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Ucraina. Le mire di Kiev sulla Crimea

Torna l’attenzione sulla Crimea. Ieri Petro Porošenko ha parlato del suo ultimo viaggio nella penisola, nella primavera del 2014, alla vigilia del referendum che, con il 96,77% dei suffragi, la riportò nella compagine della Federazione Russa. Il presidente ucraino ha detto che, con quel tour, egli intendeva dimostrare come “anche un uomo solo sarebbe stato in grado di dissolvere le nebbie della propaganda russa. Da allora le mie intenzioni non sono cambiate”.
A quanto pare, non sono però mutati nemmeno i propositi di quel 96,77% di crimeani. E ciò, a dispetto di ogni tentativo, “legale” o terroristico, di gruppi armati del medžlis dei tatari, di reparti neonazisti o di pretese internazionali della junta di Kiev, di far tornare la penisola in mano ucraina. Porošenko si dice convinto che Mosca stesse pianificando la riunione della Crimea alla Russia sin dal 1991 (l’anno della finale dissoluzione dell’Urss a opera dei presidenti di Russia, Ucraina e Bielorussia, El’tsin, Kravčuk e Šuškevič) e non ci sia riuscita solo “grazie agli sforzi eroici del popolo ucraino”. Ora, Porošenko chiede al Ministero della difesa e allo stato maggiore di rafforzare i controlli lungo tutta la costa del mar Nero e sostenere ogni focolaio di resistenza sulla penisola, ricordando che “ovviamente l’Ucraina non riconosce e non riconoscerà mai de-jure come cittadini russi i crimeani che hanno ricevuto il passaporto russo”.
Ciò avviene nel momento in cui, sullo sfondo di tali mire ucraine, la Russia, dopo aver annunciato la costruzione di un ardito ponte autostradale sull’istmo di Kerč che conduce in Crimea, sta già iniziando i lavori per una nuova linea ferroviaria di circa 122 km che congiungerà le regioni russe di Rostov sul Don e di Voronež, evitando il precedente percorso ucraino. La linea dovrebbe essere inaugurata nell’autunno del 2017, in barba alle pretese di Kiev.
E ieri, in risposta alle dichiarazioni del direttore del Dipartimento di politica sociale e umanitaria del Ministero della difesa ucraino, Valentin Fedičev, secondo cui, “in caso di guerra su larga scala” tra Ucraina e Russia, quest’ultima lascerebbe sul terreno “come minimo 20mila soldati”, l’agenzia Novorosinform riportava il sarcastico commento del presidente dell’amministrazione municipale di Sebastopoli, Sergej Menjajlo. Curiosamente, ha detto il capo di Sebastopoli, “la dottrina militare ucraina è dettata non dallo stato maggiore, ma dai finanzieri. Non appena si stanziano soldi per le necessità militari, i piani di guerra con la Russia vengono messi a punto in qualche villa a cinque piani sulle rive dei Caraibi e i soldati ucraini rimangono con gli scarponi rotti e i vecchi mitragliatori”.
Nell’epos nazionalistico si è inserito anche il leader del gruppo rock “Vopli Vidopljasova” (più o meno: Urla di Vidopljasov, personaggio del dostoevskiano Il villaggio di Stepànčikovo e i suoi abitanti), Oleg Skripka, il quale ha dichiarato a Ukraina.ru che sapeva da tempo che la Crimea sarebbe tornata a far parte della Russia. “La Crimea non tornerà mai più a essere ucraina” ha detto Skripka; “in Ucraina non c’è sufficiente volontà politica per questo. E cosa dovremmo fare con quei milioni di traditori in Crimea? Deportarli? Essere amici? Non ci riusciremo … Per qualsiasi persona normale era chiaro che ci avrebbero preso la Crimea. Per me era chiaro sin dall’inizio del 2000; già allora noi avremmo dovuto prenderci la “debole” Transdnistria, requisire tutti gli armamenti che vi erano concentrati e andare a riprenderci la Crimea”.
Per la soddisfazione di Skripka, c’è da dire che, comunque, Porošenko non demorde. Anatolij Baranov, del PC russo, scriveva ieri su Forum.msk.ru di come il presidente ucraino abbia in programma una riunione speciale del Consiglio di sicurezza e difesa in cui mettere a punto un piano di tutela degli interessi ucraini contro la Russia di fronte ai tribunali internazionali. Sembra un progresso, scrive Baranov: finora il Consiglio di difesa studiava il metodo di riacquisizione della Crimea con la forza; appena pochi giorni fa, il Ministro degli interni Arsen Avakov aveva annunciato la formazione di reparti speciali atti allo scopo. Sinora, Kiev si è limitata a interrompere parzialmente le forniture di acqua ed energia elettrica, ma la cosa non ha influito sugli umori prorussi del 97% della popolazione, come sperava Kiev. Baranov scrive di come, nonostante gli accenti critici dei cittadini di Sebastopoli per l’operato di Menjajlo, le osservazioni critiche di Baranov stesso suscitino disappunto e lo si sospetti di essere “una spia ucraina”.
E, comunque, appena pochi giorni fa, EurAsia Daily scriveva di come gruppi mobili di sabotatori stiano passando dal blocco economico della Crimea – coi conseguenti introiti dal contrabbando delle merci sequestrate agli autotrasportatori – al terrore aperto verso gli abitanti della regione di Kherson, confinante a ovest con la penisola, eletta al ruolo di avamposto dal medžlis dei tatari dopo la fuga dalla Crimea. Avamposto in cui il battaglione  musulmano “Noman Čelibidžikhan” (primo Mufti dei musulmani di Crimea, che avversò il potere sovietico) si va rimpinguando per l’afflusso di “gruppi radicali da tutto il mondo” e i lauti sostegni in armi del governo di Ankara. A detta del vice premier della Crimea, Ruslan Bal’bek, nel battaglione ci sarebbero ben pochi tatari e quasi solamente mercenari stranieri, per lo più dell’Isis. Secondo EurAsia Daily, la spina dorsale del battaglione sarebbe composta da islamisti dei “Lupi Grigi” fuggiti dalla Siria, insieme a elementi provenienti dall’Africa settentrionale e da altre parti del mondo.
D’altronde, che l’ipotesi militare sia sempre stata presa in considerazione, sin dall’inizio del colpo di stato a Kiev, lo conferma ora la pubblicazione sul sito di Komsomolskaja Pravda del lunghissimo stenogramma della riunione del Consiglio di sicurezza e difesa ucraino, tenutasi il 28 febbraio 2014, relativa alla questione della Crimea. La possibilità di entrare in guerra con la Russia fu discussa dall’allora speaker della Rada, Aleksandr Turčinov, insiema al capo del Consiglio di difesa Valentin Nalivajčenko, i Ministri di interni, difesa ed esteri, Arsen Avakov, Igor Tenjukh e Andrej Deščitsa, il premier Arsenij Jatsenjuk, vari capi del controspionaggio, Julija Timošenko e altri. Accanto all’appoggio di massa dei crimeani per le possibili azioni russe, si metteva l’accento sulla demoralizzazione delle truppe e della flotta ucraine in Crimea, sulla diserzione di vari reparti del Ministero degli interni e sulla possibilità di inviare non più di 5.000 uomini nella pensola, ma sulla impossibilità di controllare l’intera frontiera con la Russia che, in caso di attacco, in meno di un giorno avrebbe raggiunto Kiev. Jatsenjuk riconosceva che Kiev non era pronta a operazioni militari e, ricordando che anche Washington non aveva una posizione ferma, proponeva una soluzione “federativa” per la penisola. In quella riunione, Jatsenjuk appare il “più ragionevole”, ricordando che nessun intervento militare, come prospettato da Turčinov – che proponeva la legge marziale l’arresto dei capi “separatisti” – sarebbe arrivato in quel momento in aiuto dalla Nato e che la legge marziale avrebbe significato una dichiarazione di guerra alla Russia. Come suo solito, “l’eroina” dell’Occidente, Julija Timošenko mostra scrupoli solo formali: “Se noi avessimo anche una sola chance su cento di vincere Putin, sarei la prima ad appoggiare un’azione energica. Ma la nostra situazione militare è disastrosa e dobbiamo invocare l’aiuto occidentale a nostra difesa, vestendo i panni della colomba della pace”. Particolarmente efficaci le parole di Turčinov: “I nostri partner occidentali ci chiedono di non fare bruschi movimenti”. In definitiva, solo la consapevolezza dell’inadeguatezza delle proprie forze militari, fermò la junta dalla guerra aperta con Mosca, anche se non impedì poi, un mese e mezzo più tardi, ai golpisti di Kiev, di iniziare i bombardamenti e l’offensiva sul Donbass. Se Turčinov, conclude l’osservatore di Komsomolskaja Pravda, fosse veramente stato convinto della presenza di reparti russi nel Donbass, anche in quel caso a Kiev sarebbero rimasti, secondo la colorita espressione russa, “più cheti dell’acqua e più bassi dell’erba”; e non a caso la Timošenko ha già denunciato come “delitto” la pubblicazione di quello stenogramma.
Come scriveva il grande Tolstoj, Napoleone era convinto che non è bene ciò che è bene, ma è bene quello che a lui passa per la testa.

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