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L’umiliante sconfitta e il fallimento politico dei golpisti in Nicaragua

Hanno provato di tutto, anche l’impossibile. Hanno ricevuto milioni di dollari dalla stessa potenza che dal 1855 interferisce nelle questioni interne del Nicaragua. Per aggredire il popolo si sono serviti di bande locali e sottoproletari disperati.

Hanno fatto un ulteriore sforzo per rovesciare il legittimo governo del presidente Daniel Ortega, usando il metodo del “golpe suave”, dell’ideologo della CIA Gene Sharpy; ma nonostante tutto hanno fallito.

La Commissione Interamericana per i Diritti Umani, CIDH, se ne lava le mani sostenendo che la Commissione indaga solo sulle violazioni dei Diritti Umani commesse dal governo e non da quelle commesse da cittadini autoconvocati; per questo ci sono polizia e giudici.

Sono intervenuti anche i vescovi della Conferenza Episcopale che si sono recati nelle stazioni di polizia per esigere la liberazione dei “ragazzi”, definiti dal vescovo golpista Silvio José Báez Ortega “riserva morale della patria”. E non è questo il peggio, ci sono video in cui con orrore si può vedere un sacerdote cattolico e un pastore evangelico che, a quanto sembra, erano presenti alle sessioni di tortura nella città di León.

L’opposizione antisandinista nicaraguense ha commesso il più grave errore strategico degli ultimi 30 anni cercando di saltare le tappe e volendo rovesciare il presidente Daniel Ortega con un “golpe suave”, seguendo lo stesso copione mediatico applicato senza successo in Venezuela.

Quello che non capiscono i golpisti del Nicaragua è che gli Stati Uniti non hanno né amici né nemici, ma solo interessi. E’ questa la triste lezione che troppo tardi hanno appreso molti dittatori come Anastasio Somoza, Ferdinando Marcos nelle Filippine, Hosni Mubarak in Egitto e Otto Perez Molina in Guatemala, solo per menzionare i più noti.

Gli Stati Uniti si sono imbarcati in una gigantesca controrivoluzione continentale per invertire i processi rivoluzionari, ma con il passare del tempo sta diventando una missione impossibile. La travolgente vittoria elettorale di Andrés Manuel López Obrador in Messico è soltanto l’ultimo esempio di ciò che affermo.

I popoli di Brasile, Argentina, Colombia, Perù e di altre nazioni latinoamericane, prima o poi eleggeranno governi della sinistra rivoluzionaria perché è questa la tendenza storica degli ultimi 100 anni, a partire dalla vittoria della rivoluzione contadina in Messico del 1910, passando per le azioni eroiche di Sandino nel 1927, poi il governo rivoluzionario di Jacobo Arbenz Guzmán in Guatemala, spodestato dalla CIA nel 1954, la Rivoluzione cubana di Fidel Castro nel 1959, la vittoria popolare nella Repubblica Dominicana nel 1965, quando migliaia di adolescenti dominicani noti come “los tigres” uscirono da tutti i quartieri di Santo Domingo e obbligarono 42 mila marines statunitensi a ritirarsi insieme alle guardie nazionali di Somoza; il 19 luglio 1979 si arriva alla vittoria della Rivoluzione Popolare Sandinista, e poi il trionfo di Hugo Rafael Chávez Frías in Venezuela.

Ironicamente, nel caso del Nicaragua del 2018, l’uomo che va meglio per tutti è José Daniel Ortega Saavedra, leader indiscusso della Rivoluzione Popolare Sandinista negli ultimi 40 anni. Dalla parte di Ortega c’è la vittoria militare contro la dittatura somozista, la vittoria nei confronti della Contra che ha gettato le armi, oltre ad una impressionante ripresa economica a partire dal 2008. Gli scribacchini creoli dimenticano che, nonostante abbia perso 3 elezioni, Ortega ha vinto la guerra.

Oggi gli interessi strategici degli Stati Uniti sono tesi a garantire tre cose; 1) il controllo fermo e effettivo del narcotraffico che va dalla Colombia agli Stati Uniti; 2) il controllo del flusso migratorio illegale verso gli Stati Uniti e 3) un clima favorevole per gli investimenti nordamericani in Nicaragua, garantendo pace, sicurezza e stabilità alle aziende statunitensi nel paese.

L’ironia politica di questo secolo sta nel fatto che l’unico che possa garantire questi 3 elementi è il presidente Ortega. Il triangolo del nord (Guatemala, El Salvador e Honduras) ne sono la prova più chiara. I paesi del triangolo del nord sono virtualmente diventati stati del narcotraffico falliti, mentre il Nicaragua era, fino al 18 aprile, un’oasi di pace, stabilità e progresso sociale.

Il nucleo golpista chiaramente identificato come il “cervello” degli atti vandalici è il cosiddetto Movimento Renovador Sandinista, MRS, fondato dall’ex vicepresidente Sergio Ramírez Mercado e da Dora María Téllez, sua principale “operatrice” politico militare. Movimento tendente essenzialmente a sistemare i conti con la coppia presidenziale per liti personali a cui si aggiunge l’amarezza della sconfitta elettorale all’interno del partito di governo nei decenni passati; più a questo tende che non a “promuovere la democrazia”.

Oltre a questo nucleo dirigente, nel gruppo golpista c’è un amalgama di interessi e gruppi diversi, nessuno dei quali si distingue, né per quadri dirigenti nazionali in grado di competere con il presidente Ortega, né per un piano per la nazione.

Sono uniti da un solo denominatore comune: rovesciare Daniel Ortega. A parte violare la volontà popolare espressa in un’elezione presidenziale riconosciuta dall’OSA (organizzazione degli Stati Americani), questo movimento non ha nulla da offrire e non parlano mai di un piano per la nazione, perché non lo hanno.

La presenza nel paese di organismi internazionali di ogni forma, colore e grandezza, serve soltanto ad abbassare un po’ la febbre del paziente golpista che non vuole ammettere di aver perso. Gli organismi internazionali non potranno dare ai golpisti quel mandato che da soli non sono riusciti ad ottenere.

I golpisti del 2018 hanno amaramente constatato come non ci siano state insurrezioni di massa, né il popolo ha marciato contro El Carmen, come desideravano i golpisti che hanno invece dovuto assoldare mercenari e membri di bande dei quartieri più poveri di Managua; l’unica cosa che hanno ottenuto è stato seminare il terrore tra la popolazione e prendere in ostaggio il popolo del Nicaragua. “O Ortega rinuncia o faremo morire di fame il popolo e tortureremo chiunque si opponga”.

Preso di sorpresa, il presidente Ortega ha resistito pacificamente all’assalto. Bypassando l’articolo 97 della Costituzione, Ortega ha fatto rientrare le forze di polizia, su insolente richiesta della conferenza episcopale.

L’opposizione golpista è giunta a livelli di barbarie mai visti prima in Nicaragua, neanche all’epoca della dittatura di Somoza. Le reti sociali hanno raccontato di persone torturate pubblicamente; davanti alle telecamere dei telefoni cellulari si esaltava la crudeltà di giovani sotto l’effetto di droghe che spogliavano e frustavano, tenendole legate mani e piedi, persone indifese sospettate di essere sandiniste.

Ma l’opposizione ha collezionato una sconfitta dietro l’altra. Sottovalutando l’astuzia e la saggezza politica del comandante Ortega, i golpisti hanno creduto di poter isolare Ortega grazie agli intrallazzi e al sostegno degli Stati Uniti; pensavano anche di poter ottener la condanna di Ortega da parte della OSA, ma hanno fallito su tutti i fronti.

Gli Stati Uniti hanno lasciato soli i “diplomatici” inetti dell’opposizione nicaraguense ed hanno invece rilasciato una dichiarazione congiunta con il governo del Nicaragua. Gli sforzi della vandalica opposizione golpista sono falliti anche al Congresso USA, sono stati ricevuti soltanto da congressisti e senatori Cubano-Batistiani; tutti gli altri, compresi i repubblicani, non hanno voluto riceverli.

Tutto ciò che sanno fare è tormentare e rendere la vita impossibile ai cittadini, incendiare le case dei sandinisti e di chiunque non si sottometta alla loro violenta dittatura fascista. Il dialogo, supervisionato dalla Conferenza Episcopale, è soltanto un esercizio simbolico irrilevante, in cui l’opposizione cerca di mettersi in mostra con la speranza di guadagnare punti da mostrare ai propri capi politici dell’Ambasciata USA.

Non sono riusciti a rovesciare il presidente Ortega, non hanno né forza politica, né mezzi per obbligarlo ad andarsene. Sono stati loro a uccidere e torturare i poveri e gli umili, hanno sequestrato un popolo pacifico, ma sarà proprio questo popolo a presentargli il conto alle prossime elezioni presidenziali.

Come ha detto il presidente Ortega nel suo discorso di sabato 7 luglio, se si vuole arrivare al potere ci si organizzi secondo tempi e modi previsti dalla Costituzione, costituendo partiti politici e chiarendo la propria visione davanti al popolo, visto che non lo hanno fatto non sanno far altro che ripetere il coretto “que se van se van”, sciocco slogan che non comunica alcun piano per la nazione; che lottino per cacciare Ortega (è già stato sconfitto elettoralmente altre volte), ma lo facciano attraverso il voto popolare.

Stando così le cose, il meglio che può fare l’opposizione è ritirarsi, tornare lì dove hanno elaborato la loro strategia, fare un serio, davvero serio, esame di coscienza, chiedere pubblicamente perdono al popolo per il sangue versato, per aver provocato povertà e disoccupazione e riconoscere che il potere è del popolo, è sandinista e che in Nicaragua sarà sempre 19 luglio.

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