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Macrì peggio di Videla. Mandato d’arresto per Hebe de Bonafini

Qualcuno aveva considerato “eccessivo” il giudizio di chi, come noi, aveva visto nella vittoria elettorale di Macrì, in Argentina, come un ritorno alla dittatura. La distanza geografica e storica impediva a molti di vedere la stretta parentela politica tra la destra “ripulita” argentina e la giunta di Videla.

Ora se ne ha una prova politica diretta, con il mandato di arresto per Hebe de Bonafini, leader storica della “pazze di Plaza de Mayo” – come elegantemente le avevano definite i militari golpisti – ossia le madri e le nonne dei desaparecidos (30.000!) durante e dopo il golpe del 1976.

Delle differenze ci sono, naturalmente. Il regime attuale preferisce usare motivazioni pretestuose e false, ma politicamente “asettiche” – appropriazione indebita di denaro pubblico per mezzo di progetti sociali, in riferimento ai fondi stanziati dai governi Kirchner per favorire l’autorecupero produttivo delle fabbriche e le iniziative economiche di base (di fatto, dunque, considerando “illegali” le decisioni dei governi precedenti) – per cercare di imprigionare la più nota voce del disseso argentino da 40 anni a questa parte. Ma è anche indubitalmente vero che neanche quel maiale sanguinario di Videla aveva osato tanto.

Qui di seguito l’articolo che Left ha dedicato alla richiesta d’arresto, a firma di Tiziana Barillà.

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Mandato d’arresto per Hebe de Bonafini, madre di Plaza de Mayo. La persecuzione politica di Macri continua

Tiziana Barillà

«Se vogliono prendermi, che vengano a prendermi». Ma quando la Policía Federal argentina si è presentata a Plaza de Mayo per arrestare Hebe de Bonafini, un cordone umano glielo ha impedito. Il 4 agosto – di giovedì, giorno della tradizionale marcia del giovedì – la magistratura federale argentina ha emesso un ordine di cattura nei confronti di Hebe de Bonafini, presidente dell’associazione Madres de Plaza de Mayo. L’accusa è di appropriazione indebita di denaro pubblico per mezzo di progetti sociali.

Si fa scuro il cielo sopra l‘Argentina del Presidente Mauricio Macri. L’ordine è stato emesso dal giudice federale Marcelo de Martínez de Giorgi dopo che Bonafini si è rifiutata di comparire a due udienze per trattare il caso di appropriazione indebita di fondi pubblici per mezzo di progetti sociali di costruzione di case popolari, Sueños Compartidos: «La mia vita già non vale molto, ho 90 anni. Non ho paura delle conseguenze, nessuna paura delle conseguenze. Per me l’importante è la vita e l’onore dei miei figli e dei 30mila (riferendosi ai desaparecidos della dittatura argentina)».

Prima di Hebe è toccato a Milagro Sala, la leader indigena a capo di Tupac Amaru, l’organizzazione di 70mila iscritti, in maggior parte indigeni, nata per fronteggiare la crisi del 2000 e che, con il lavoro cooperativo ha costruito – durante i governi Kirchner – oltre 4mila case popolari con il lavoro di 150 cooperative. È stata accusata prima di istigazione a delinquere e attività sovversive e poi per frode nei confronti dell’amministrazione pubblica e uso improprio di fondi pubblici (per le cooperative di autocostruzione). Arrestata il 16 gennaio, a pochissimi giorni dall’elezione di Macri al governo, Milagro è ancora in carcere. Senza contare i licenziamenti a tre zeri del Presidente: su tutti, quello del giornalista uruguaiano Victor Hugo Morales (diventato famoso in tutto il mondo per la telecronaca del 2 a 0 di Maradona ai mondiali del 1986), licenziato da un’emittente privata argentina dopo 30 anni di carriera, che ha denunciato: «il motivo è politico».

La repressione targata Mauricio Macri continua, mentre si fa sempre più spaventoso il ritorno alla persecuzione politica nel Paese, l’Argentina, che ha ancora vivo il ricordo della dittatura di Videla. Quella iniziata il 24 marzo 1976, quando il generale José Rogelio Villareal disse a Isabel Martínez de Perón: «Signora, le Forze armate hanno preso il controllo politico del Paese. Lei è in arresto». Cominciò tutto anche allora con un arresto, nella Buenos Aires di Videla dove ogni cinque ore si commetteva un assassinio politico, e ogni tre esplodeva una bomba.

 

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