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Siria. L’Isis costretta ad abbandonare Yarmouk

L’esercito siriano è riuscito finalmente a liberare il distretto di Yarmouk e i distretti attigui, tutti quartieri situati all’interno del perimetro di Damasco. Dopo una sanguinosa battaglia durata diverse settimane, con diverse migliaia di miliziani dell’Isis asserragliati in pochi quartieri, finalmente la contesa ha avuto fine; agli uomini del califfato rimasti vivi sarebbe stato consentito di evacuare verso un’enclave del deserto ancora in mano ai loro commilitoni, anch’essa, per altro, assediata dalle forze governative.

Considerato prima della guerra la capitale dei Palestinesi della diaspora, Yarmouk è stato per anni teatro di “una guerra civile nella guerra civile” fra milizie palestinesi, con i guerriglieri di Fronte Popolare di Liberazione della Palestina-Commando Generale, Fronte Popolare di Liberazione della Palestina e Fatah al-Intifada a combattere al fianco di Damasco e i guerriglieri collegati ad Hamas a combattere al fianco di Al-Nusra.

Ciò finché non 2015 non è arrivato l’Isis, che si è impadronito di quasi tutta l’area, mettendo ai margini sia filo-governativi, sia anti-governativi. Da allora quasi tutti gli abitanti di Yarmouk sono fuggiti, diventando così “profughi due volte”, e lasciandovi quasi solo i miliziani.

Con la vittoria di Yarmouk, che ha fatto seguito a quella del Ghouta orientale di aprile, Damasco è completamente libera da ogni gruppo fondamentalista sunnita per la prima volta dal 2012, quando l’esercito siriano, che allora non godeva ancora dell’aiuto di Russia ed Hezbollah, fu costretto a concentrare sulla capitale gran parte delle proprie forze (ritirandosi completamente, ad esempio, dalle aree che da allora fanno parte del cosiddetto Rojava) per evitare che i jihadisti giungessero fino al palazzo presidenziale, in una fase in cui la fine del Governo di Damasco e l’uccisione del Presidente Assad sembravano imminenti.

Completamente diversa, invece, è la situazione attuale. Questa ennesima vittoria dell’esercito siriano arriva pochi giorni dopo una nuova tornata dei colloqui diplomatici di Astana, che vedono principali protagonisti la Russia e l’Iran da una parte, e la Turchia dall’altra; Israele, USA e Francia continuano ad essere fuori e a non riconoscere l’esito di tali colloqui.

Anche questa volta, i protagonisti delle trattative hanno rinnovato l’impegno militare diretto a garantire il rispetto delle zone di de-escalation. In particolare, per quel che concerne la provincia di Idlib, occupata in gran parte da gruppi fondamentalisti sunniti spalleggiati dalla Turchia, si è deciso di riaprire il pezzo dell’autostrada che da Damasco porta ad Aleppo, che si trova vicino al fronte. Russia e Turchia garantiranno una propria presenza militare atta a creare una zona cuscinetto intorno all’infrastruttura. A parte questi accordi locali, tuttavia, ancora non s’intravede una soluzione politica complessiva che metta attorno ad un tavolo Governo di Damasco e gruppi di opposizione filo-turchi; fra questi ultimi, fra l’altro, persiste ancora l’ambiguità legata alla loro coesistenza con Hayat Tahrir al-Sham, ex Al-Nusra, esclusa formalmente dai negoziati perché legata ad Al-Qaeda, ma cionondimeno appoggiata, di fatto, dalla Turchia. Lo scenario più probabile, pertanto, rimane ancora quello della cristallizzazione dell’attuale situazione di divisione di fatto della Siria in entità che non si riconoscono fra di loro, ciascuna garantita da una potenza straniera.

Questo per quel che riguarda le aree incluse nei colloqui di Astana. Chi è escluso da questi, come detto, non li riconosce e scalpita per far saltare il banco, creando continuamente pretesti per provocare un’escalation fra false accuse di attacchi chimici e bombardamenti su postazioni governative. Parliamo, ovviamente, di USA, Francia (i quali si giocano ancora la carta delle SDF sul terreno) e di Israele.

In particolare, dopo che il Segretario Generale di Hezbollah Hassan Nasrallah ha nei giorni scorsi confermato che dal territorio siriano, in risposta alle continue incursioni, sono stati presi di mira diversi obiettivi israeliani situati nelle alture del Golan occupate, giungono voci continue che il prossimo obiettivo dell’esercito di Damasco potrebbe essere l’area compresa nelle province di Dara’a e Quneitra in mano a milizie legate ad Al-Qaeda e all’Isis; tali aree sono situate al confine con Israele e vengono viste da quest’ultimo già quasi come proprio territorio.

Persino le Nazioni Unite hanno documentato apertamente la collaborazione fra Israele e milizie considerate terroriste che operano nell’area (http://nena-news.it/onu-israele-appoggia-gruppi-jihadisti-che-combattono-in-siria/). Un attacco siriano, dunque, oltre a portare a galla l’ipocrisia di Israele e dei suoi alleati, potrebbe significare anche un peggioramento ulteriore delle relazioni Israele-Russia, ultimamente in forte tensione, e l’apertura di altri scenari incerti.

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