Menu

Donbass: Zelenskij gioca alla “pace” continuando la guerra

Qualche giorno fa, in corrispondenza con l’ennesima seduta del Gruppo di contatto a Minsk, il nuovo capo del Servizio di sicurezza e difesa ucraino, Aleksandr Daniljuk aveva dichiarato che Kiev è intenzionata a risolvere il conflitto in Donbass, sulla base della piena attuazione degli accordi di Minsk. Ovviamente, l’obiettivo è quello, oggi come ieri, del reintegro del Donbass nella compagine ucraina. Secondo Daniljuk, sarebbe stata realizzata una parte delle condizioni previste dal “Minsk 2”: status speciale per il Donbass e amnistia per i combattenti; il tutto, però, dovrebbe passare per l’introduzione di un contingente di pace ONU (sulla cui composizione, già in passato erano sorte polemiche) e sul completo disarmo delle milizie. Sorvolando sul fatto che lo status speciale, secondo “Minsk 2”, dovrebbe essere formalizzato nella Costituzione, non sembra che sinora sia cambiato molto per il Donbass: come prima delle elezioni presidenziali, come dopo lo scioglimento della Rada, come in questo periodo di campagna elettorale per le elezioni parlamentari, i bombardamenti ucraini continuano quotidiani.

Solo negli ultimi due giorni, artiglierie da 152 mm, mortai da 120 mm e proiettili incendiari hanno bersagliato, sulla direttrice di Gorlovka: Zajtsevo-juzhnoe, Dolomitnoe, Vasilevka, Golmovskoj; sulla direttrice di Donetsk: Jasinovataja, Aleksandrovka, Mineralnoe e l’area dell’aeroporto di Donetsk; sulla direttrice di Mariupol: Kominternovo, Leninskoe e Sakhanka.

In contemporanea, era stato registrato l’arretramento delle forze (sia delle truppe ucraine, sia delle milizie della LNR) nell’area di Stanitsa Luganskaja, un passo giudicato comunque insufficiente dall’ex Ministro della difesa della DNR, Igor Ghirkin “Strelkov”, che ha sottolineato come i combattimenti proseguano in vari punti della linea di separazione e come, di fatto, le forze ucraine si siano ritirate solo di mezzo chilometro, abbandonando una piccola porzione della cosiddetta “zona grigia”, da essi precedentemente occupata. Lo stesso Ministro degli esteri della LNR, Vladislav Dejnego, ha osservato che il passo ucraino, in base agli accordi tra Ucraina, LNR, DNR, Russia e OSCE, era atteso “dal 2016, sabotato da Kiev per ben 81 volte” e che, in ogni caso, lo stesso deve ancora avvenire “per le aree di Zolotogo e di Petrovskoe”, quest’ultima nella DNR.

In effetti, nemmeno dopo il ritiro nell’area di Stanitsa Luganskaja, la situazione generale è mutata: la ricognizione della LNR ha rilevato due complessi di lanciarazzi multipli “Uragan” nella zona di Katerinovka, tre trasporti truppe (BMP-1) a Popasnaja, un cannone antiaereo e tre BMP-1 in mezzo a edifici residenziali a Mironovskij, oltre a un obice “Acacia”.

Kiev vorrebbe attuare un tale “ritiro”, alla sua maniera, anche nell’area di Mariupol: rimanere sulle proprie posizioni e far ritirare le milizie della DNR fino al confine russo. E’ forse a questo scopo che nei giorni scorsi il nuovo Presidente golpista, Vladimir Zelenski, è stato in visita ufficiale in Canada (vi risiede dal XIX secolo una consistente comunità ucraina), dal cui governo ha ottenuto nuove forniture di armi e attrezzature. E i risultati non mancano: il comando delle milizie della DNR ha comunicato che, nei passati sette giorni, sette miliziani sono rimasti uccisi e altri sei feriti, insieme a un civile. E anche l’ex capo del neonazista “Pravyj Sektor”, nonché deputato della Rada e attuale ras del cosiddetto Esercito Volontario Ucraino, Dmitro Jarosh, si è vantato su feisbuc che le sue bande, nell’ultima settimana di giugno, avrebbero “liquidato due posizioni nemiche”, uccidendo quattro miliziani della DNR e facendo un prigioniero. Di fatto, osserva topwar.ru, le bande di Jarosh avrebbero colpito e danneggiato tre abitazioni civili, dichiarando poi che, al loro interno, “si trovavano dei nemici”: una chiara dimostrazione di come tali formazioni rimangano tuttora fuori del controllo di Kiev, a dispetto delle affermazioni sul rispetto degli accordi di Minsk.

Ancora lo scorso 2 luglio, sotto i colpi ucraini erano andate a fuoco alcune case a Zajtsevo e forze di Kiev sparavano con armi leggere per impedire agli abitanti di spegnere l’incendio. Lo stesso giorno, nel villaggio di Aleksandrovka, nella parte occidentale di Donetsk, un civile era rimasto gravemente ferito da schegge di mortaio da 120 mm; artiglierie da 155 mm avevano colpito i villaggi di Kominternovo, Leninskoe, Patrioticeskoe, nel sud della DNR. Lo scorso 4 luglio, un gruppo di osservatori OSCE è finito sotto i tiri di mitragliatrici pesanti ucraine nell’area del teorico, quanto fantomatico, arretramento delle forze, non lontano da Lugansk. La scorsa settimana, ancora i delegati OSCE avevano comunicato che un loro drone di osservazione era stato abbattuto da reparti ucraini, nell’area di competenza della 54° Brigata meccanizzata.

E’ così che il Ministro degli esteri difesa della DNR, Natalja Nikonorova ha dichiarato che alla riunione del sottogruppo sulle questioni politiche a Minsk, la Repubblica popolare di Donetsk ha ancora una volta presentato argomenti a favore “dell’attuazione della formula Steinmeier, senza cui è impossibile ottenere risultati a lungo termine”. Tale formula, proposta nel 2016 dall’ex Ministro degli esteri e attuale Presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier, prevede l’inserimento formale nella Costituzione ucraina dello status speciale del Donbass.

Ma, quanto molte delle dichiarazioni della nuova “squadra” presidenziale ucraina si distanzino dalle sue azioni, lo indica anche il fatto dell’immediata smentita della pur semplice dichiarazione dell’addetto presidenziale, Andrej Bogdan, a proposito dello status regionale da attribuire alla lingua russa: a livello ufficiale, si è prontamente detto che essa, come per il passato, non è considerata quale “lingua di stato” a fianco di quella ucraina.

Sul fronte “politico” interno alle Repubbliche popolari, sembrano manifestarsi alcuni momenti problematici. Gorlovka.today riporta le dichiarazioni dell’ex consigliere di Aleksandr Zakharčenko, Alexandr Kazakov, secondo il quale, dopo l’assassinio di Zakharčenko, tutte le principali imprese industriali della DNR hanno iniziato a passare sotto il controllo dell’oligarca ucraino Sergej Kurčenko, ora riparato in Russia e a suo tempo definito “il portafogli di Viktor Janukovič”. Secondo Kazakov, il “nuovo” rappresentante ucraino ai colloqui di Minsk, l’ex Presidente Leonid Kučma, avrebbe posto quale condizione per eliminare il blocco del Donbass sia il ritorno delle imprese della DNR sotto il controllo degli oligarchi ucraini. Così che sarà la volta di “Akhmetov, Taruta, Kolomojskij, Novinskij” ha detto; il fatto è che queste “imprese metallurgiche, coke-chimiche, di carbone, flux-dolomite, ecc”, sono controllate dalla Vneštorgservis, cioè Kurčenko, “strettamente legato alle strutture di potere russe”. E dunque mi domando, continua Kazakov, “Kurčenko acconsentirà a che Akhmetov e gli altri gli sottraggano tali bocconcini dell’economia della DNR? E se no, allora Kiev chi accuserà della non capacità di negoziare? E la DNR sarà d’accordo a che profitti e tasse dalle maggiori imprese sul suo territorio finiscano nelle tasche degli oligarchi e del bilancio ucraini? D’altronde, lo stesso Vneštorgservis non paga tasse al bilancio della DNR”.

Non molto diverse, purtroppo, anche le considerazioni dell’ex speaker del Parlamento di Donetsk, Andrej Purghìn, che tratta di problemi più legati alla sfera sociale e alla vita quotidiana nella Repubblica e di alcuni aspetti non proprio positivi ai vertici politici, processi di degrado che danneggiano l’economia, corruzione, concussione, ecc.

Intrecciato con tali aspetti, e sicuramente dovuto alla nuova situazione interna ucraina, ma soprattutto alla brama di salvaguardare i propri investimenti in Russia, l’atteggiamento di alcuni di quegli oligarchi. L’ex governatore della regione di Dnepropetrovsk, sponsor di “Pravyj Sektor” e, si dice del nuovo Presidente Vladimir Zelenskij, il magnate Igor Kolomojskij ha improvvisamente contraddetto la consueta affermazione di Kiev, di una ”aggressione russa” e ha invece definitola guerra in Donbass un “conflitto civile interno, non ispirato da nessuno, da nessuna Russia e che si stava preparando da 20 anni”. Nelle Repubbliche popolari, ha detto Kolomojskij, “ci sono molti militari russi, in congedo temporaneo o missione volontaria: essi adempiono a un dovere internazionale. E’ una cosa normale e non se ne deve fare una catastrofe. Gli USA riforniscono l’Ucraina di attrezzature e armi per il conflitto nel Donbass, perché è vantaggioso per l’America mantenere le sanzioni contro la Russia”.

Così che qualcuno comincia a domandarsi se sia Zelenskij a esser sponsorizzato da Kolomojskij, o viceversa; oppure, per riappropriarsi dei profitti dal Donbass e non perdere quelli dalla Russia, mentre si gioca alla “pace” continuando la guerra, insieme abbiano imbastito il vecchio gioco del buono e del cattivo, una parte che tocca alternativamente ora all’uno, ora all’altro. Rimangono i bombardamenti quotidiani: il brutto che tocca esclusivamente al popolo del Donbass.

 

 

 

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *