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Ucraina, tregua già violata e nervi tesi

Gli insorti delle Repubbliche Popolari hanno già accusato stamattina l’esercito di Kiev di aver violato il cessate il fuoco siglato ieri pomeriggio a Minsk. Un esponente del parlamento della Repubblica Popolare di Donetsk ha denunciato che unità dell’esercito ucraino e della Guardia Nazionale hanno bombardato la cittadina di Amvrosievka ieri sera ben tre ore dopo la dichiarata cessazione dei combattimenti. E di nuovo stamattina i carriarmati di Kiev hanno sparato contro i miliziani a Faschevku.
Qualche ora dopo anche il regime ucraino – per non essere da meno – ha accusato i ‘separatisti’ di aver lanciato una decina di razzi contro le postazioni dell’esercito cacciato nei giorni scorsi lontano da Donetsk e Lugansk.

D’altronde, prima che a Minsk i rappresentanti delle due parti, dopo la conversazione telefonica tra Putin e Poroshenko, firmassero i 12 punti di un accordo che prevede anche il controllo internazionale della tregua e lo scambio dei prigionieri, i combattimenti erano stati feroci, con l’obiettivo – da una parte e dall’altra – di arrivare alla tregua avendo conquistato più territorio possibile. In particolare le milizie popolari, che rassomigliano sempre più ad un vero e proprio esercito regolare, hanno dato l’assalto a Mariupol, sul Mar D’Azov, già accerchiata nei giorni scorsi; giovedì le milizie sono riuscite a penetrare all’interno di un quartiere periferico della città costiera e ne sono nati furiosi scontri costati la vita a sette civili, compresi due bambini, mentre il nemico riprendeva a bombardare Donetsk uccidendo cinque civili. Il bilancio ufficiale delle 24 ore precedenti lo stop ai combattimenti annovera anche sette soldati di Kiev morti e 59 feriti. Ma le milizie popolari rivendicano di aver distrutto una colonna di blindati del battaglione punitivo ‘Aydar’ a pochi chilometri da Mariupol, e nei combattimenti con i paramilitari della Guardia Nazionale che tentavano di rompere l’accerchiamento 20 di loro avrebbero perso la vita. 
Le truppe di Kiev in ritirata da alcune località dell’est del paese – è costretta a raccontare anche ‘Repubblica’ pubblicando la corrispondenza di un freelance presente sul luogo – si sono lasciate andare a numerosi crimini contro la popolazione locale, considerata complessivamente come nemica.

Poi è arrivata l’intesa, imposta al presidente Poroshenko proprio dall’umiliazione militare inflitta dai ‘ribelli’ alle sue truppe e che rischiava di aggravarsi nei prossimi giorni. In nome del nuovo clima teoricamente più disteso l’oligarca fattosi eleggere capo di stato lo scorso 25 maggio ha affermato di essere pronto a un non meglio precisato ‘decentramento’ concedendo più diritti linguistici e culturali agli abitanti delle regioni russofone. Ma Igor Plotnitsky, leader della Repubblica Popolare di Lugansk, una delle due entità della cosiddetta ‘Nuova Russia’, ha già chiarito che la cessazione delle ostilità – ammesso che duri – non implica né il disarmo delle milizie popolari né la lotta per l’indipendenza da Kiev.

Comunque in molte zone, da ambo i lati della barricata, numerosi soldati e miliziani si sono allontanati dalle linee per tornare alle loro città ed è iniziato lo scambio di prigionieri di guerra (gli insorti ne hanno fatti un migliaio, soprattutto negli ultimi giorni, mentre Kiev ne vanta circa 200) e il ritorno alle loro case di una piccola parte degli 800 mila ucraini scappati in Russia dai bombardamenti delle truppe governative e dai combattimenti. Teoricamente nei prossimi giorni dal fronte dovrebbero essere ritirati altre truppe e i mezzi pesanti, così come aiuti umanitari dovrebbero entrare a Lugansk e Donetsk con la supervisione sia di Kiev sia di Mosca. Un passo obbligato ma anche uno smacco per il regime nazionalista salito al potere con il colpo di stato di febbraio che ha dovuto riconoscere i ‘terroristi separatisti’ come controparte, ammettere che nel paese è in corso una guerra civile, ed applicare le proposte russe sulla de-escalation.

Proposte che sono state alla fine la base del ‘protocollo preliminare’ concordato a Minsk alla presenza della rappresentante Osce Heidi Tagliavini, dell’ex presidente ucraino Leonid Kuchma in rappresentanza di Kiev, dei due premier di Donetsk e Lugansk, Alexander Zakharcenko e Igor Plotnitski, e dell’ambasciatore russo in Ucraina che però non ha firmato non riconoscendo Mosca di essere coinvolta direttamente nel conflitto. Altro smacco per Poroshenko e Nato che continuano a insistere istericamente sul fatto che il rovesciamento del fronte di due settimane fa è frutto di una invasione dell’esercito russo che nessuno ha però documentato.

Per salvare le apparenze l’oligarca ha pomposamente rivendicato che «questo processo di pace si basa sul mio piano di pace, che si fonda sull’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza del mio Paese» ma sono pochi gli analisti, anche antirussi, che si azzardano a corroborare questa versione dei fatti. Il premier ucraino Arseniy Yatseniuk, che nei giorni scorsi aveva guidato il partito dei falchi contrari al cessate il fuoco, ha comunque chiesto che siano Washington e Bruxelles a monitorare la tregua perché, ha detto, «Da soli con la Russia non ce la faremo, abbiamo bisogno di garanzie». Da uno che propone di costruire migliaia di chilometri di muraglia elettrificata e minata lungo il confine tra Ucraina e Russia è il minimo che ci si possa aspettare. Il portavoce del Consiglio di sicurezza e difesa di Kiev, Andrij Lisenko, ha da parte sua denunciato che la Russia sta rafforzando in queste ore il proprio schieramento militare in Crimea in vista di “un’invasione in grande stile”.

Anche il capo della Casa Bianca, che già si era detto scettico sul cessate il fuoco, ha ribadito che gli “Stati Uniti sono fiduciosi ma scettici” sulla tenuta dell’accordo, il che vuol dire che Washington continuerà a perseguire con ogni mezzo il sostegno militare e politico al regime nazionalista ucraino e l’annientamento militare degli insorti dell’est.

Da parte sua la signora Merkel è stata un po’ più magnanima, affermando che le nuove sanzioni preparate dall’Unione Europea contro la Russia potrebbero essere sospese se l’accordo di Minsk terrà. In ogni caso la questione dello status dei territori insorti – di fatto indipendenti, il che è inaccettabile per i nazionalisti ucraini – rimane spinosissima e la campagna elettorale che porterà alle elezioni parlamentari del 26 ottobre potrebbe vedere uno scontro feroce tra i diversi oligarchi in corsa proprio su questo. E in un paese in cui ogni tycoon gode di una sua milizia armata personale non è detto che la provocazione militare mirante a far riesplodere il conflitto non sia una delle carte da giocare per chi soffia sul fuoco del muro contro muro.

D’altra parte anche Mosca vede come il fumo negli occhi la richiesta ucraina di adesione all’Alleanza Atlantica e l’arrivo nel paese di migliaia di soldati occidentali per le esercitazioni previste tra una decina di giorni. Se l’Unione Europea vuole frenare sullo scontro con la Russia è proprio su queste due questioni che deve impedire ai falchi di Washington – e i loro alleati di Londra, dell’Europa Orientale e qualcuno dice pure di Roma – di andare dritti per la loro strada. Ma questo lo capiremo già nei prossimi giorni. Per ora il presidente francese Hollande ha affermato che, se il cessate il fuoco regge, Parigi venderà a Mosca le navi da guerra di classe Mistral bloccate pochi giorni fa, facendo irritare non poco la Casa Bianca. Ma le provocazioni militari scatenate dalla Nato e dall’Unione Europea ai confini della Russia non sono cosa da poco e potrebbero essere un ostacolo non indifferente ad un eventuale necessità europea di ricucire con Mosca. In questi giorni centinaia di soldati della Nato stanno già partecipando a esercitazioni militari nei territori di Germania, Polonia, Lettonia e Lituania, e tra di loro ci sono anche 90 paracadutisti della Folgore. Per non parlare delle decisioni del recentissimo vertice di Newport, a partire dalle 5 nuove basi permanenti nell’Europa Orientale che violano il trattato con la Russia del 1997, la realizzazione di una Forza di Reazione Rapida in funzione esplicitamente antirussa e l’aumento delle spese militari.

La Nato ha usato la crisi ucraina “solo come pretesto per attuare piani concepiti da tempo» e quanto annunciato in merito a esercitazioni congiunte dell’Alleanza Atlantica in Ucraina non farà che «accrescere la tensione» e «minacciare» i progressi nel processo di pace ci ha tenuto a dire il ministro degli Esteri di Mosca Sergej Lavrov.

La pace è sicuramente lontana. La guerra è sempre più vicina?

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