In tutto il mondo si alzerà il grido altissimo e feroce di tutte quelle donne che più non hanno voce
Non una di meno e lo sciopero globale femminista proclamato per mettere al centro la violenza come fenomeno a carattere strutturale e non emergenziale dentro e fuori i luoghi di lavoro.
Uno sciopero che coglie il nesso tra violenza di genere perpetuata attraverso i dispositivi di esclusione, segmentazione e frammentazione del lavoro.
Uno sciopero per denunciare il dato spaventoso delle molestie e dei ricatti sessuali sul lavoro.
Uno sciopero per strappare le donne dalle pareti di casa dentro cui perdono la vita, soffocate da abbandoni non accettati e un occhio sociale ancestrale che fa pagare cara la libertà di essere esattamente quello che si è.
Uno sciopero che mette al centro la femminilizzazione del lavoro come laboratorio sistemico: a partire dalle donne si è sperimentata la miscela oppressiva tra messa a disposizione di tempo di vita, gratuita’ e intermittenza, poi estesa a tutto il mondo del lavoro e cristallizzata nei modelli di precarietà e dismissione dello Stato sociale.
Uno sciopero per rivendicare la congiunzione imprescindibile tra i diritti civili che nutrono la libertà di autodeterminazione delle donne e i diritti sociali in cui la libertà trova espressione concreta.
Uno sciopero contro la mancanza di finanziamenti e riconoscimento dei Centri Antiviolenza, contro la chiusura degli spazi delle donne, contro l’obiezione di coscienza nei servizi sanitari pubblici.
Uno sciopero per il diritto ad un welfare universale, al reddito di autodeterminazione, alla casa, al lavoro, alla parità salariale, all’educazione scolastica, a misure di sostegno per la fuoriuscita dalla violenza.
Uno sciopero, proclamato dentro un sistema produttivo che precarizza, marginalizza, demansiona e crea uno stato di ricattabilità permanente e un sistema diffuso in cui il modello e quello della wonderwoman, quello in cui si esalta chi fa da sé, il primato dell’individuo su qualsiasi forma di aggregazione sociale.
Uno sciopero contro il regime della doppia oppressione per il quale, sotto la scure del progressivo e feroce smantellamento dello Stato Sociale, si scarica il lavoro di cura sulle spalle delle donne, vere e proprie service provider gratuite.
Uno sciopero proclamato contro l’ascesa delle destre reazionarie, a livello europeo e internazionale, che stringono un patto apertamente razzista col potere capitalista per macinare repressione, deregolamentazione e sfruttamento.
Uno sciopero contro Il DDL Pillon, inserito a pieno titolo in un contesto che perpetua l’attacco alle donne: un disegno che passa dalle mozioni comunali che vorrebbero mettere in discussione la 194 e redistribuire in chiave di imposizione sulla autodeterminazione delle donne le risorse pubbliche, perimetrandone la morale e giudicandone la vita privata.
Uno sciopero per costruire una giornata in cui tante donne e soggettivita LGBTQI, che vivono condizioni di lavoro, familiari e di vita diverse, si uniscono per alzare la testa contro una societa’che le vuole sottomesse e ubbidienti.
Uno sciopero di sorellanza che costruisce da continente a continente un abbraccio verso le donne in lotta.
Uno sciopero che coglie la connessione tra il dogma dei confini, la fabbrica permanente della paura e i dispositivi di controllo sui corpi delle donne, consapevole che l’ oppressione delle frontiere e di genere sono due facce della stessa gerarchia.
Uno sciopero che parte dalla libertà e dalla differenza per dare una prospettiva politica, perché proprio quella differenza stabilisce la linea dello schieramento.
Uno sciopero contro le teorie del decoro, elemento propulsore di ingiustizia sociale nonche’ di controllo sociale e di pulsione all’ordine per conto terzi
Uno sciopero per dire no a qualunque forma di strumentalizzazione dei nostri corpi, usati per fomentare l’odio razziale e le derive securitarie che legittimano la militarizzazione nelle città.
Uno sciopero contro la fabbrica permanente del noi e del loro tramite cui le penne governative e della stampa ufficiale vengono intinte nell’inchiostro della paura per restringere ogni spazio di libertà e umanità e arrivare all’isolamento, all’autocontrollo, a non uscire di casa. Quella stessa casa che talora si fa prigione di morte, umiliazione e ricatto economico.
Uno sciopero contro la narrazione della violenza di genere a doppia velocità in cui il corpo della donna può essere usato per imporre più “sicurezza” o strumentalizzato in chiave razzista ma mai per porre al centro la violenza perpetrata in nome del popolo italiano.
Uno sciopero contro il Decreto Sicurezza, che istituzionalizza la torsione autoritaria del Potere: deroga allo Stato di diritto prendendo spunto dall’anello più debole, gli immigrati, dopo aver concimato terreno per facili consensi, per poi passare a tutta la società, criminalizzare le lotte presenti e future, andando a colpire chi dissente o semplicemente solidarizza con le proteste sociali, ambientali, lavorative.
Uno sciopero per tutte le nostre sorelle migranti, strette nella morsa tra il rimpatrio e l’abuso.
Uno sciopero dai consumi contro un mercato che domina bisogni e desideri, che non riconosce la sofferenza degli animali, che avvelena il cibo e la terra dove viene prodotto, che delocalizza la produzione nei paesi senza regole e diritti, sfruttando la manodopera e le risorse naturali senza preoccuparsi delle ricadute sulle vite, sul clima e sull’ambiente.
Uno sciopero per immaginare nuove forme di Resistenza. Dove non c è spazio per i confini reali e immaginari e ci si trasforma in granello di sabbia nell’ingranaggio.
Uno sciopero contro tutti i tentativi di mettere a tacere, disciplinare, moralizzare il grido altissimo e feroce di tutte quelle donne che piu’ non hanno voce.
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