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Ucraina: inizio d’anno sotto l’effige di Stepan Bandera

Mentre la polizia rinveniva lunedì scorso, in un torrente nei dintorni di Kiev, il cadavere dell’attivista per i diritti umani Irina Nozdrovskaja, scomparsa tre giorni prima, lo stesso 1 gennaio nella capitale ucraina si inneggiava a Stepan Bandera, nel 109° anniversario della nascita e il nazista Oleg Tjagnibok, leader di “Svoboda”, a Ivano-Frank proclamava che l’Ucraina deve essere solo banderista. “L’educazione delle giovani generazioni ucraine nelle idee del nazionalismo” ha tuonato Tjagnibok, “è oggi il compito principale, dal momento che la parte più numerosa della popolazione è pronta a vivere nell’abbraccio di Mosca”. Educhiamo noi, si è chiesto il nazista, “i nostri figli, in modo che la nostra generazione possa lasciare un’Ucraina banderista per loro, banderisti?”.

Per quei banderisti che il 1 gennaio, proclamato festa nazionale da Petro Porošenko, a celebrazione della nascita del capo del OUN-UPA filonazista, hanno sfilato per le strade di Kiev all’insegna di “Per la gloria degli eroi, per il futuro dei giovani!”. Per quei banderisti che, a Dnepropetrovsk, per celebrare la data di nascita del loro “eroe”, dopo la fiaccolata hanno imbrattato con vernice rossa e scritte ingiuriose il monumento in pietra e bronzo a ricordo dei rivoluzionari che, tra il 1917 e il 1919, lottarono per il potere sovietico in Ucraina. Per quei banderisti che, come ha ricordato il governatore della Crimea, Sergej Aksënov, si macchiarono di tante stragi, inquadrati nei ranghi nazisti: “Babij Jar, Volynia, Khatyn, Odessa, Donbass, sono anelli di un’unica catena e in questo tragico elenco avrebbe potuto esserci anche la Crimea” ha detto Aksënov; “questo governo mostra al mondo intero, una volta di più, che il nazismo ucraino è parte integrante dell’ideologia di stato dell’Ucraina”. D’altronde, era stato l’allora presidente USA-UE d’Ucraina, Viktor Juščenko (il cui padre sembra avesse stretti legami con l’UPA), a conferire, prima, il titolo di eroe d’Ucraina al capo dell’OUN Stepan Bandera e a firmare, poi, il decreto sul riconoscimento dell’UPA quale partecipante alla lotta per l’indipendenza del Paese. 
Questo è stato l’inizio d’anno in Ucraina, il cui presidente golpista Petro Porošenko, non pago dell’ennesima telefonata-burla dei pranker russi Leksus & Vovan, questa volta nei panni del Segretario generale NATO, Jens Stoltenberg, (meno di un mese fa, lo avevano chiamato, fingendosi il premier georgiano Georgij Kvirikašvili) si è rivolto ai propri connazionali con un lungo elenco di “vittorie”: dagli USA che “amano l’Ucraina”, a “l’Europa è con noi”. Non si è scordato, naturalmente, Porošenko, di citare l’abolizione dei visti verso i paesi UE, intercalando ogni tre parole messaggi su “pace”, “aggressore”, “guerra”, “armamenti” e, rivolto cinicamente alla popolazione del Donbass, definendo “l’Ucraina, la vostra casa” e insistendo sullo “sviluppo” del paese e il suo “progresso in avanti”, fatto di salari di tre-quattro volte inferiori e tariffe di otto-nove volte superiori rispetto al 2014. Un discorso, quello di Porošenko, giudicato il sermone di un “freddo omicida del proprio popolo”, che si è rivolto alla gente di Crimea e Donbass come “fratelli e sorelle”, ma preparando per loro “un veleno in un involucro luccicante”, come ha detto il deputato russo Ruslan Balbek.

E, quanto “l’Europa sia con l’Ucraina”, lo si può giudicare anche dai rinnovati proclami della Commissione europea, su una forte tranche di aiuti finanziari, vista “l’instabilità politica” nel paese, la guerra, “l’aggressione” e la “permanente interferenza negli affari interni del paese” da parte della Russia, con “l’illegale annessione” della Crimea. Per tutto questo, la Commissione ritiene necessari “investimenti politici e finanziari più significativi”, tramite un “ulteriore allargamento della collaborazione coi maggiori enti finanziari e il settore privato”. Naturalmente, il sostegno UE – 12,8 miliardi di euro – a Kiev è condizionato all’avvio di tutte quelle riforme volte a “modernizzazione”, “avanzamento della democrazia e supremazia del diritto”, specialmente in campo “commerciale, energetico, bancario, sanitario assistenziale”: tutte riforme ben note ai lavoratori, ai pensionati, ai disoccupati dei paesi UE. Un avvio, però, mancato, che in precedenza aveva portato la Commissione europea ad annullare l’ultima tranche degli aiuti macrofinanziari, a causa della non osservanza di alcuni obblighi da parte di Kiev e dell’eccessivo accentramento presidenziale; il che fa supporre che Bruxelles, in vista delle elezioni del 2019 (a meno di qualche majdan anti-Porošenko) intenda puntare su un cavallo diverso.

Così che uno dei pretendenti alla poltrona, lo yankee di Tbilisi Mikhail Saakašvili, non perde occasione per presentarsi quale “il moralizzatore” apolide (dopo quella georgiana, è stato privato anche della cittadinanza ucraina) della corrotta élite politica ucraina. Lo ha fatto anche ieri e ieri l’altro, nelle due giornate caratterizzate da folte manifestazioni, soprattutto a Kiev, di fronte al Ministero degli interni, per chiedere una seria indagine sull’omicidio di Irina Nozdrovskaja; insieme a cartelli contro l’inerzia della polizia e per l’applicazione della “legge di Lynch”, si è fatto vedere anche lui, pur se da lontano, “perché non lo si accusi di strumentalizzare le proteste”, ha detto. Ora che annusa la possibilità di un sorpasso, non si lascia certo sfuggire occasioni così ghiotte, tanto più che ha il dente avvelenato contro Porošenko, che lo accusa di essere al soldo di Mosca e non ha mai dimenticato il “bé, bé, bé” e il bicchier d’acqua lanciatogli in faccia dal Ministro degli interni, Arsen Avakov. L’ex presidente georgiano, ex governatore di Odessa e attuale leader del “Movimento delle forze nuove” ha chiamato gli ucraini all’ennesima majdan: “l’omicidio di Irina Nozdrovskaja è la conseguenza di questo sistema criminale”, ha omeliato Saakašvili, fino a pochi mesi fa parte integrante proprio di questo sistema criminale, prima in Georgia e poi nei racket legati ai traffici portuali di Odessa.

Ed è proprio sulla questione di questo sistema che, ancora Sergej Aksënov, invita a convocare in Crimea una conferenza internazionale sui crimini del nazismo ucraino, cui invitare rappresentanti delle Repubbliche popolari di Donetsk e di Lugansk, di Bielorussia, Israele, Polonia, insieme agli antifascisti ucraini, perché a livello internazionale si riconosca l’ideologia criminale del nazismo ucraino. Sembra legittimo dubitare che a tale conferenza siano disposti a partecipare, quantomeno a livello ufficiale, rappresentanti polacchi. Se la memoria dei massacri della Volynia o di Huta Pieniacka compiute dai filonazisti di OUN-UPA è molto viva tra i polacchi, soprattutto delle aree di confine con l’Ucraina, e si fanno sempre più frequenti le spedizioni squadristiche di nazionalisti polacchi contro gli ucraini di confine e dei nazisti ucraini contro cittadini e consolati polacchi, oltre alla distruzione di monumenti dedicati alle vittime dell’UPA, molto più impellente appare la necessità di conservare, a Kiev, un regime alleato nella contrapposizione a Mosca, come ha mostrato l’appoggio di Varsavia sia alla “rivoluzione arancione” del 2004 a Kiev, che al golpe del 2014. Molto più pressante l’obiettivo polacco-yankee di dar vita a una sorta di nuovo “Patto antiKomintern”, con la partecipazione delle capitali esteuropee più ostili a Mosca; poco importa se solo con molta fantasia qualcuno riuscirebbe a scorgere oggi in Russia qualche retaggio cominternista. Ma, con qualcosa che faccia ancora paura, bisogna pur presentarsi.

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