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Ucraina: furia fascista contro i monumenti sovietici e arresti di massa a Odessa

Nei giorni scorsi la Rada, il parlamento ucraino monopolizzato dalle forze di destra ed estrema destra, ha approvato a larga maggioranza (254 a favore su 307 deputati presenti) un progetto di legge governativo che mette sullo stesso piano comunismo e nazismo come ideologie ‘criminali’ vietando i loro simboli e la loro propaganda. Per i trasgressori sono previsti sino a 5 anni di reclusione. “Con questa legge il regime totalitario comunista esistente in Ucraina dal 1917 al 1991 viene riconosciuto come criminale e accusato di aver promosso una politica del terrore statale”, recita un passaggio della legge, che dà la stessa definizione per il nazismo.

La nuova norma ha messo fuori legge ogni pubblico rifiuto della natura criminale dei regimi nazisti e comunisti in Ucraina, imponendo il divieto di bandiere, simboli, immagini, inni, nomi di strade o città che abbiano a che fare con l’Unione Sovietica.
Una equiparazione tra nazismo e comunismo e un divieto – che nelle Repubbliche Popolari del Donbass le realtà politiche comuniste e alcuni semplici cittadini hanno contestato scendendo in piazza con enormi bandiere rosse e altrettanto enormi falci e martello – che addirittura il Centro Wiesenthal di Gerusalemme non ha esitato a definire “una decisione oltraggiosa”. Denunciando la  tradizione del nazionalismo ucraino, il direttore del Centro dedito alla caccia ai nazisti sfuggiti alla punizione dopo la Seconda Guerra Mondiale, Efraim Zuroff, ha definito la legge una “grande bugia che trasforma i carnefici in vittime”. La decisione del parlamento ucraino – ha denunciato Zuroff  – “cerca di deviare l’attenzione dai crimini dell’Ucraina durante la Shoah ed equipara falsamente nazismo e comunismo”. “A questo proposito, l’Ucraina è solo l’ultima delle ex repubbliche sovietiche post-comuniste, guidate dai Paesi Baltici, a far passare una tale legislazione” ha ricordato il successore di Simon Wiesenthal.
Anche il governo della Federazione Russa ha criticato la campagna di Kiev, denunciando i “tentativi di alterare il passato” e “l’imposizione dell’ideologia nazionalista” che “mette in discussione una prospettiva lo sviluppo e il successo di uno stato ucraino”. “Kiev utilizza metodi veramente totalitari che violano la libertà di pensiero, di opinione o di coscienza”, ha detto il ministero degli Esteri russo Sergej Lavrov in un comunicato, aggiungendo che l’Ucraina vuole “creare divisioni” nella società attraverso la creazione di “una ideologia nazionalista”.
Quella stessa ideologia ultra nazionalista che ha portato il parlamento a com­me­mo­rare ufficial­mente i com­bat­tenti dell’Upa, la cosiddetta «armata insur­re­zio­nale ucraina» guidata dal fascista Stepan Bandera che col­la­borò con i nazi­sti invasori durante la seconda guerra mon­diale. Il capo dei collaborazionisti Ban­dera e le divisioni di SS ucraine inquadrate nell’esercito nazista vengono del resto celebrati ogni anno come eroi nazio­nale da gran parte dei gruppi politici che hanno dato vita a Majdan e che ora sostengono il nuovo regime.
Se è lecito aspettarsi che nulla verrà fatto dal governo contro le simbologie e la propaganda nazista utilizzate da numerose forze politiche del paese che si sono impossessate del potere con il golpe nazionalista e filoccidentale andato in scena a Kiev nel febbraio dello scorso anno, è già iniziata in tutto il paese una vera e propria ondata di attacchi contro i monumenti dell’epoca sovietica sopravvissuti alle precedenti distruzioni da parte di gruppi di estrema destra o addirittura delle autorità locali e nazionali.
Durante la scorsa notte ben tre monumenti eretti in onore di leader della rivoluzione bolscevica sono stati abbattuti a Kharkov, grande città industriale ucraina abitata in maggioranza da una popolazione russofona. Le tre statue sono state demolite da gruppi di giovani incappucciati, come testimonia un video postato sul canale Youtube dei militanti del movimento ultranazionalista Nakipelo (“Ne abbiamo abbastanza”). Gli incappucciati hanno fissato un cavo al “collo” dei tre monumenti e li hanno trascinati giù con l’aiuto di un furgone. La polizia, come era avvenuto in occasioni analoghe precedenti, ha assistito senza intervenire all’abbattimento di uno dei monumenti in questa città di quasi un milione e mezzo di abitanti, capoluogo della regione ucraina di frontiera con la Russia.
La stessa sorte l’ha subita anche l’ultimo monumento a Lenin sopravvissuto finora a Dnepropetrovsk, la terza città più popolosa dell’Ucraina (e dove è nata la leader filoccidentale Yulia Timoshenko). Anche in questo caso la notte scorsa la statua è stata legata con delle funi e trascinata giù, rompendosi a causa dell’impatto a terra. Al suo posto i nazionalisti hanno collocato una bandiera ucraina.
Ma la furia del regime ucraina non si abbatte esclusivamente sui simboli dell’Unione Sovietica, del movimento comunista e su quelli della lotta di liberazione contro il nazifascismo. Le autorità ucraine hanno annunciato d’aver fermato a Odessa, città costiera nel sud del paese, ben 39 persone con l’accusa di voler preparare “una ribellione filorussa” alla vigilia della visita del presidente Petro Poroshenko nella città, teatro negli ultimi mesi di alcune esplosioni e che nel maggio dello scorso anno vide decine di militanti di partiti di sinistra e dei sindacati massacrati dagli estremisti di destra nel corso di un assalto dei nazionalisti contro la Casa dei Sindacati.
Il servizio di sicurezza ucraino, l’Sbu, ha annunciato di aver fermato 29 persone che secondo le accuse “disponevano di un importante arsenale di armi ed esplosivi” ed “agivano sotto gli ordini dei comandanti delle milizie separatiste nell’est dell’Ucraina”.
Due giorni fa lo stesso Sbu aveva già annunciato il fermo di altre dieci persone, anche in quel caso con l’accusa di preparare attentati in vista della visita del presidente Poroshenko. Che comunque durante la visita alla città ha dovuto fare i conti con una folta contestazione da parte di centinaia di persone che lo hanno accolto, svendolando bandiere rosse e gridando slogan come”Assassino” e “Il fascismo non passerà”, tenute a debita distanza da un gran numero di agenti di polizia.

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