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Libia, ancora scontri a Tripoli. Al Serraj sempre più debole

Sembrava destinato a fallire in poche ore il tentato golpe realizzato durante la notte tra venerdì e sabato in Libia dalle milizie dell’ex premier islamista Khalifa al Ghwell. Ma ancora questa mattina gli islamisti hanno attaccato con armi leggere e lanciarazzi la base navale di Busitta, dove si trova una delle residenze del capo del cosiddetto Governo di Accordo Nazionale, al Serraj, sorretto dall’Unione Europea, dagli Stati Uniti e dall’Onu. Secondo le informazioni a disposizione l’attacco non avrebbe provocato alcuna vittima.

Conflitti a fuoco sono avvenuti anche in altre zone della città e in queste ore si combatte vicino alla sede della Sesta brigata nell’area di Zawia al Dahamani. La Sesta brigata è guidata da Abdelhakim Belhaj, ex comandante di al Qaeda in Afghanistan, arrestato dalla Cia nel 2004, consegnato a Muammar Gheddafi e poi rilasciato dallo stesso rais nel 2010. Belhaj è stato fra i protagonisti della cosiddetta “rivoluzione” del 2011 a Bengasi. Da Bengasi Belhaj si è poi spostato a Tripoli nel 2012 e ha finora tenuto un basso profilo. Ma ora le sue milizie sono state coinvolte nello scontro tra al Serraj e l’ex premier al Ghwell destituito nel marzo scorso al momento dell’insediamento del nuovo esecutivo patrocinato da numerose potenze desiderose di imporre un certo ordine in una Libia spaccata da quando la Nato, nel 2011, sostenne con una campagna di bombardamenti la ribellione degli islamisti contro il regime di Gheddafi.

Ma la stabilità è lungi dall’essere tornata in Libia e il maldestro golpe di venerdì notte lo dimostra, preoccupando non poco le varie potenze interessate a imporre un ordine necessario a sfruttare adeguatamente il petrolio e il gas del paese.

Le milizie islamiste agli ordini di al Ghwell, del vice primo ministro del disciolto Congresso Nazionale Generale, Awad Abdul Saddeq, dell’ex capo della Guardia Presidenziale Ali Ramali e di altri esponenti del governo di transizione avevano occupato un certo numero di edifici pubblici, tra cui il Consiglio di Stato, e una emittente televisiva dalla quale i golpisti avevano lanciato un loro messaggio ad una nazione che di fatto non esiste più, frammentata com’è in clan, tribù, fazioni dietro le quali operano per interposta persona le varie potenze straniere e le multinazionali energetiche. Al Ghwell, accusando il Governo di Accordo Nazionale di non essere altro che lo strumento delle varie potenze che si spartiscono le ricchezze del paese, ha chiesto ad Abdullah al Thinni, capo del governo parallelo insediato a Tobruk, di unirsi all’iniziativa per destituire al Serraj, ma senza successo. Poi, nel giro di poche ore, la reazione delle milizie lealiste – anch’esse, per lo più, egemonizzate dalle correnti islamiste ed in particolare dai Fratelli Musulmani – ha costretto i golpisti a ritirarsi dalla maggior parte degli edifici precedentemente occupati. Ma il golpe ha lasciato dietro di sé numerosi strascichi, come dimostrano gli scontri armati di oggi, mentre secondo alcune voci al Ghwell avrebbe abbandonato Tripoli.

Quale che sia l’esito finale della sollevazione degli ambienti legati al precedente governo quanto avvenuto dimostra per l’ennesima volta l’estrema debolezza del Governo di Accordo Nazionale imposto dalla maggior parte delle potenze occidentali in Libia e spacciato come la carta risolutiva che avrebbe restituito al paese unità, ordine e stabilità. Anche la giustificazione che il nuovo esecutivo avrebbe rafforzato la lotta contro le milizie del Califfato perde valore visto che, a parecchi mesi dall’inizio dei combattimenti a Sirte e all’impiego non solo delle milizie di al Serraj ma anche dei commando e dei corpi speciali di vari paesi europei e degli Stati Uniti, i jihadisti controllano ancora una parte importante della città ed altre località.

Per non parlare della sfida lanciata lo scorso mese dalle milizie agli ordini del generale Khalifa Haftar e fedeli al parlamento di Tobruk che con una repentina offensiva hanno occupato tutti i terminal petroliferi della Cirenaica, sfidando l’autorità di al Serraj in quella parte del paese e mettendolo in una scomoda posizione rispetto ai propri padrini internazionali. L’inviato dell’Onu per la Libia, Martin Kobler, avrà pure definito il governo di al Serraj “l’unica autorità legittima” del paese, ma la realtà è assai lontana dall’essere tale e di fatto il suo governo controlla poco più di un terzo della Libia.

 

Marco Santopadre

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