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Donbass e Russia: un’analisi del discorso di Putin

«Sono convinto che l’Assemblea Federale appoggerà le leggi costituzionali sull’accoglimento e la formazione in Russia di quattro nuove regioni, quattro nuovi soggetti della Federazione Russa, perché questa è la volontà di milioni di persone. E questo è un loro diritto, un loro inalienabile diritto, fissato nel primo articolo dello Statuto dell’ONU, in cui chiaramente si parla del principio dell’eguaglianza di diritti e di autodeterminazione dei popoli».

Dopo il saluto introduttivo, è questo il fulcro dell’attacco iniziale del lungo discorso con cui Vladimir Putin, il 30 settembre, ha accompagnato la firma al Cremlino degli accordi sull’ingresso nella Federazione russa delle Repubbliche popolari di Donetsk e di Lugansk e delle regioni di Khersòn e Zaporož’e, a conclusione dei referendum che hanno sancito la volontà popolare.

Al di là dei riferimenti storici, antichi e recenti, alla comune storia, e ancor più del doveroso tributo a tutti i martiri, civili e militari, caduti per mano dei golpisti neonazisti di Kiev, dal 2014 a oggi, anche alla vigilia dei referendum e subito dopo di esso, il succo della questione è proprio nel riferimento al principio di autodeterminazione dei popoli.

Un principio invocato da USA, NATO, UE ogni qualvolta intendano insediare loro manutengoli in giro per il mondo, ma inevitabilmente negato quando siano davvero le popolazioni a voler decidere del proprio destino.

A quel principio, Putin aveva fatto riferimento anche otto anni fa, a proposito del referendum in Crimea; e, ora come allora, ha messo l’accento sulla decisione di Novorossija, che è «da ora e per sempre».

Abbastanza chiaro, per chi dovesse intendere: questo è un punto fermo, a partire dal quale Putin, ancora una volta, ha ribadito che «la Russia è pronta a trattare con l’Ucraina»; ma quelle regioni sono ora territorio russo e Putin, invitandoli al dialogo, ha ammonito i golpisti ucraini a rispettare «la libera volontà espressa dal popolo», precisando che «difenderemo la nostra terra con tutte le forze e i mezzi che abbiamo».

Vasilij Stojakin, su Ukraina.ru, nota come nel diritto internazionale esista in realtà un conflitto tra i principi del diritto all’autodeterminazione e della inviolabilità delle frontiere.

Putin non ha parlato esplicitamente di questo conflitto, ma in sostanza ha detto che la Russia è sempre stata guidata dal principio di inviolabilità dei confini; poiché però questo principio è stato calpestato dall’Occidente, la Russia farà lo stesso. Il riferimento ai casi di Slovenia, Croazia, Montenegro, Kosovo, ecc. è esplicito.

In generale, l’impressione è quella di un discorso abbastanza pieno di pathos patriottico: Putin ha ricordato la «catastrofe nazionale» per la «decisione sulla dissoluzione dell’URSS» nel dicembre 1991 (cui peraltro aveva partecipato seguendo gli ordini di Eltsin). Ancora una volta, però, come già in passato, lo ha fatto dal punto di vista di chi si rammarica per la perdita di un unico spazio territoriale, dal momento che l’Unione Sovietica «non c’è più e il passato non può essere ricostituito. E poi la Russia oggi non ne ha più bisogno; non tendiamo a questo».

Più o meno così termina il segmento “interno” del discorso di Vladimir Vladimirovič, la cui parte principale è poi dedicata alla politica globale.

Quindi, formalmente rivolto alle forze impegnate al fronte, punta il dito contro «i circoli dirigenti del cosiddetto Occidente». Ora è chiaro a tutti «quale nemico ci si contrapponga, chi stia gettando il mondo in nuove guerre e crisi, traendo da questa tragedia il proprio sanguinoso vantaggio

Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, l’Occidente decise che il mondo, tutti noi, avremmo dovuto sopportare per sempre i suoi diktat. Nel 1991, l’Occidente contava sul fatto che la Russia non si sarebbe ripresa da tali sconvolgimenti… in tutto questo tempo, l’Occidente ha cercato e continua a cercare una nuova possibilità per colpirci, indebolire e distruggere la RussiaPer loro è fondamentale che tutti i paesi cedano la loro sovranità agli Stati Uniti».

Dopo aver descritto le delizie delle “missioni umanitarie” a suon di bombe, Putin ribadisce che “l’Occidente collettivo” intende vedere la Russia «come colonia. Vogliono non una collaborazione paritaria, ma il saccheggio».

Ha ricordato la politica coloniale dell’Occidente sin «dal periodo medievale, cui era seguito lo schiavismo, il genocidio delle tribù indiane in America, il saccheggio di India e Africa, le guerre di Inghilterra e Francia contro la Cina… Invece noi siamo orgogliosi del fatto che nel XX secolo proprio il nostro paese sia stato a capo del movimento anti-coloniale», attribuendo così alla Russia i meriti guadagnati nel XX secolo dall’URSS sul terreno del confronto anti-imperialista e delle lotte di liberazione; ad esempio in Angola, Etiopia, Mozambico, Vietnam, ecc. Per parte nostra, non vogliamo ricordare di sfuggita, per dire, anche lo «sciovinismo russo negli eventi balcanici, non meno disgustoso di quello europeo» (Lenin) nella prima decade di quello stesso XX secolo?

D’altronde, in tutto il lungo intervento, la categoria – la semplice espressione imperialismo – non è mai comparsa e la giusta e doverosa condanna della politica coloniale sembra scelta quale cornice per mettere in evidenza la storia dei rapporti tra Occidente e Russia negli ultimi trent’anni: dal saccheggio (deliberatamente concesso dalle allora nuove élite russe) delle risorse naturali e dei colossi industriali sovietici, al lento ma continuo crescere del nuovo capitalismo russo che, una volta assestatosi in patria, ha cominciato a rosicchiare posizioni occidentali in giro per il mondo, candidandosi quindi a guida di tutti i paesi i cui capitali intendano sottrarsi all’egemonia del dollaro.

E tale cronaca, dal 1991 a oggi, viene legata all’intera (o quasi) storia della Russia che, «grazie a un forte stato centralizzato», si era sottratta al saccheggio delle proprie risorse, sia «nel periodo dei Torbidi agli inizi del XVII secolo, che anche durante gli sconvolgimenti seguiti al 1917». “Sconvolgimenti” che hanno nomi precisi: intervento di quattordici stati stranieri, in appoggio a quella controrivoluzione bianca cui oggi in Russia si innalzano monumenti e affiggono targhe commemorative.

Poi, però, l’Occidente è «riuscito a impadronirsi delle ricchezze della Russia alla fine del XX secolo: allora ci chiamavano amici e partner, ma in realtà eravamo trattati come una colonia». Verissimo: ma, è tutto qui il rincrescimento per la distruzione (quasi) a tavolino del primo Stato socialista plurinazionale, il centesimo anniversario della cui fondazione i comunisti celebreranno tra meno di tre mesi?

Così, la verità scontata per cui i «paesi occidentali proclamano da secoli che portano libertà e democrazia agli altri popoli. È tutto esattamente l’opposto: invece della democrazia, oppressione e sfruttamento; invece della libertà, schiavitù e violenza», non è che la premessa per arrivare al nodo centrale, che si va sempre più concretizzando: l’inevitabile tonfo de «l’intero ordine mondiale unipolare», con a capo gli Stati Uniti, «l’unico paese al mondo a aver usato l’arma nucleare due volte, distruggendo le città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki. In tal senso, hanno creato un precedente».

Come aveva fatto prima, per il principio di inviolabilità dei confini, calpestato dall’Occidente, qui, nello stesso spirito, Putin menziona un altro precedente: l’uso delle armi nucleari da parte degli Stati Uniti. Non pare esattamente casuale.

Nello stesso senso, su Ukraina.ru, Rostislav Iščenko osserva che la Russia usa oggi il diritto della forza perché l’Occidente ha distrutto la forza del diritto internazionale, «usando il proprio vantaggio per distruggere prima la Russia, e poi altre economie in crescita che stanno acquisendo ambizioni politiche corrispondenti al loro pesol’Occidente deve rendersi conto che la sua posizione geopolitica è fortemente peggiorata, la sua influenza sui processi globali è diminuita, che il tempo dei diktat è passato».

Putin ha quindi ricordato del grano portato via dall’Ucraina, solamente il 5% del quale è andato ai paesi poveri. Ha ribadito che le sanzioni volute dagli USA e accettate servilmente dai politici europei, insieme alla rinuncia alle risorse energetiche russe, «portano di fatto alla deindustrializzazione dell’Europa, alla conquista completa del mercato europeo».

Ma gli anglosassoni, non paghi delle sanzioni, «sono passati ai sabotaggi» del Nord Stream; il diktat americano è costruito «sulla forza bruta, sul diritto dei pugni… Da qui il dispiegamento di centinaia di basi militari in tutti gli angoli del mondo, l’espansione della NATO, i tentativi di mettere insieme nuove alleanze militari come AUKUS e simili».

Ricordando che l’Occidente è uscito dalle contraddizioni degli inizi del XX secolo attraverso la Prima guerra mondiale; che i profitti della Seconda guerra mondiale hanno permesso agli USA di superare la Grande Depressione e diventare la più grande economia del mondo, imponendo al pianeta il potere del dollaro; che l’Occidente ha superato la crisi degli anni ’80 appropriandosi dell’eredità e delle risorse dell’Unione Sovietica, Putin ha constatato che «l’attuale modello neocoloniale è in definitiva condannato. Ma i suoi veri padroni vi si aggrapperanno fino alla fine».

Fin qui, la fotografia della situazione mondiale è abbastanza nitida e precisa, pur scattata con un obiettivo a focale fissa sulle pretese del capitale russo nei confronti di quello euro-atlantico, finora dominante.

Poi vien fuori lo spirito profondo del putinismo: le «guerre dell’Occidente che causano forti ondate migratorie», utilizzate dagli USA per «indebolire i propri concorrenti e distruggere stati nazionali e identità di Francia, Italia, Spagna».

E ancora: «voglio rivolgermi a tutti i cittadini della Russia: vogliamo avere, qui, nel nostro Paese, in Russia, invece di mamma e papà, “genitore numero uno”, “numero due”, “numero tre”…Vogliamo davvero che le perversioni che portano al degrado e all’estinzione siano imposte ai bambini delle nostre scuole fin dalle elementari?… Questa è una sfida per tutti. Una tale totale negazione dell’uomo, il rovesciamento della fede e dei valori tradizionali; la soppressione della libertà acquisisce i tratti di una “religione inversa”: un vero e proprio satanismo. Nel Discorso della Montagna, Gesù Cristo, denunciando i falsi profeti, dice: “li riconoscerete dai loro frutti”. E questi frutti velenosi sono già evidenti».

Si scopre quindi il Putin para-“rivoluzionario”: contro il dominio unipolare del capitale anglosassone si evidenzia una competizione tra le nazioni, tra economie capitalistiche in declino e altre in ascesa. Competizione che si fa sempre più pericolosa: oggi come ieri, la minaccia di guerra viene dallo scontro tra forze in crescita sui mercati mondiali e raggruppamenti che non intendono lasciarsi sottrarre sfere di influenza e aree di sfruttamento e saccheggio. La minaccia di guerra nasce dal capitalismo stesso.

Il Putin para-“rivoluzionario” non parla si, e certamente non auspica, una lotta tra le classi nei singoli paesi per il superamento del capitalismo e per il marxiano Zerstörung dello stato borghese al suo servizio; egli si limita a usare il termine “rivoluzione” per constatare, con intenti capovolti, ciò che Lenin sosteneva nell’ottobre 1914 e cioè che «il capitalismo ha già raggiunto la sua forma suprema e esporta già non merci ma capitali. Il suo guscio nazionale gli va stretto, e ora è in corso una lotta per gli ultimi rimasugli rimasti liberi sul globo».

Dunque, dice Putin, il mondo «è entrato in un periodo di trasformazioni rivoluzionarie di natura fondamentale. Si formano nuovi centri di sviluppo, che rappresentano la maggioranza della comunità mondiale e sono pronti non solo a proclamare i propri interessi, ma anche a proteggerli, e vedono nella multipolarità un’opportunità per rafforzare la propria sovranità e quindi per ottenere una vera libertà, una prospettiva storica, il loro diritto all’indipendenza… Un movimento di liberazione e anti-coloniale contro l’egemonia unipolare».

Il tutto, in nome della «grande Russia storica, per le generazioni future, per i nostri figli, nipoti e pronipoti. Dobbiamo proteggerli dalla schiavitù, da esperimenti mostruosi volti a paralizzare le loro menti e le loro anime».

A coronamento del discorso, il “rivoluzionario”, “l’anti-colonialista”, il cristiano persecutore dei “falsi profeti”, ma anche il protagonista della sacrosanta lotta per liberare dall’incubo nazista le popolazioni del Donbass e, più in generale, la parte sana della popolazione ucraina, che non si è mai piegata allo squadrismo golpista, diversamente dal solito ha taciuto sulle “colpe di Lenin e dei bolscevichi che hanno creato l’Ucraina”, che hanno “posto una mina sotto l’edificio chiamato Russia”, con lo stabilire la volontarietà di adesione all’URSS e la totale libertà di uscirne.

Non ha però potuto non citare il proprio ideologo preferito: «voglio concludere il mio discorso con le parole di un vero patriota, Ivan Aleksandrovič Il’in: “Se considero la Russia la mia patria, significa che amo, contemplo e penso in russo, canto e parlo russo; che credo nelle forze spirituali del popolo russo. Il suo spirito è il mio spirito; il suo destino è il mio destino; la sua sofferenza è il mio dolore; il suo sviluppo è la mia gioia”».

Di fronte al crescente pericolo di un conflitto planetario senza esclusione di armi, sarebbe stato eccessivo attendersi da Vladimir Putin un semplice richiamo al fondatore di quel soggetto storico che la lotta al colonialismo l’aveva condotta per davvero, al rivoluzionario che nell’agosto 1908 scriveva «le guerre hanno le loro radici nella stessa natura del capitalismo; esse cesseranno solo quando finirà di esistere l’ordine capitalista». Evidentemente…

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PS 1. Ivan Il’in, citato spesso da Putin nei suoi interventi: filosofo conservatore ultrareazionario, ideologo del fascismo russo, fuggito in Europa dopo la rivoluzione. Tra le sue opere: “Nazionalsocialismo. Un nuovo spirito“, “Sul fascismo”, “Sul fascismo russo“, in cui scrive che il movimento dei bianchi e il fascismo sono fratelli, “cavalieri bianchi” che combattono contro il “contagio rosso“. Dopo essersi schierato con le bande bianche durante la guerra civile, Il’in fu poi l’ideologo del ROVS (Unione pan-militare russa), che reclutava volontari per il cosiddetto “Corpo russo”, che durante la guerra si schierò con il Terzo Reich. Il ROVS fu la più numerosa organizzazione militare dell’emigrazione bianca, creato dal barone Vrangel. Sembra che nel 1992 abbia aperto un ufficio di rappresentanza in Russia.

PS 2. Dopo il discorso di Putin, l’Ucraina chiede l’adesione alla NATO con procedura accelerata. Ciò significa, nota Vasilij Stojakin su Ukraina.ru, che se tra pochi giorni l’Operazione militare speciale si condurrà su territorio ora russo, allora tra pochi mesi è abbastanza probabile che ci sarà una guerra con la NATO.

Anche se, per la verità, notiamo che alla dichiarazione di Zelenskij per l’urgente ammissione nella NATO, il solitamente aggressivo Stoltenberg questa volta è riuscito solo a borbottare che la decisione viene presa da tutti i 30 paesi membri e Josep Borrell ha detto che l’ingresso dell’Ucraina nella NATO «in questo momento non è una questione di principio».

E se Biden ha subito detto di non esser contrario, poi però anche la Casa Bianca ha notato che è “troppo presto” per accogliere l’Ucraina.

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6 Commenti


  • Anna

    Bell’articolo. Molto chiaro e documentato. Sfoglia, punto per punto, il discorso di Putin.
    Peccato che però citi soltanto, senza scendere nel particolare né analizzare (come al contrario fa per tutti gli altri punti)la parte del discorso di Putin quando infuriato si scaglia contro “genitore a” e “genitore b”. Su questo non una parola di commento.
    Dal riconoscimento della parità genitoriale parte tutto il discorso sui Diritti Civili di uomini, donne, bambini comunità LGBTQ+, portatori di handicap, invalidi eccetera. Insomma dell’essere umano nella sua completezza.
    Quindi Putin nega ai russi i Diritti Civili, di fatto. Diritto che sta alla base di ogni paese che si voglia dire realmente democratico. Tutto ciò mi sembra in contraddizione con altri pezzi nei quali il leader del Cremlino appare quasi come l’erede democratico dell’URSS, parlandi di autodeterminazione dei popoli, e inviolabilità delle frontiere.
    Non dimentichiamo che lui per primo ho violato entrambi con l’invasione dell’Ukraina.
    Sì perché l’inviolabilità delle frontiere deve riguardare ogni stato, anche uno autoritario e reazionario come l’Ukraina.
    Il Diritto è per Tutti o altrimenti per nessuno, è come tale va rispettato in ogni condizione.


  • Federico

    L’articolo è ottimo e riusciamo a farci un’idea di prima mano su una delle figure più controverse dell’epoca che stiamo attraversando, cioè Vladimir Putin. Nel bene (quando rigira la frittata all’odioso e ipocrita imperialismo occidentale) e nel male (una visione retrograda e bigotta e pure complottista sui diritti civili e sull’immigrazione) . Senza le edulcorazioni pelose di un mainstream alla più totale deriva: vedi condizioni pietose di Rai e Repubblica per esempio.


  • giuseppe

    Ritengo utile criticare l’apologia dello scrittore autore di testi innegianti al fascismo russo ,inoltre occorre a mobilitarsi con marcie per la pace e contro ogni guerra visto il silenzio complice dei partiti pseudosinistri italiani.


    • Redazione Roma

      Manifestare per la pace sicuramente e speriamo a breve, ma con qualche idea più chiara in testa è meglio


  • Sergio

    Ottimo articolo! Ma ho una domanda da fare: come fa Putin a sostenere che il suo “ideologo” di riferimento è un fascista e poi combattere i nazisti di Kiev?


  • Andrea Vannini

    Che sia l’ ideologo di riferimento di Putin lo dice Poggi. Che Putin sia un antifascista e un antimperialista é sotto gli occhi di tutti quelli che vogliono vedere.

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