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L’Hirak algerino e la gestione della transizione

Alle porte di casa, dall’altra parte del Mediterraneo, in un paese in cui l’Occidente non mette più le mani da decenni, c’è una rivoluzione popolare. Ma ai media dell’establishment “europeista” non interessa affatto. Mica è “arancione”…

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Non parliamo di cambiamento, lo facciamo

Slogan del movimento studentesco algerino

Ancora ieri, martedì 23 aprile, il capo di stato maggiore dell’Esercito Nazionale Popolare (ANP) algerino, nonché numero due del governo, Gaïd Salah, ha ribadito l’impegno dell’istituzione militare nell’accompagnare il popolo nelle sue rivendicazioni “legittime”.

Nel suo abituale discorso settimanale, oltre a elogiare il carattere pacifico delle manifestazioni di venerdì scorso – il nono consecutivo venerdì di mobilitazione dal 22 febbraio – ha messo in guardia rispetto ai pericoli che correrebbe il paese.

“Noi ricordiamo” – ha detto Salah – “che il nostro paese non ha cessato d’essere il bersaglio di complotti abietti, per destabilizzarlo e mettere in pericolo la sua sicurezza, a causa dei suoi posizionamenti costanti e la sua capacità decisionale sovrana che rifiuta qualsiasi diktat.”

Il generale parla di una trama di un complotto i cui i primi segnali risalgono al 2015, delineando lo spettro di un piano per sfruttare la situazione di impasse che si sarebbe potuta crearsi.

Viene lodata l’azione giudiziaria dentro quella che sembra essere una gestione della transizione che risolva, attraverso il lavoro dei giudici, la questione della marginalizzazione definitiva di parte del vecchio “sistema Bouteflika”, o almeno degli uomini più invisi del proprio apparato di potere.

“Ho fatto appello all’apparato giudiziario” – dice il generale – “ad accelerare la cadenza le inchieste giudiziarie concernenti gli affari di corruzione e di dilapidazione del denaro pubblico, e di giudicare tutti coloro che hanno saccheggiato i soldi del popolo. In questo contesto, precisamente, valorizzo la risposta della giustizia quanto a questo appello, che rappresenta un aspetto importante delle rivendicazioni legittime degli algerini, ciò che permetterà di rassicurare il popolo che il suo denaro rubato sarà recuperato per la forza giudiziaria e con il rigore necessario.”

L’attuale configurazione della transizione algerina ha alcuni elementi cardine: la spinta popolare, oramai inscritta nella durata, è il primo e il principale. Sta scuotendo l’assetto di potere, così come la dirigenza dei corpi intermedi che ne hanno assicurato la vita – la maggioranza dei partiti politici e la maggiore centrale sindacale – dando un ruolo all’opposizione politica e sindacale che non era prefigurabile alcuni mesi fa.

Basti pensare alla celebrazione del 39° anniversario della “primavera berbera”, che non avrebbe avuto in un altro contesto questo spazio e questa importanza, considerando il ruolo di totale organicità di questa componente all’interno dell’Hirak.

Il secondo aspetto è ruolo cardine svolto anche in questa contingenza storica dall’esercito, l’istituzione che gode di maggiore consenso, ma che allo stesso tempo si trova dentro un delicatissimo equilibrio tra l’assecondare le esigenze popolari e trovare un compromesso con l’apparato di potere funzionale a non creare “vuoti di potere” e a far progredire senza eccessivi scossoni il processo di transizione dentro la cornice costituzionale.

Un terzo elemento è l’uso del potere giudiziario dentro lo scontro tra i vari apparati di potere, teso a tradurre le istanze popolari di giustizia sociale nei confronti degli “avvoltoi” cresciuti all’ombra dell’“Era Bouteflika”, negli ultimi vent’anni circa.

Due elementi importanti dal chiaro connotato contro-rivoluzionario sono la resistenza degli uomini dello “Stato Profondo” ad uscire di scena (siano parte degli apparati dello stato o dell’establishment economico), e il tentativo di sfruttare l’Hirak da parte di alcune forze – di fatto terminali dell’ingerenza esterna di importanti attori politici regionali – svuotandola del contenuto di realizzazione della sovranità popolare e di giustizia sociale, per orientarlo secondo altri piani sia la componente che propende per una politica maggiormente neo-liberale, sia quella che propugna una regressione complessiva secondo i dettami dell’islam politico più conservatore che regola la vita nelle varie petromonarchie arabe).

In questo contesto, la vitalità del movimento dei lavoratori – sia esso rappresentato dalla fronda che vuole scalzare l’attuale dirigenza della UGTA finora guidata da Sidi Said (che è comunque a fine mandato e non si ricandiderà come segretario) o dalla dozzina di importanti sindacati autonomi piuttosto combattivi dell’altra centrale sindacale, la CSA (tra cui quelli degli insegnanti, del settore sanitario o dei giornalisti), che promuovono una giornata di mobilitazione per il 1°Maggio ad Algeri – insieme al movimento di emancipazione della donna giocano un ruolo fondamentale per fare arretrare questi due “agenti controrivoluzionari” opposti e contrari, al fianco di quella che è stata fino ad adesso una delle principali risorse dell’Hirak: il movimento studentesco.

Anche questo martedì, per la nona volta, gli studenti sono scesi in piazza ad Algeri e in differenti città per chiedere la fine del sistema, chiedendo di andare oltre l’exit strategy finora attuata dall’esercito con l’applicazione dell’articolo 102 della Costituzione, che ha portato Abdelkader Bensalah – una delle “tre B” di cui la piazza ha chiesto a gran voce la partenza – ad essere capo di stato ad interim in previsione delle elezioni presidenziali che si svolgeranno il 4 luglio.

Bensalah ha cercato di avviare una serie di consultazioni con la classe politica – comunque boicottate dall’opposizione – che si è risolta fino ad ora in un fiasco, vista l’indisponibilità nell’essere cooptati dentro questo meccanismo di gestione della transizione.

Sotto i colpi giudiziari stanno cadendo importanti pezzi del Sistema Bouteflika – come i fratelli Kouninef – , esponenti dell’economia privata (come il presidente del gruppo Cevital Issad Retrab), alti responsabili politici come i due attuali senatori Djamel Ould Abbes e Saïd Barkat (cui è stato dato l’ok per la rimozione dell’immunità parlamentare), o l’ex primo ministro Ahmed Ouyahia e l’attuale ministro delle finanze Mohamed Loukal, oltre a pezzi dello stesso esercito.

In questo contesto, la capacità di tenuta della mobilitazione ha di fatto tre punti di forza: le iniziative degli studenti del martedì, le azioni del movimento dei lavoratori e di altri importanti settori della società civile e le manifestazioni oceaniche del venerdì. Insieme ad un rafforzamento organizzativo e una maggiore credibilità delle forze della sinistra algerina (FFS, PT, PST) sono questi i fattori che più influenzeranno il corso della transizione e accelereranno la fine di un sistema che, prima del 22 febbraio, veniva ritenuto inscalfibile ed imperituro, e forniranno un esempio importante per le altre mobilitazioni continentali dal Marocco, al Mali fino al Sudan.

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