L’alleanza tra Israele e Arabia Saudita in Medio Oriente continua a evolversi sempre più velocemente a livello di convergenze geo-politiche, militari ed economiche. Se, infatti, solo qualche mese fa i primi media orientali e occidentali cominciavano a parlare di relazioni e contatti tra i due stati, ormai si può parlare non solamente di una vera e propria normalizzazione dei rapporti tra israeliani e sauditi, ma di una alleanza politica e militare con incontri e contatti sempre più frequenti.
La dimostrazione della stabilizzazione è legata alla notizia di questi giorni dell’avvio dei lavori di costruzione da parte della monarchia saudita di una gigantesca ambasciata in territorio israeliano, molto probabilmente la più grande ed importante a Tel Aviv. Ufficialmente i due paesi non avevano avuto relazioni diplomatiche dalla creazione dello stato di Israele, nel 1948 (la Nakba) con l’espulsione di centinaia di migliaia di palestinesi dalle proprie terre. Nel 2005, però, con un accordo ufficiale tra il presidente statunitense George Bush (stretto alleato di Israele e della sua politica coloniale) e il re saudita Fahd, la monarchia del golfo era favorevole al riconoscimento ufficiale dello stato di Israele insieme a tutti i paesi arabi dell’area. Da allora, secondo molti analisti, l’unione di intenti e le convergenze tra i due paesi sono progressivamente aumentate, fino alla recente designazione del principe Walid Bin Talal come futuro ambasciatore saudita a Tel Aviv.
Le stesse dichiarazioni del direttore saudita del Centro Studi Strategici sul Medio Oriente di Gedda, Anwar Eshqi, lasciano pochi dubbi. In un’intervista al quotidiano israeliano Yediot Aharonot, l’ex generale, ha apertamente dichiarato che “le relazioni tra Ryiad e Tel Aviv sono arrivate ad un punto di cooperazione congiunto contro i loro nemici comuni (Iran, Siria e Hezbollah, ndr) a tal punto che lo stato saudita si impegna ad incoraggiare tutti i paesi arabi per normalizzare le loro relazioni diplomatiche con Israele”. L’unica condizione posta dalla monarchia saudita sarebbe l’accettazione della proposta di pace, presentata il mese scorso, relativa ai Territori Occupati (Palestina e Alture del Golan) nella quale sono state modificate, o meglio eliminate, le clausole relative al diritto al ritorno di migliaia di profughi palestinesi nelle loro case e quelle per la restituzione delle Alture del Golan che rimarrebbero sotto l’amministrazione israeliana. Eshqi ha infatti aggiunto che “se il governo di Netanyahu accetterà la proposta di pace araba, l’Arabia Saudita inviterà Israele a partecipare ad una confederazione economica con tutti i paesi della regione (si fa riferimento alla creazione di una zona di libero scambio che i sauditi prevedono di creare nell’isola di Tiran, appena regalata dal generale egiziano al Sisi, con l’intenzione di costruire un ponte che unisca l’Asia al continente africano nel Mar Rosso, ndr)”. Dal punto di vista economico, infatti, da tempo la stessa stampa israeliana riporta che sia lo stato saudita che gli emirati hanno siglato contratti da diverse centinaia di milioni di dollari con Tel Aviv proprio al fine di “sostenere finanziariamente l’economia israeliana”.
Da un punto di vista militare le converge tra i due paesi hanno radici ancora più lontane. Ryiad finanziò, infatti, sia l’invasione israeliana del Libano nel 2006, con l’obiettivo di annientare il nemico comune rappresentato dalla resistenza libanese di Hezbollah, sia l’operazione militare contro Gaza del 2008-2009, chiamata “Piombo Fuso”, che intendeva punire la resistenza palestinese nella striscia non più allineata alla direttive saudite.
Fino ad arrivare a questi ultimi anni. Gli accordi di Vienna (tra il quintetto Usa, Francia, Regno Unito, Cina e Russia più Germania e Iran) con la progressiva crescita di influenza nell’area mediorientale da parte della repubblica iraniana, il cambio di rotta da parte dell’amministrazione Obama, con un peggioramento dei rapporti tra gli statunitensi ed i suoi alleati tradizionali nell’area (sauditi e israeliani) ed, infine, le difficoltà nel far cadere il regime siriano del nemico comune Bashar Al Assad hanno inevitabilmente avvicinato i due paesi verso una solida alleanza.
A livello militare, infatti, lo stato israeliano supporta, ufficialmente e non, tutte le iniziative e gli interventi di Ryiad. In Yemen, ad esempio, il governo israeliano fornisce armi e supporto logistico alle truppe saudite che combattono contro gli sciiti Houti, contribuendo ad un continuo massacro di civili. Lo stesso appoggio, anche se in maniera indiretta, c’è nei confronti dei gruppi jihadisti finanziati e sostenuti dai sauditi in Siria a tal punto che un analista israeliano, Yossi Melman, ha pubblicato un articolo sul Jerusalem Post in cui dichiara che “i gruppi jihadisti come Daesh o Al Nusra non sono una minaccia per Israele visto che, dopo che questi gruppi si sono insediati nella zona delle alture del Golan, hanno sempre dato prova di buon vicinato con Israele”. Il supporto logistico e medico di miliziani jihadisti protetti e curati negli ospedali israeliani è stato documentato, in passato, da diversi quotidiani mediorientali.
In quest’ottica di cooperazione militare ormai consolidata c’è la conferma della realizzazione di una base militare in territorio saudita gestito da truppe USA e, per la prima volta, da militari israeliani. La base, che nello specifico avrà dei sofisticati sistemi radar e missilistici, sarà installata nella zona di Tabuk nel nord ovest del regno saudita. La notizia è stata annunciata attraverso il sito israeliano Hona dall’esponente del partito della sinistra sionista Meretz, Zahaava Gal-On, che si è dichiarata “perplessa per la decisione presa dal premier Netanyahu perché metterebbe degli ufficiali israeliani a diretto contatto dai rischi di attentati terroristici di estremisti in territorio saudita”.
L’alleanza tra questi due paesi appare, quindi, sempre più forte e consolidata. In un’ottica regionale quello che maggiormente preoccupa, soprattutto la resistenza libanese e quella palestinese, è il fatto che una stabilizzazione dei rapporti tra le potenze sunnite ed Israele permetterebbe inevitabilmente a Tel Aviv di poter continuare la sua politica razzista e coloniale in una maniera totalmente indisturbata oppure di colpire il suo nemico dichiarato, Hezbollah, senza troppe ripercussioni a livello internazionale. Le minacciose parole “non consiglio a nessuno di provocarci o di metterci alla prova” pronunciate dal neo ministro della difesa israeliano, il falco e ultra-nazionalista Avigdor Lieberman, durante una visita al confine settentrionale con il Libano non sembrano purtroppo casuali.
Stefano Mauro
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