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Messico. La sfida di Amlo

Domani si vota in Messico. I sondaggi anche questa volta lo danno in testa, ma le urne hanno sempre dato un responso diverso (anche grazie ai brogli). Lui è Andrès Manuel Lòpez Obrador, favorito da tutti i sondaggi con oltre venti punti percentuali. In coerenza con la passione tutta latinoamericana dei diminutivi e delle sigle, lo chiamano Amlo. Un populista di sinistra secondo i suoi moltissimi avversari, una speranza per tanti messicani che vogliono eleggerlo per le sue idee progressiste, per la promessa di rompere con il passato delle misure neoliberali e lottare senza quartiere contro la corruzione.

Amlo è stato per due volte il candidato presidenziale del Partito della Rivoluzione Democratica (Prd) nel 2006 e nel 2012 ma senza riuscire a vincere. Nel 2006 contro i brogli ci fu una sorta di rivolta popolare nella capitale Città del Messico.

Quattro anni fa ha fondato il partito Morena (Movimiento Regeneración Nacional), ed ora alla testa della coalizione Juntos Haremos Historia, è rimasto l’unico candidato presidenziale progressista in partita.

Niente da fare per Marichuy, María de Jesús Patricio Martínez, la candidata zapatista che aveva attraversato tutto il paese, che è rimasta esclusa dalla competizione elettorale per non essere riuscita a raccogliere il numero di firme necessarie per potersi presentare.

In un documento pubblico, L’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, il Congresso Nazionale Indigeno ed altre organizzazioni spiegano che: “Ottenere il numero di firme sufficienti ci avrebbe permesso di approfittare di quello spazio per continuare a dare visibilità ai popoli originari, ai loro dolori e alle loro lotte, segnalando allo stesso tempo il carattere criminale del sistema, per farci eco dei dolori e delle rabbie che pullulano in tutto il territorio nazionale, e per promuovere l’organizzazione, l’autogestione, la resistenza e la ribellione. Non ci siamo riusciti, ma dobbiamo continuare la nostra strada cercando altre forme, metodi e modi, con ingegno, creatività e audacia, per ottenere quello che vogliamo” (1)

“Siamo stanchi dei governi neoliberali. Vogliamo che questo governo distrugga tutte le riforme strutturali che Pena Nieto aveva varato” riassume le proprie aspettative uno dei sostenitori di Amlo.

Il riferimento è alle riforme antipopolari di Pena Neto presidente uscente del Partito Rivoluzionario Istituzionale, il partito conservatore che è stato al potere ininterrottamente in Messico dal 1921 al 2000. Politiche liberiste accusate di aver impoverito la popolazione senza risolvere né la corruzione dilagante, né la violenza sempre più pesante. Si vota per le presidenziali, ma anche per le elezioni politiche e per molte sfide locali, e decine di candidati sono stati uccisi nei mesi della campagna elettorale. Il primo luglio infatti si svolgeranno le elezioni più grandi della storia del Paese, con 3400 candidati alle presidenziali, politiche, al seggio di otto governatori, più quello di Città del Messico, e di 1600 sindaci.

I due rivali di Amlo, sono José Antonio Meade del Partito Rivoluzionario Istituzionale e Ricardo Anaya del PAN, il Partito di Azione Nazionale (di centrodestra) che accusano Lòpez Obrador di usare slogan vuoti su come combattere la povertà e contrastare la corruzione, ma senza dire come.

Amlo più modestamente ha promesso di dimezzarsi lo stipendio ed ha abbassato il tiro sulle sue proposte più contestate dalla organizzazione padronale messicana. Non chiede più di abrogare la privatizzazione del settore energetico approvata da Pena Nieto, ma di rivedere i contratti già in essere. Amlo ha promesso di bloccare la costruzione del nuovo aeroporto internazionale di Città del Messico sul lago di  Texcoco, contro il quale anni fa c’erano state grandi proteste dei movimenti sociali represse nel sangue, ma più di qualche osservatore ritiene che comunque sarà costretto a venire a patti con i gruppi imprenditoriali che hanno sostenuto e supportato il contestato e controverso Pacto por Mèxico ratificato da Pri, Pan e Prd (1)

Il prossimo Capo dello Stato messicano ha davanti a sé una serie di sfide enormi sul piano interno ma anche nei rapporti con gli Stati Uniti di Donald Trump – ai quali il Messico è ingabbiato attraverso il Nafta – con i quali sta salendo la tensione sull’immigrazione dal centro America e la guerra commerciale attraverso i dazi.

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