“É Preciso Dar Um Jeito, Meu Amigo” (Erasmo Carlos 1971)
Questi versi del cantante brasiliano scritti durante la dittatura militare risuonano anche in Ainda Estou Aqui, vincitore del premio per la miglior sceneggiatura a Venezia, e ora candidato a 3 premi Oscar.
Trovare una strada, una via d’uscita, un modo per reagire: è proprio nell’azione, nell’atto di resistenza, anzi nella molteplicità atti di resistenza, che risiede la forza di questo film.
Siamo a Rio de Janeiro, negli anni ’70. Una famiglia numerosa vive in una casa vicino al mare, le cui porte sempre aperte creano un continuo via vai di persone di ogni età. Un prologo luminoso ci introduce ai personaggi nel loro mondo: i bambini corrono, giocano per strada e sulla sabbia, si scambiano affetti, risate, soprannomi ed i giovani e gli adulti non sembrano essere meno al loro agio in questa solare serenità.
La dittatura militare brasiliana sembra ancora un’ombra lontana, una minaccia percepibile solo fuori campo, fino a quando non bussa direttamente alla porta divenendo una tragica realtà.
Questa apparente “spensieratezza” di una famiglia della classe media brasiliana dura però ben poco nel film e viene spezzata dalle conseguenze di un preciso fatto di cronaca politica.
Lo spettatore viene proiettato nella realtà di quegli anni tramite le scene di controlli polizieschi a tappeto dopo il rapimento dell’ambasciatore svizzero Giovanni Enrico Bucher, fermi di cui è “vittima” la figlia maggiore della famiglia al centro del film, insieme ad un gruppo di amici, mentre sono di ritorno a casa in auto.
Il rapimento avvenne il 7 dicembre del 1970 e terminò circa un mese dopo con il rilascio del diplomatico elvetico, in cambio della liberazione di 70 prigionieri politici, una vicenda raccontata tra l’altro nel documentario del 2013 “70. Setenta” di Emilia Silveira.
Il sequestro ed il clima politico del paese diventa sempre più il focus principale delle discussione del giro di amici ed amiche della famiglia protagonista, con i genitori preoccupati per il destino della figlia all’ultimo anno delle scuole superiori che decidono di mandare temporaneamente a studiare all’università a Londra, presso una coppia di conoscenti decisi a trasferirsi in Gran Bretagna a causa del deteriorarsi della situazione.
La prima parte del film quindi ci introduce in quegli anni di consolidamento della dittatura ed allo stesso tempo di resistenza armata (e del suo consenso) al regime raccontati tra l’altro nel libro autobiografico di Flávio Tavares: Memorie dell’oblio.
Tavares, prima giornalista progressista e poi militante della resistenza armata, è uno della dozzina di prigionieri politici scambiati in seguito ad un altro sequestro avvenuto nel settembre del 1969 dell’ambasciatore statunitense in Brasile Charles Burcke Elbrick da parte del Movimento Rivoluzionario 8 Ottobre insieme al ANL di Marighella, intenzionati con quegli atti a fare emergere internazionalmente la realtà dittatoriale del paese e le precise responsabilità statunitensi, oltre a vedere liberati alcuni detenuti politici.
Tra il 31 marzo ed il 1 aprile del 1964, infatti, un golpe condotto dalle forze armate depose il presidente João Goulart, mettendo fine all’esperienza della Quarta Repubblica brasiliana inaugurata con la fine della Seconda guerra Mondiale, e inaugurando una longeva dittatura militare che durerà fino a metà degli anni ottanta.
Un destino comune a tutto il continente latino-americano, pianificato dal “Piano Condor” ed una precisa regia statunitense.
Recentemente una ricostruzione storica magistrale di Vincent Bevins – il Metodo Giacarta. La crociata anticomunista di Washington e il programma di omicidi di massa che hanno plasmato il nostro mondo – ha messo “in parallelo” la strategia statunitense attuata in Indonesia con quella operata in Brasile, mostrando come l’allora amministrazione nord-americana non tollerasse esperienze anche timidamente riformiste come quella di Goulart in Brasile. Gli USA hanno sostenuto attivamente le trame golpiste supportate da un blocco sociale che andava dagli alti ranghi militari alle gerarchie cattoliche, oltre ad una parte consistente della borghesia brasiliana, che optarono ai tempi per il fascismo tropicale piuttosto che per una moderata politica socialdemocratica.
Sono passati sessant’anni dall’inizio del colpo di Stato che, per vent’anni, ha imposto la dittatura militare, perseguitando migliaia di persone. Ainda Estou Aqui porta sullo schermo questa memoria storica con uno sguardo intimo e familiare.
Walter Salles, attraverso un’estetica tipica del cinema brasiliano, racconta ancora una volta una storia vera, affidandosi alla potenza visiva della pellicola in 35mm e all’integrazione di immagini in Super 8. Questi elementi amplificano il realismo, richiamando esplicitamente il linguaggio fotografico, conferendo un’aura di intimità familiare alle immagini. La narrazione, infatti, si sviluppa anche attraverso le fotografie e i video realizzati dalla figlia maggiore, Maria Beatriz (Olivia Torres), i cui filmati diventano strumenti essenziali per far progredire la storia.
Questa scelta stilistica si inserisce in una tradizione metacinematografica profondamente radicata nel cinema brasiliano, evocando film come City of God, in cui la narrazione si intreccia con le fotografie scattate dal protagonista, creando un dialogo visivo tra cinema e realtà, dove la cifra espressiva è neo-realista.
Come nel libro di Marcelo Rubens Paiva, il film ripercorre la scomparsa del padre, Rubens Paiva (Selton Mello), ex deputato di sinistra. L’ombra della dittatura si insinua nella quotidianità familiare, interrompendo brutalmente un’esistenza apparentemente serena. Una sera, degli uomini bussano alla porta con la scusa di porgli qualche domanda. Rubens viene portato via e scompare nel nulla. Poco dopo, la polizia militare arresta sua moglie, Eunice (Fernanda Torres), e la loro figlia Eliana. Quest’ultima viene rilasciata il giorno successivo, seguita poco dopo da Eunice.
Il rilascio di Eunice segna un punto di svolta nel film, spostandone la prospettiva. Di fronte all’arresto e alla scomparsa improvvisa del marito, lo spettatore segue il suo percorso di trasformazione interiore e resistenza. Una vera e propria metamorfosi, dettata non solo dal dolore e dall’ingiustizia subiti mai vissuti solo privatamente ma denunciati pubblicamente, dalla necessità di affrontare improvvisamente le difficoltà economiche e dover mantenere la famiglia. Il film costruisce un forte dualismo tra il nucleo familiare ed il cordone sanitario delle proprie cerchie amicali, e un esterno sempre più minaccioso, intrecciando una storia intima con quella collettiva di un intero paese.
Questa condizione spinge Eunice a una scelta radicale: abbandonare Rio de Janeiro per trasferirsi a San Paolo, riprendere gli studi in giurisprudenza, mantenere lei stessa la famiglia. Il passaggio tra le due città segna una frattura netta e simbolica: dalla luce e dall’energia di Rio alla cupezza di San Paolo, dove il buio avvolge la scena e le camionette militari pattugliano le strade.
In questa narrazione, estetica e interpretazione si fondono magistralmente. L’intensa performance di Fernanda Torres che le è valsa il golden globe alla miglior attrice, porta sullo schermo un personaggio che attraversa vent’anni prima di conoscere la verità, subendo continui mutamenti fino a diventare avvocata e e simbolo nella lotta per i diritti umani in Amazzonia, con un finale assolutamente commovente.
“Ainda Estou Aqui” non è solo un film di grande bellezza visiva, ma la sua forza politica ha avuto un impatto profondo in Brasile. La scomparsa di Rubens Paiva, come quella di tante altre vittime della dittatura, rischiava di essere dimenticata. Negli anni della repressione, migliaia di brasiliani furono torturati e perseguitati, altri vennero giustiziati mentre lottavano contro la dittatura come accade a Carlos Marighella, ex membro del PCB e fondatore nel 1967 del gruppo guerrigliero ANL.
Tra questi, Dilma Rousseff, membro del Partido dos Trabalhadores e stretta collaboratrice di Lula negli anni della sua presidenza (2003-2011). Nel 2010 è diventata la prima donna presidente del Brasile e ha istituito una Commissione nazionale per la Verità, con l’obiettivo di raccogliere documenti nascosti e portare alla luce ciò che le forze armate cercano ancora oggi di celare proprio quando l’opzione golpista non sembra essere stata accantonata dalle opzioni politiche in campo.
Attraverso il racconto di una vicenda personale, Ainda Estou Aqui che sta avendo molto successo in Brasile, invita il pubblico a una riflessione collettiva sul passato dittatoriale del Brasile e delle forme di cooperazione alla resistenza contro il regime, riaffermando il valore della costruzione della memoria storica come atto costituente per la ripresa di un itinerario politico che fu soffocato sul nascere dall’imperialismo statunitense e dalle complicità occidentali.
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Robby
Grazie per la riflessione assolutamente in linea con le vicende narrate. Ho visto il film qualche giorno fa, una lezione sulle tragedie sudamericane. Purtroppo il tema trattato dovrebbe essere al centro dell’attenzione della sedicente sinistra ma non è di moda criticare la regia americana che si celava dietro tanti drammi della democrazia
Vincenzo Perri
Oggi, a fronte del “ritorno” dell’estrema destra in Germania,,taluni esponenti del partito, secondo nel paese, han dichiarato che non tutti i componenti delle SS erano criminali. A dispetto dei continui richiami alla “memoria”, dell’evidenza schiacciante della violenza e degli ’orrori, sotto forme diverse e ben impacchettate nei media, strisciano ritorni alimenrati da populismi infimi e featuiti. E quel che oiu addolora, sventolando pa bandiera della democrazia.