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Gerusalemme diventa “la madre di tutte le battaglie”

Trump vuole riconoscere Gerusalemme capitale di Israele, contro il mondo Bassam Saleh Fra pochi giorni il neo eletto presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, entrerà alla Casa Bianca e assumerà i suoi poteri come presidente della più grande potenza mondiale. Vedremo se l’insediamento sulla poltrona presidenziale nell’ufficio ovale della Casa Bianca gli farà capire la differenza fra governare e fare campagna elettorale in libertà.

Trump dovrà confrontare le sue idee con la realtà, sia a livello interno (sistema sanitario, immigrazione) sia a livello di politica internazionale (relazioni con altre potenze mondiali, i focolai di guerra sparsi nel mondo, lotta al terrorismo e nuove alleanze nella lotta contro il cosiddetto “terrorismo islamico” inventato dagli stessi Usa). Il dossier medio orientale, ed il secolare conflitto arabo israeliano, sarà sull’agenda di Trump, dopo l’astensione al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, decisa dall’attuale amministrazione Obama che ha fatto passare una risoluzione di condanna di Israele e la sua politica di colonizzazione nei territori palestinesi occupati, compresa Gerusalemme Est.

Dopo la decisione del Congresso di fare di tutto per bloccare quella decisione e di sostenere la politica del governo coloniale israeliano in Cisgiordania e a Gerusalemme, cosa farà il presidente Trump? Da sottolineare che la politica di tutte le amministrazioni americane nei confronti di Gerusalemme, anche prima del 1967, è stata coerente con le risoluzioni dell’Onu e del consiglio di sicurezza che non hanno mai né riconosciuto né accettato l’annessione di Gerusalemme allo stato di Israele. Washington ha mantenuto l’ambasciata a Tel Aviv, pur mantenendo una solida alleanza strategica con Israele, con sostegno politico e militare senza condizioni.

Il fatto che Trump, e non l'amministrazione statunitense per il momento, pensi a trasferire la sua ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme, come ha promesso in campagna elettorale, non fa altro che esprimere stupidità, arroganza e disprezzo nei confronti del diritto internazionale e della stragrande maggioranza dei paesi delle Nazioni Unite che continuano a sostenere la necessità di porre fine all'occupazione israeliana della terra di Palestina, permettendo al popolo palestinese di esercitare il suo diritto all’autodeterminazione. E garantire, come è previsto dalla risoluzione 194, il ritorno dei rifugiati ai luoghi che son stati costretti a lasciare sotto la minaccia della forza e della pulizia etnica, e il risarcimento di tutti i danni materiali e morali subiti. Al presidente americano, che non ha una grande esperienza di politica internazionale, almeno questo riferiscono i mass media, auguriamo che fra i suoi consiglieri ci sia qualche esperto serio, non di quelli sostenitori dei coloni israeliani o che hanno fatto parte dei loro vigliantes come il futuro ambasciatore statunitense in Israele.

Per Gerusalemme, in tutte le risoluzioni dell’Onu, si parla di uno Status internazionale, dalla risoluzione 181 del 29/11/1947 all’ultima 2334 del 23/12/2016; quest’ultima condanna la colonizzazione del territorio occupato nel 1967, compresa Gerusalemme. E su questa linea sono le dichiarazioni del segretario di stato Kerry che ha chiesto al Governo israeliano di fermare gli insediamenti nei territori occupati non solo perché violano il diritto internazionale ma perché sono la causa del fallimento del processo di pace in Medio Oriente, e rendono impossibile una soluzione basata su due Stati come era previsto dagli accordi di pace del 1993. A Kerry va un ringraziamento perché ha detto la verità, peccato che non l’abbia detta 4 anni fa, e va ricordato che già nella risoluzione 181 del 1947 era prevista la soluzione di due Stati, che dava ai palestinesi il 48% del territorio della Palestina storica. La protezione incondizionata americana a Israele ha dato un contributo non indifferente al tanto sangue palestinese versato dagli israeliani e al prolungamento del conflitto.

Se l’amministrazione statunitense prenderà la posizione del presidente e trasferirà la sede dell’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme, nessuno può immaginare quali saranno le reazioni del mondo arabo, del mondo islamico e del mondo cattolico. Questa città santa ha una importanza di valenza transnazionale, non può essere esclusiva di una sola religione. È la città simbolo della pace, è un patrimonio dell’umanità dichiarato dall’Unesco. Di tutto ciò Trump si dovrebbe rendere conto: Gerusalemme è la madre tutte le battaglie, sta sulla strada per lo stato di Palestina e per la pace giusta in medio oriente. L’auspicio è che la nuova amministrazione americana possa contribuire alla soluzione del conflitto arabo israeliano, chiedendo al suo alleato israeliano di scendere dall’albero dell’intransigenza e del fondamentalismo religioso dei coloni da cui sta governando Israele. Un governo che continua a occupare i territori di un altro Stato, che viola il diritto internazionale.

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1 Commento


  • Artur Severi Bilov

    Salve, l'ultima parola dell'articolo è incompleta.

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