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Moldavia: USA e UE spingono per un governo di coalizione filo-occidentale

Comunisti fuori dal parlamento: nessun deputato per il partito dell’ex Presidente della repubblica (dal 2001 al 2009) Vladimir Voronin, giunto appena al 3,77%. Questo il risultato forse più singolare (per quanto non inatteso) delle elezioni parlamentari svoltesi domenica scorsa in Moldavia.

Nessun deputato anche per il Partito liberale (1,24%), finora membro della coalizione di governo PD-PLD-PL: in entrambi i casi si sono confermate le previsioni della vigilia. Il Partito socialista, cui fa capo il Presidente Igor Dodon, pur confermando le attese di primo partito, non ha raggiunto il risultato sperato e ha ottenuto solo 33 seggi, molto lontano dalla maggioranza di 51 deputati.

Il dato principale è dunque quello che nessun partito ha raggiunto la maggioranza necessaria a formare un governo e si danno come molto probabili nuove elezioni anticipate. In alternativa, la soluzione che più farebbe gioco a USA-NATO-UE: una coalizione tra il Partito democratico (31 seggi) e il blocco “ACUM” (27 seggi), giunti rispettivamente secondo e terzo nei risultati e con comuni linee di euro-integrazione e pro-NATO e dunque sostenuti da Bruxelles e Washington.

Per quanto i rapporti tra i due schieramenti non siano esattamente lineari, le “diplomazie” occidentali lavorano, già da prima delle elezioni, per appianare le controversie, nessuna delle quali riveste un carattere tale da impedire all’Occidente di continuare, per tramite loro, l’opera di “reclutamento” di Kišinëv e di un suo progressivo allontanamento da Mosca.Quarta formazione a entrare in Parlamento, “Shor” (7 seggi), dell’affarista Ilan Shor, con sulle spalle una condanna a sette anni per lo scandalo del famoso miliardo di dollari “scomparso” da tre banche.

L’oligarca e leader del PD, Vladimir Plahotniuc, pur di conservare le posizioni di governo, si è dichiarato disposto a formare una maggioranza parlamentare con qualsiasi altra formazione; altrettanto ha detto Ilan Shor.

La maggior parte dei commentatori sono concordi nel rilevare che il nuovo sistema elettorale (50 deputati eletti per liste di partito e 51 in collegi uninominali), cui era favorevole soprattutto il PD, ha effettivamente favorito questo partito, che ha raccolto una gran parte dei propri seggi nei collegi uninominali, grazie alla campagna personalistica legata a figure del sottobosco oligarchico che, in definitiva, fa il gioco di Plohotniuc.

Non a caso, la Tass ricorda come il petroliere del PD, già nel 2014, nonostante si votasse allora solo per liste di partito (il sistema misto è stato introdotto ora per la prima volta) e avesse ottenuto appena 19 mandati, era riuscito poi a foraggiare altri 35 deputati da formazioni diverse e prendersi in tal modo la maggioranza necessaria a formare il governo.

Da parte loro, i socialisti mettono l’accento sul gran numero di brogli e sulla corruzione che si sarebbe registrata dietro le quinte delle votazioni. L’ex deputata comunista, ex Primo ministro (2008-2009) e dal 2016 presidente del Partito socialista, Zinaida Greceanîi, ha dichiarato che il suo partito non esclude di far ricorso contro il risultato elettorale, almeno in sei circoscrizioni, proprio a causa delle irregolarità nel voto e dei casi di corruzione degli elettori con fondi governativi. La Greceanîi non esclude nemmeno un nuovo voto anticipato.

Il leader del PC, Vladimir Voronin ha dichiarato che il sistema misto ha dato esattamente il “risultato per cui è stato introdotto. Sono entrati in Parlamento aperti truffatori, funzionari corrotti e persone moralmente disposte a tutto. Tuttavia, nessun singolo partito ha acquisito un chiaro vantaggio, e oggi l’organo legislativo somiglia a un cigno, un luccio e un tacchino. Il passaggio al sistema elettorale misto ha giocato sicuramente a favore del PD, che ottiene 31 seggi, senza contare i tre deputati “indipendenti”, che aspettano solo l’ordine di passare sotto il comando di Plahotniuc”.

Formalmente, dunque, il PS avrebbe vinto le elezioni, ottenendo il maggior numero di voti per le liste di partito e portando in Parlamento un numero di deputati eletti all’uninominale, all’incirca pari a quelli del PD. Di fatto, la previsione è che i socialisti rimangano all’opposizione, continuando in tal modo la contrapposizione tra Presidente della Repubblica, socialista, e Governo, presumibilmente in mano al PD. Al contempo, nota colonelcassad, il rafforzamento della posizione del PS (aumentato comunque di circa il 10%) potrebbe rendere quantomeno meno agevole la “eurointegrazione” e l’avvicinamento alla NATO, che sono i fattori chiave della situazione moldava.

Con un occhio alla carta geografica, non va dimenticato che la Moldavia, se a ovest deve fare i conti con le mire annessionistiche rumene (cui fanno da sponda varie forze interne, non escluse quelle di governo), su tutti gli altri versanti vede la maggioranza governativa ansiosa dell’avvicinamento all’Ucraina golpista, cui si contrappongono non proprio convintamente i socialisti, i quali ora dimostrano simpatie filo-russe, ora ondeggiano verso il ritiro (su cui incalzano da anni USA e NATO) del contingente di pace russo dalla Transnistria.

Tornando al voto, il Presidente Igor Dodon ha dichiarato che entro metà marzo dovrebbero esser rese note le conclusioni della Commissione elettorale circa i ricorsi per brogli e violazioni. In caso di via libera, egli convocherà la prima seduta del nuovo Parlamento non oltre il 26-27 marzo, contando nel fatto che si sia trovato un accordo sul nome del nuovo Primo ministro. Nel caso vengano accertate violazioni e brogli, saranno indette nuove elezioni.

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