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Turchia: stato d’emergenza perenne e caccia agli artisti ‘terroristi’

Poco dopo la proclamazione dello stato d’emergenza in Turchia, a seguito del maldestro e fallito golpe del 15 luglio scorso, vari esponenti del regime islamo-nazionalista turco avevano promesso che sarebbe durato meno dei tre mesi previsti e che una volta fatta ‘pulizia’ nell’esercito e negli apparati pubblici dagli odiati gulenisti la situazione sarebbe tornata alla normalità. Ma poi, qualche settimana fa, lo stato d’emergenza è stato prolungato ed ora le dichiarazioni del ‘sultano’ lasciano intendere addirittura che il prolungamento possa durare un anno. D’altronde nel paese si rincorrono voci e allarmi, per lo più alimentati da esponenti del regime, sul fatto che non sia del tutto scongiurato un nuovo tentativo di golpe. “Il governo spargendo queste voci sogna di rendere permanente il regime dello stato d'emergenza", afferma l'avvocato per i diritti umani Efkan Bolac.

Intanto di fatto lo stato d’emergenza è stato raddoppiato ed esteso fino ad ottobre su raccomandazione del Consiglio di Sicurezza Nazionale (MGK) presieduto dal presidente Erdogan, secondo il quale la misura si rende necessaria “per proseguire in modo efficiente le misure mirate alla protezione dei diritti e delle libertà dei cittadini". Ai critici il ‘sultano’ ha risposto che anche nella democratica e rispettata Francia "è applicato lo stato d'emergenza da un anno senza che nessuno trovi qualcosa da ridire". Ora la palla passa al Consiglio dei Ministri che però è sotto lo stretto controllo del capo dello stato dopo il repulisti interno all’Akp e allo stesso esecutivo iniziato anche prima delle purghe post putsch.

Nel corso degli ultimi due mesi, grazie agli speciali poteri concessi al governo e al presidente in particolare grazie allo stato d’emergenza, il regime ha imposto 8 decreti legge – che però saranno in vigore solo finché si prolungherà l’emergenza – che hanno permesso la più imponente purga mai effettuata nella società turca, portando al licenziamento e all’espulsione di decine di migliaia di dipendenti e amministratori pubblici e statali, alla chiusura di centinaia di scuole e università e di decina di media dell’opposizione, tutti accusati di avere legami con le organizzazioni capeggiate dal predicatore e magnate Fethullah Gulen (che, secondo le accuse, dal suo esilio statunitense avrebbe ispirato o addirittura orchestrato il tentativo di colpo di stato estivo) oppure con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan.

Secondo i dati forniti recentemente dal ministro della Giustizia di Ankara Bekir Bozdag – e quindi probabilmente sottostimati – attualmente ben 32 mila persone si trovano in stato di detenzione per motivi politici, ed altre 70 mila sono state denunciate e inquisite, molte delle quali sono già passate per i commissariati e le prigioni del paese o ci passeranno presto. Il numero di persone colpite dalla repressione è così alto che, ha annunciato lo stesso Bozdag, il regime ha deciso di costruire un nuovo maxi tribunale in grado di ospitare migliaia di imputati nel distretto di Sincan, nella capitale Ankara.

E, ovviamente, purghe e arresti proseguono quotidianamente senza sosta. La Procura di Istanbul ha emesso recentemente altrettanti mandati d'arresto per 87 impiegati di tre tribunali della metropoli sul Bosforo e per altri 75 dipendenti di diverse carceri nel Paese. Le operazioni delle forze di sicurezza per arrestare coloro che sono oggetto dei mandati di cattura sono iniziate all'alba di oggi in tutto il Paese. Gli imputati sono accusati di aver usato "l'app ByLock", di "aver effettuato transazioni verso conti correnti della Bank Asya, adesso chiusa", e di aver avuto "un ruolo attivo nelle finanze dell'organizzazione" legata a Fetullah Gulen, di cui il regime continua a chiedere con forza agli Stati Uniti l’arresto e l’estradizione.

Nei giorni scorsi le autorità turche hanno licenziato 87 agenti dei servizi segreti (Mit) per gli stessi motivi. Sempre nei giorni scorsi a finire in manette erano state altre 121 persone, arrestate nel corso di una retata condotta in ben 18 province diverse. Tra i ricercati, ci sono dirigenti della nota ong 'Kimse Yok Mu' (C'è nessuno?), a lungo utilizzata dallo governo di Ankara per condurre alcune iniziative di solidarietà all'estero.

Le autorità turche hanno anche bloccato le trasmissioni di ben 10 canali tv che utilizzavano la lingua curda, tra i quali Zarok Tv, il primo canale per bambini in curdo. La stessa sorte è toccata anche a due stazioni radio che trasmettevano in turco ed in curdo e considerate vicine al movimento di liberazione curdo.

Tra le vittime della repressione indiscriminata c’è anche l’artista e giornalista Zehra Dogan, finita in manette lo scorso 27 luglio insieme a 46 suoi colleghi mentre le autorità chiudevano tre agenzie di stampa, 16 canali televisivi, 45 giornali, 15 riviste e 29 case editrici. Zehra Dogan, direttrice dell’agenzia di stampa femminista Jinha, è nota per i suoi dipinti che ritraggono le distruzioni e le sofferenze inflitte dall'esercito turco nelle città del sud-est a maggioranza curda prese di mira negli ultimi mesi dai bombardamenti e dalla repressione indiscriminata. Contro di lei pende ora la grave accusa di collaborazione con il Pkk, che potrebbe costarle parecchi anni di prigione.

 

Marco Santopadre

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