. In particolare ad essere arrestati nei giorni scorsi erano stati 32 attivisti che nelle scorse settimane si erano incaricati di coordinare l’occupazione del Gezi Park e le attività di dibattito e confronto. Martedì erano state circa 80 le persone fermate dalla polizia nel corso di ore di cariche contro i dimostranti che volevano riprendere possesso del parco dopo la sua “riapertura”. La maggior parte di loro, accusati di associazione a delinquere e terrorismo, sono comunque stati scarcerati giovedì sera.

Alcuni video: http://www.youtube.com/watch?v=dnyXw3xtqwg

                  http://www.youtube.com/watch?v=7DSoZis8Md0

Di seguito una intervista ad una giornalista svedese arrestata nei giorni scorsi ad Istanbul tratta dal sito http://turchia.over-blog.com

Sarah Olsson, giornalista svedese di 24 anni incarcerata ad Istanbul durante le manifestazioni del Parco Gezi, incontra la famiglia commossa all’aeroporto di Arlanda, dopo essere stata trattenuta in carcere per tre giorni in Turchia.
“Sono molto, molto stanca… e sono triste perché non doveva finire in questo modo… Avevo un’opinione migliore della Turchia” sono le prime parole di Sarah. Si trovava in Piazza Taksim sabato 29 giugno per fotografare e documentare le proteste, quando è stata arrestata dalla polizia senza spiegazioni. Adesso vuole portare avanti la causa.
1saraollson“Mi sono ritrovata spinta contro un muro assieme ad altre dieci persone, mentre piovevano proiettili di gomma… Alzo lo sguardo e vedo tre poliziotti a pochi metri da me che sparano… Ho un amico davanti a me, arriva un poliziotto che comincia a picchiarlo con il bastone. Quindi mi bloccano le mani e mi spingono a terra.”
Nell’intervista rilasciata al canale televisivo svedese Expressen Sarah descrive così le condizioni penitenziarie: ”Mi trovavo in una cella senza sbarre e senza luce. L’unica luce era quella del corridoio… C’erano due materassi blu di plastica… E’ stato difficile da un punto di vista psicologico. Non sapere l’ora… non poter andare in bagno quando ne avevo bisogno… non poter avere l’acqua quando mi serviva… Non sapere di che cosa mi accusavano e per quanto tempo mi dovevano tenere lì… Se sapevano o no della mia situazione all’ambasciata svedese, ecc. Questo è stato duro… Solo ieri mattina ho saputo che sospettavano che avessi partecipato alle dimostrazioni e incoraggiato altri a partecipare, che avessi urlato slogan e bestemmie contro la polizia e contro il presidente”.
Quando l’intervistatrice le chiede che cosa vuole fare adesso, Sarah Olsson risponde così: ”Intendo portare avanti il processo in un tribunale superiore e chiamare in causa il governo della Turchia per avermi sottratto la libertà e per avermi espulsa… Non mi è più consentito tornare in Turchia per un anno e la mia idea era quella di tornare il prima possibile… Farò di tutto per poterlo fare.”

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