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Turchia: moschee nelle università e carcere per i vignettisti

Agli studenti turchi l’umorismo non manca: replicando alla notizia della prossima costruzione di un certo numero di moschee all’interno delle università – finora veri e propri santuari della laicità sancita dallo Stato – hanno chiesto provocatoriamente che per par condicio vengano costruiti analoghi templi buddisti o – perchè no? – di religione jedi. A marzo gli studenti dell’università tecnica di Istanbul (ITÜ) si sono mobilitati contro la costruzione di una moschea sul loro campus lanciando una petizione per la contemporanea erezione di un tempio buddista. Se il progetto del governo andrà a buon fine la moschea sarà il primo luogo di culto costruito all’interno di un istituto di insegnamento superiore da quanto il Partito per la giustizia e lo sviluppo (liberista e islamista) e il presidente Recep Tayyip Erdogan sono arrivati al potere nel 2002. Una iniziativa contestata da più parti.

“Non posso rispettare i miei obblighi religiosi perchè il tempio buddista più vicino è a oltre duemila chilometri e non riesco a raggiungerlo in pausa pranzo” scrive uno dei firmatari della petizione, Utku Gürçag Borataç. “Un istituto di insegnamento superiore deve mantenersi equidistante da tutte le religioni, non privilegiarne una” ha scritto invece sul quotidiano Hürriyet lo studente che ha lanciato l’iniziativa, Zeynep Özkatip, che ha riferito di “minacce” nei suoi confronti. La stessa polemica ha scosso il campus dell’università di Smirne, terza città del Paese. Qui gli studenti hanno ironicamente chiesto la costruzione di un tempio Jedi, la religione dell’ordine di cavalieri spaziali di Guerre stellari. “Per reclutare nuovi Jedi ed equilibrare la Forza, vogliamo un tempio Jedi” afferma una petizione che ha raccolta finora quasi 7000 firme.
Non hanno invece il senso dell’umorismo i giudici turchi che nei giorni scorsi hanno chiesto una condanna a ben quattro anni e mezzo di carcere per due noti giornalisti ‘colpevoli’ di aver illustrato i loro articoli con delle vignette tratte dalla copertina del settimanale satirico Charlie Hebdo che rappresentano il profeta Maometto, pubblicate dopo la strage nella redazione parigina del giornale. Il capo della procura di Istanbul ha accusato Ceyda Karan e Hikmet Cetinkaya di “incitamento all’odio pubblico” e di “insulto ai valori religiosi”.

Non è andata meglio a due disegnatori della rivista satirica turca Penguen, accusati di aver offeso il presidente Erdogan disegnando in copertina una vignetta che lo prendeva di mira sull’edizione del 21 agosto del 2014, condannati lo scorso 25 marzo a 14 mesi di reclusione, una pena poi ridotta a 11 mesi e ulteriormente trasformata durante il processo in una multa di 7000 lire turche per ciascuno, riconoscendo ‘la buona condotta degli imputati nel corso del processo’ (!). La vignetta ritraeva il presidente, appena eletto, che si chiedeva se ci fosse qualche ‘giornalista da macellare’ in riferimento al sacrificio rituale islamico. I legali nominati dal capo dello stato hanno chiesto e ottenuto che i due cartoonist, Bahadır Baruter e Özer Aydoğan, venissero condannati per ‘offesa a pubblico ufficiale’.
Non è la prima volta che Erdogan se la prende con Penguen, al quale ha già chiesto in passato 40 mila lire di risarcimento dopo che la rivista aveva pubblicato una vignetta che lo ritraeva con le fattezze di vari animali. Finora ben 70 persone sono state condannate in Turchia con l’accusa di aver ‘insultato’ il presidente Erdogan da quando l’ex primo ministro è stato eletto nell’agosto del 2014, compreso il capo redattore del quotidiano Cumhuriyet. Una cifra che sale a 200 – fra cui diversi giornalisti, intellettuali, studenti, sindacalisti e perfino una ex-Miss Turchia – se si considerano gli arresti, le incriminazioni o le condanne per presunte offese al presidente, reato che può costare fino a quattro anni di reclusione.
L’ultimo segnale inquietante risale alla scorsa settimana quando un’insegnante di educazione fisica è stata indagata per presunta «violazione dei valori sociali». L’accusa nei suoi confronti quella di aver posato per una foto con i propri allievi accanto a un pupazzo di neve che rappresentava una donna «nuda», con dei sassolini neri al posto dei capezzoli e dell’ombelico.
In una Turchia sempre più autoritaria e oscurantista, addirittura per i partiti di opposizione diventa sempre più difficile rivolgere critiche al governo. L’ultimo caso è emblematico. La tv pubblica turca Trt ha recentemente rifiutato di trasmettere uno spot elettorale del principale partito di opposizione, il socialdemocratico Chp, in vista delle cruciali elezioni politiche del 7 giugno prossimo. Lo spot – che denuncia «una mentalità che opprime la legge, l’economia, la libertà, la pace, il secolarismo, la democrazia e la repubblica», accusa il governo islamista di avere «reso invivibile la Turchia» e invita gli elettori «a mandarli via» – è stato ritenuto “troppo critico” nei confronti del governo e quindi la rete ha deciso di respingerlo. «Certo, il nostro spot critica il governo. Come potrebbe un partito di opposizione fare politica senza criticare il governo?», ha detto il vicepresidente Chp Enis Berberoglu. 

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