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Kurdistan, mina vagante nella polveriera mediorientale

Gioia e inquietudine – Tensione crescente fra Erbil e Baghdad, le cui leadership si guardano in cagnesco ora che circa quattro milioni di kurdi della regione autonoma del nord Iraq hanno impresso su scheda l’adesione alla proposta d’indipendenza di Masoud Barzani. Che ha ricevuto un ampio assenso anche nella provincia che gli arabi considerano propria: Kirkuk.

Il premier iracheno al-Abadi non accetta il valore simbolico della marea di sì riversatasi nell’urna, di cui, all’inverso, il presidente del Krg rivendica il peso politico. Il primo si fa forte dell’aria che tira nella regione, delle minacce belliche di Erdoğan, della voce grossa sollevata anche dal solitamente diplomatico Rohani.

Chi ha a che fare con l’etnìa kurda, sebbene numeri e peso politico delle varie situazioni sia differente e cangiante, vuole escludere un possibile contagio dalla smania secessionista. Fa eccezione, almeno per ora il governo siriano, che parrebbe flessibile a un’accettazione dell’autonomia del Rojava. Posizione si presume tattica perché le Unità di difesa del popolo combattono con determinazione i miliziani dell’Isis e con la stessa determinazione difenderebbero i propri territori contro chiunque. Ovviamente occorrerà vedere le forze in campo.

Come i molti passi di Damasco in questi anni, c’è chi legge in questa scelta un suggerimento russo. Mosca punterebbe sui kurdi di tutte le sponde, dal Pyd al Pkk, passando per le milizie di Barzani. Ma se i nemici dell’entità Kurdistan, che non è affatto una questione di lana caprina, vorranno scatenare carri armati e artiglieria (scelta che la Casa Bianca scoraggia, temendo la definitiva disgregazione irachena) terminati gli assedi a Mosul, si avvierebbero quelli a Erbil e dintorni.

Desideri e paragoni ingombranti – La popolazione di quel territorio, che pure ha visto i familiari combattenti coinvolti nella guerra all’Isis con conseguenti lutti, non ha conosciuto gli strazi di civili. Questo può fungere da deterrente e ammorbidire la fermezza di Barzani dal braccio di ferro in atto. Eppure esiste anche il rovescio della medaglia: la componente politica e militare kurda avrebbe gettato sangue contro il Daesh che insidiava anche i suoi territori, senza ottenere nessun avanzamento del progetto che dall’autonomia regionale mira a una definizione politico-amministrativa del suolo e del sottosuolo. Ovunque esso sia abitato dalla propria gente, lì dov’è impreziosito dal petrolio e dove non lo è.

Uno stato di fatto che i peshmerga sostengono di voler difendere a ogni costo armi alla mano. Ora che quelle mani s’allungano sui pozzi di Kirkuk il governo iracheno pensa a ristabilire i vecchi equilibri con l’uso dell’esercito, come domandano molti parlamentari portavoce dei propri elettori arabi e turcomanni. E alle rivendicazioni economico e commerciali già iniziano a sommarsi quelle ideologiche e politiche sul controllo di luoghi considerati sacri dal mondo arabo, nonostante la Storia sia testimone di terre contese e coabitate da varie etnìe.

Qualche politologo avvicina la creazione del Kurdistan a quello di Israele, considerando il paragone tutt’altro che un azzardo per il punto di vista più radicale del mondo arabo. Comunque il passo può risultare un elemento distrattivo che, annunciando un conflitto permanente, metterebbe all’angolo la soluzione dell’indipendenza archiviandola come impraticabile.

Contraddizioni attuali, rischi futuri – Erdoğan è stato durissimo con Barzani: “Non pensavamo potesse compiere un così grave errore. Questa consultazione, senza che fra noi ci sia stato alcun colloquio, è un tradimento”. Ma il presidente turco lascia uno spiraglio aperto. Sia ammettendo che c’è stato un errore di sottovalutazione da parte dell’establishment interno (e rinvia un po’ dello scarso intuito su esecutivo, esercito, Mıt, tutti organismi che la riforma presidenziale pone sotto il suo super controllo), sia quando trasforma la minaccia d’un intervento armato dai propri confini in quella di chiudere varchi e aeroporti da cui far transitare merci. Posizione non meno severa e ricattatrice, però non armata.

I ‘consigliori’ presidenziali ritengono che una forma di soffocamento morbido del Kurdistan potrebbe risultare più efficace dello scontro palese. E di fatto gli scali di Erbil e Sulaymaniya sono praticamente deserti; numerose compagnìe occidentali hanno già sospeso i voli, la libanese Mea e la Turkish li bloccheranno da domani.

Ma la tattica più adeguata agli interessi del nazionalismo turco apertamente sposato da Erdoğan è quella di carezzare Barzani e la sua creatura politica (meglio se regione autonoma confinante piuttosto che Stato autonomo) per combattere poter a fondo i kurdi di casa, dal Pkk all’Hdp. Un gioco che per durare necessita delle scelte di alleati e avversari, sulla scena regionale e internazionale, e la divisione dei kurdi stessi.

articolo pubblicato su http://enricocampofreda.blogspot.it

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