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Berlino oscura Erdogan, Ankara ricatta l’Ue sui profughi

Se il regime turco accusa la Casa Bianca e i comandi della Nato di aver complottato insieme a Gulen e alla sua rete per tentare di rimuovere Erdogan dal potere tramite il golpe – poi fallito miseramente – del 15 luglio scorso, non vanno meglio le relazioni tra Ankara e Bruxelles.

Forte del potere ritrovato e delle rilegittimazione conquistata a suon di arresti e purghe di massa, il governo turco ricatta esplicitamente l’Unione Europea. Se i cittadini turchi non saranno esentati dal visto per entrare nell’Ue entro ottobre, la Turchia non riconoscerà più la convenzione con Bruxelles sui rifugiati, firmata lo scorso 18 marzo, facendo saltare così l’intesa che ha sostanzialmente limitato finora l'”invasione” dell’Europa. E’ l’ultimatum che il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu affida alla Frankfurter Allgemeine Zeitung (Faz), uno dei quotidiani più influenti di quella Germania con cui i rapporti di Ankara diventano sempre più tesi e complicati. Nell’intervista Cavusoglu sottolinea come la convenzione sui rifugiati funzioni “perché la Turchia ha intrapreso misure serissime”. Ma tutto questo, ammonisce, avviene ad una condizione, secondo il ministro degli Esteri turco già esplicitamente prevista dall’accordo tra Bruxelles ed Ankara con cui la Turchia si impegnava a trattenere i rifugiati nel suo territorio, previo il versamento di un sostanzioso contributo dall’Europa (sei miliardi di euro): “Dipende dall’esenzione dei visti per i nostri cittadini”. E, per far capire a Bruxelles che le minacce di Ankara sono serie, il governo della Turchia sarebbe sul punto di concedere il passaporto a circa 350 mila rifugiati ospitati sul suo territorio, per lo più siriani. Che – è sottinteso – si riverserebbero in Europa terremotando così una situazione già instabile per molti dei governi del continente, e quello tedesco non è una eccezione, attaccati da destra da movimenti e partiti che contestano la politica delle cosiddette ‘porte aperte’ nei confronti dei rifugiati. Il capo della diplomazia ha puntualizzato: “Se non si arriva alla liberalizzazione dei visti dovremo ricusare l’accordo sui rifugiati”, e dice di aspettarsi “un termine fisso”, a partire dal quale i turchi non avranno più bisogno del visto per entrare in Ue: “Può essere inizio o metà ottobre, ma ci aspettiamo una data fissa”.

Al monito del membro del governo turco ha risposto nella serata di ieri un portavoce dell’Unione Europea: “Il presidente Juncker – ha affermato – è stato molto chiaro in numerose occasioni, se la Turchia vuole la liberalizzazione dei visti, deve soddisfare i criteri. (…) La tempistica finale dell’abolizione dipenderà sia da quando la Turchia ultimerà il lavoro, sia da quando i co-legislatori prenderanno la decisione finale”.

Ed oggi la portavoce dell’Esecutivo comunitario, Mina Andreeva, rispondendo alle domande della stampa internazionale relative ai dubbi sull’accordo che le autorità turche hanno nuovamente espresso durante il week-end, ha affermato che la Commissione Europea “resta pienamente impegnata ad assicurare che continui a essere attuato pienamente l’accordo con la Turchia” sull’immigrazione, e “si aspetta la stessa cosa da parte della sua controparte turca”, incluse le modifiche alla legislazione anti terrorismo che oggi permettono di mettere in galera anche giornalisti e professori.

Intanto però il braccio di ferro tra Germania e Turchia si è trasferito sul suolo tedesco. Ieri ventimila turchi residenti nel paese leader dell’Ue – alcune fonti parlano di un numero quasi doppio di manifestanti – hanno partecipato a una marcia ‘contro il colpo di stato e per la democrazia” promossa dall’Unione dei Democratici Europei Turchi, un gruppo di fatto dipendente dal governo di Ankara. La marcia, contraddistinta dall’esposizione di bandiere nazionali ma anche di numerose gigantografie del sultano ‘Erdogan’ e da slogan contro i ‘nemici della nazione turca’, si è svolta a Colonia, in Renania-Nord Wesftalia, dove si concentra oltre un terzo della comunità turca della Germania, in tutto circa tre milioni di persone tra turchi e curdi.


La marcia organizzata dai sostenitori del regime islamo-nazionalista turco all’insegna di slogan come ‘rivogliamo la pena di morte’ e alla quale ha presenziato un membro del governo di Ankara, il ministro per lo Sport e la Gioventù Akif Cagatay Kilic, è stata preceduta e accompagnata da una lunga serie di polemiche.

Le autorità tedesche hanno infatti permesso la manifestazione propagandistica e relegato ai margini le contromanifestazioni organizzate dai movimenti curdi e da alcuni gruppi dell’opposizione laica turca. In piazza sono scesi anche alcuni gruppi di estrema destra xenofoba locale, ma il concentramento di circa 250 fascisti è stato sciolto dalle forze dell’ordine in una città sorvegliata e blindata da circa 2700 poliziotti.

A scatenare le ire del regime turco è stato il divieto pronunciato dalla Corte Costituzionale che ha impedito agli organizzatori della giornata di realizzare una collegamento in teleconferenza con il presidente Erdogan, che non ha quindi potuto rivolgersi in diretta alla piccola folla, con la motivazione formale che la Costituzione tedesca non permette interventi diretti di esponenti di governi stranieri a manifestazioni pubbliche in Germania.

Una decisione che il portavoce della presidenza turca ha definito una “inaccettabile violazione della libertà di espressione e di riunione” chiedendo una “spiegazione soddisfacente”. Ieri il ministro degli Esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier, in una intervista alla Suddeutsche Zeitung, a proposito della prevista manifestazione aveva affermato che il suo governo non poteva accettare che le tensioni della politica interna turca venissero importate in Germania, né che venissero intimiditi coloro che hanno «altre convinzioni politiche». Il riferimento era agli attacchi compiuti nei giorni scorsi dai sostenitori dei partiti islamisti e nazionalisti turchi di estrema destra contro locali, bar e ristoranti frequentati dai seguaci dell’imam/magnate turco Fethullah Gulen, rifugiato negli Stati Uniti dal 1999 e che Ankara accusa di essere la mente del fallito colpo di stato.

Alla proibizione da parte di Berlino del collegamento della piazza di Colonia con Erdogan il governo turco ha risposto chiamando l’incaricato d’affari tedesco ad Ankara, un gesto che il Ministro degli Esteri tedesco ha minimizzato in una dichiarazione affidata al suo portavoce Martin Schaefer, secondo il quale “Nelle relazioni quotidiane fra gli Stati è una cosa normale, non vi è nulla di eccezionale”.


Ma nei giorni scorsi Ankara, per bocca del ministro Cavusoglu e di altri esponenti del regime, ha chiesto a Berlino di estradare in Turchia vari esponenti della rete imprenditoriale/religiosa che vivono ed operano in Germania. “I giudici e i procuratori di questo ‘Stato parallelo’ (come le autorità turche definiscono la rete dei simpatizzanti di Gulen, ndr) che vivono in Germania dovrebbero essere estradati”, ha detto Cavusoglu in un’intervista concessa alla rete televisiva Cnn-Turk nei giorni scorsi.

 

Marco Santopadre

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