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Siria: nuovo no turco agli Usa, Russia e Iran in allarme

Ennesimo no turco agli Stati Uniti. La Turchia "non accetta" alcuna tregua con le milizie curde dell'Ypg nel nord della Siria: ad affermarlo, smentendo platealmente il governo degli Stati Uniti che la dava per certa, è stato ieri il ministro turco per gli Affari europei. “In nessuna circostanza accetteremo un compromesso o un cessate il fuoco tra la Turchia e degli elementi curdi, la Turchia è uno Stato sovrano e legittimo" ha tuonato Omer Celik alludendo all'espressione usata dal Dipartimento della Difesa statunitense nell’annunciare una tregua che le milizie del Pyd, in difficoltà di fronte all’avanzata delle truppe corazzate di Ankara e di migliaia di combattenti fondamentalisti inquadrati nell’Esercito Siriano Libero, avevano affermato di accettare. Un piano che, secondo alcune indiscrezioni pubblicate dalla stampa turca, prevedeva la formazione di una "zona cuscinetto" turca tra Jarablus e Azaz, mentre ai curdo-siriani si sarebbe data la possibilità di unire i cantoni di Afrin, Kobane e Jazira dopo aver liberato Al-Bab dall'Isis.   

Ma dopo aver smentito la propria adesione all’accordo Celik ha mandato a dire a Obama che il suo paese non può essere equiparato a quella che considera un’organizzazione terroristica, cioè le Unità di Protezione Popolare (Ypg).
Come se non bastasse, il ministero degli Esteri turco ha convocato l'ambasciatore degli Stati Uniti ad Ankara, John Bass, reo di aver chiesto la fine degli scontri tra forze turche e milizie curde nel nord della Siria. "È stato sottolineato che dichiarazioni di questo tipo non sono in alcun modo accettabili e non sono adatte a una relazione di alleanza", ha spiegato il portavoce del ministero, aggiungendo che Ankara si aspetta "l'immediata realizzazione dell'impegno preso dagli Usa che non ci sarà alcun elemento del Pyd/Ypg (curdi-siriani) a ovest dell'Eufrate dopo l'operazione di Manbij".

Insomma il regime di Erdogan continua a prendere Washington a schiaffi. Prima l’amministrazione Obama è stata messa davanti al fatto compiuto con l’invasione del nord della Siria da parte delle forze armate turche e delle milizie dell’Els, ed ora che Washington chiede di bloccare l’avanzata verso sud Ankara risponde di nuovo picche. Era evidente fin dall’inizio che la volontà da parte degli Usa di non rompere del tutto con la Turchia – sempre più vicina non solo alla Russia e a Israele ma anche all’Iran e allo stesso governo siriano, impensieriti dal rafforzamento dei curdi – continuando al tempo stesso a patrocinare le milizie curde che Ankara martella, sarebbe stata impossibile da sostenere.

Probabilmente Washington sperava che Erdogan, una volta soddisfatti alcuni dei suoi obiettivi – prendersi un pezzo di Siria per poter dettare legge al tavolo delle trattative sul futuro del paese, impedire l’unificazione tra i cantoni curdi ad est e ad ovest dell’Eufrate, mostrare all’opinione pubblica una determinazione contro Daesh che rimane puramente di facciata – si sarebbe fermato, permettendo così agli Stati Uniti di continuare a giocare su due tavoli. Quello di Washington sembra davvero un gioco spregiudicato e pericoloso: a detta del New York Times, mentre la Cia e le altre agenzie di intelligence starebbero sostenendo anche materialmente i gruppi islamisti manovrati da Ankara, il Pentagono continuerebbe ad appoggiare le Forze Democratiche Siriane, coalizione militare egemonizzata dalle Ypg ma composta anche da milizie arabe e assire. Anche sul fronte politico, mentre il responsabile Usa per la lotta contro l’ISIS, Brett McGurk, affermava che gli USA sono preoccupati dall’offensiva turca contro le milizie curde, il vice presidente Joe Biden nel corso di una visita ad Ankara affermava lo scorso 24 agosto che il superamento dell’Eufrate da parte delle Ypg costituiva una oggettiva minaccia per la Turchia.

A quanto pare il regime islamo-nazionalista turco, forte delle nuove alleanze e sfruttando la sempre più evidente debolezza americana, non ha nessuna intenzione di stare al gioco di Washington e di bloccare la propria avanzata nel nord della Siria. D’altronde il primo ministro turco, Binali Yildirim, ha chiarito che la missione ‘Scudo dell’Eufrate’ continuerà finché tutte le “minacce terroristiche” alla propria frontiera– cioè i curdi e i jihadisti dello Stato Islamico – non saranno totalmente eliminate.

Gli screzi tra Ankara e Washington non possono che far piacere all’asse guidato dalla Russia. Ma la sempre più sfacciata intransigenza turca potrebbe irritare anche i nuovi partner – in tempi di competizione globale le alleanze sono mutevoli e a geometria variabile per definizione – preoccupati che Ankara forzi la mano anche rispetto agli accordi raggiunti con Mosca, Teheran o Damasco facendo saltare i nuovi precari equilibri raggiunti dopo il fallimento del golpe del 15 luglio scorso.
Mentre il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha espresso preoccupazione per l’invasione turca della Siria nel corso di una telefonata all'omologo turco Mevlut Cavusoglu, e la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zaharova ha sottolineato che la Turchia dovrebbe "evitare di attaccare tutti i gruppi etnici e gli oppositori che lottano contro l'Isis", il governo iraniano ha chiesto a Erdogan di sospendere "rapidamente" le operazioni militari in Siria per non complicare la situazione.

Ma negli ultimi giorni, dopo aver cacciato le milizie curdo-arabe dalla periferia di Jarablus e aver occupato la città prontamente evacuata dai combattenti di Daesh, le truppe dell’Els supportate dall’artiglieria e dall’aviazione turca hanno occupato una decina di villaggi controllati dalle Ypg. Scontri a fuoco e bombardamenti turchi hanno provocato decine di morti tra i combattenti delle Forze Democratiche Siriane e tra i civili, anche a detta del cosiddetto Osservatorio Siriano per i Diritti Umani che pure è vicino all’Els. Ora le forze turche avanzano verso Manbij – città a 30 chilometri a Sud del confine turco – che fino a poche settimane fa era in mano all'Isis, poi liberata dalle Forze Democratiche Siriane ed anche verso al-Bab, a sud-ovest.

Da parte sua Daesh ha compiuto ieri un attacco kamikaze contro i miliziani dell’Esercito Siriano Libero in un villaggio ad ovest di Jarablus, provocando un numero imprecisato di vittime.

 

Marco Santopadre

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