“Le donne potranno prendere la patente e guidare da giugno 2018” così ha comunicato ieri l’agenzia stampa saudita annunciando la caduta di uno dei tabù storici per le la lotta dei diritti delle saudite. Con un decreto firmato il 26 settembre, re Salman Al Saud, ha finalmente concesso alle donne di poter guidare senza l’accompagnamento del “guardiano”. Scompare definitivamente un divieto nell’ultimo paese al mondo dove era ancora in vigore.
La notizia ha provocato un’ondata di entusiasmo tra i diversi movimenti per i diritti delle donne. L’abolizione del divieto di guida si aggiunge ad un’altra recente conquista. Sabato scorso le saudite sono entrate, per la prima volta, nello stadio Re Fahd di Ryiadh in occasione di uno spettacolo per l’87° festa nazionale della monarchia. Numerose, ovviamente, le limitazioni. Le donne sono state autorizzate ad entrare obbligatoriamente accompagnate da famigliari, uomini e bimbi, in una sezione separata dello stadio, mentre gli uomini soli si sono seduti in un’altra sezione.
Una decisione improvvisa, quella di re Salman, visto che la classe religiosa saudita, secondo il credo wahhabita (visione ultra reazionaria dell’Islam sunnita, ndr), si è da sempre dichiarata contraria a qualsiasi forma di emancipazione femminile. La settimana scorsa un predicatore aveva motivato il proprio sostegno al divieto dichiarando, nell’incredulità da parte della stampa mondiale, che “la donna possiede un quarto del cervello di un uomo”.
Il regno saudita cerca di ridurre alcune restrizioni per le donne nel quadro del piano di sviluppo “Vision 2030”, una serie di riforme in campo economico e sociale, portato avanti dal principe Mohammed Bin Salman, in un’ottica di rinnovamento della monarchia.
Molte, però, sono le battaglie da portare avanti per i diritti delle donne in un paese che dallo scorso maggio è membro della Commissione delle Nazioni Unite sullo status delle donne (UNCSW), l’organismo dell’ONU impegnato nella lotta per l’uguaglianza di genere. Una scelta discutibile vista l’attuale situazione delle donne saudite e, secondo molte ONG, “un’assurdità in contrasto con gli obiettivi e gli ideali della commissione”.
In Arabia Saudita, infatti, le donne, fin dalla nascita, sono affidate alla figura del “guardiano”: inizialmente un maschio della famiglia (padre, fratello), poi il marito. In qualsiasi caso il “guardiano” (wali in arabo) limita le libertà della donna, impedendone di fatto ogni sua emancipazione. Secondo la dottrina wahhabita, la donna non può uscire da sola, è autorizzata ad allontanarsi dalla sua residenza o dalla sua città solo con l’autorizzazione del tutore. Divieti e proibizioni che toccano tutti gli aspetti della quotidianità. Le donne devono obbligatoriamente indossare la abaya (velo nero) senza mostrare il viso o mostrarsi truccate, non possono cambiarsi o provare abiti nei negozi, praticare sport alla vista di altri, andare dal medico senza consenso del wali e limitare qualsiasi tipo di conversazione con un uomo che non sia un parente.
Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha salutato il decreto di re Salman come “un passo importante nella giusta direzione per i diritti delle donne”. Attualmente la monarchia saudita occupa il 141° posto su 145 riguardo alla libertà delle donne secondo il Report sulla Disparità di Genere 2016 del Forum Economico Mondiale.
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