Menu

Bolivia, fine dello Stato Plurinazionale e inizio della Restaurazione

Antefatto

Continuo a non credere che un “coup d’etat” ordito dall’esterno abbia distrutto il socialismo indigenista di Morales e Linera.

Ovviamente, questa è solo la mia opinione, rinforzata però dai commenti che mi sono arrivati dalla Bolivia anche via email.

Come ho già scritto in precedenza, a mio parere c’è stata una contro-rivoluzione da parte di un ceto medio (prevalentemente di razza bianca e meticcia) che non tollerava più controlli fiscali mirati, e soprattutto voleva sentirsi libero di guadagnare sulla pelle degli altri, ovviamente quelli più deboli.

Ciò che successe tre anni fa, quando i padroncini delle cooperative aizzarono la ribellione dei minatori, arrivando ad ammazzare il ministro degli interni Rodolfo Llanes che era intervenuto a mediare tra le parti, avrebbe dovuto far suonare un campanello d’allarme all’interno dello staff presidenziale, che preferì invece tenere un basso profilo, limitandosi ad arrestare un centinaio di pesci piccoli, fatta eccezione per uno dei caporioni il quale a suo tempo aveva fatto parte dei minatori bloccati per settimane nel sottosuolo in Cile.

Precedentemente a quell’episodio, erano stati uccisi durante scontri con la polizia un sindacalista e un minatore.

Due anni dopo il 14 febbraio, giorno di San Valentino, un attentato dinamitardo a Oruro fece una strage, causando 4 morti e decine di feriti. https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/02/20/miniere-boliviane-dove-il-profitto-minaccia-i-diritti/4169951/ La Central Obrera Boliviana, il sindacato indipendente dei minatori, si era in realtà trasformato in una lobby che ai fini del profitto calpestava i diritti degli stessi che avrebbe dovuto tutelare. A dar man forte a costoro, intervenne lo sciopero degli autotrasportatori che protestavano contro gli aumenti dei costi delle licenze, fiancheggiato dalla serrata dei medici, i quali si opponevano invece al decreto sulla responsabilità penale per la malpratica sanitaria, che Morales voleva fortemente, sulla falsariga di quello già in vigore in Ecuador ai tempi del governo di Rafael Correa Delgado. Il paese rimase così paralizzato per oltre un mese, e il governo dovette cedere, ritirando aumenti e decreti.

Veniamo ai giorni nostri: la auto-proclamata presidentessa Jeanine Áñez blatera di voler restaurare la democrazia, mentre ordina all’esercito di sparare ad altezza d’uomo sui dimostranti, brandendo minacciosamente una Bibbia, così come facevano i cosiddetti missionari durante i genocidi degli indios all’epoca della conquista del Nuovo Mondo.

D’altra parte, il tentativo di attenuare i suoi lineamenti meticci schiarendosi pelle e capelli, denota il distacco che il New Deal attualmente al comando vuole accentuare dalla concezione indigenista dei suoi predecessori. Ma andiamo per ordine.

————-

Non sapremo mai cosa accadde realmente quel 20 ottobre 2019 in Bolivia, quando lo spoglio delle schede alla fine del primo turno di votazioni che opponeva il presidente uscente Evo Morales a Carlos Mesa, leader dell’opposizione, venne bruscamente interrotto.

Alla ripresa del conteggio, Morales risultò vincente per il 47% dei voti contro 37% di Mesa. Uno scarto che negava il secondo turno al suo principale oppositore.

La contestazione iniziò il giorno dopo, propagandosi lungo tutto il paese, con picchi di violenza estrema tra Cochabamba e Santa Cruz, dove l’opposizione al MAS (Movimento per il Socialismo, il partito di Morales) era più forte. Nel frattempo, il governo aveva già convocato una delegazione de l’OAS (Organizzazione degli Stati Americani) con il compito di verificare se ci fossero state frodi elettorali.

Da allora in poi, gli eventi precipitarono con una velocità tale che lasciò attoniti anche i più smaliziati osservatori di fatti e misfatti sudamericani.

Malafede o semplice codardia?

L’operato dell’OAS divenne con il passare dei giorni sempre più ambiguo: all’inizio il suo portavoce espresse “profonda preoccupazione per la drastica interruzione dello spoglio e la repentina chiusura delle urne, un cambiamento anomalo della normale procedura elettorale”.

Dopo che gli scontri tra opposte fazioni causorono le prime vittime, la delegazione di Washington sentenziò che “gli ufficiali preposti allo spoglio avevano manipolato deliberatamente i risultati del turno preliminare, alterando gli stessi in senso partigiano” e favorendo di conseguenza la vittoria di Morales. https://www.nytimes.com/2019/12/05/world/americas/evo-morales-election.html

In realtà, OAS non esibì alcuna prova a supporto di tale asserzione, e una successiva inchiesta del quotidiano inglese The Guardian concluse che ci fu solo “una pausa nella conta veloce dei voti, ai fini di consentire un controllo quando già era stato esaminato l’84% delle schede, e Morales conduceva per quasi 8 punti in percentuale. Alla ripresa, arrivati al 95% dello spoglio, aveva superato il 10% di vantaggio, essendo pervenute con usuale ritardo le urne contenenti i voti dalle aree rurali più remote, quelle che per tradizione sono lo zoccolo duro del MAS.

Ciò consentiva a Morales di essere il vincitore già al 1°turno.

https://www.theguardian.com/commentisfree/2019/dec/02/the-oas-has-to-answer-for-its-role-in-the-bolivian-coup

Il giornale esibisce anche un grafico che corrobora la sua tesi: http://cepr.net/publications/reports/bolivia-elections-2019-11

Ciononostante, dopo le conclusioni OAS, Morales ordinò lo scioglimento del comitato elettorale e la ripetizione del primo turno, evitando la repressione violenta dei disordini, orchestrati dall’opposizione.

Fatto sta che la polizia, forse interpretando tale posizione come debolezza, ne ha approfittato per ammutinarsi.

Il colpo di grazia lo ha dato però l’esercito, imponendo le dimissioni a Morales, il quale, insieme al vice-presidente Álvaro García Linera, le ha presentate il giorno seguente.

Oltretutto il governo ad interim presieduto dalla conservatrice Jeanine Áñez, cristiana intransigente, gli ha ufficialmente proibito di candidarsi alle prossime elezioni, la cui data è ancora da decidere.

L’ex capo di Stato il 12 novembre è partito in esilio per il Messico, il cui premier si era reso disponibile ad accoglierlo, dopo il prevedibile rifiuto di Jair Bolsonaro in Brasile. Successivamente una sanguinosa repressione – a seguito di una legge ad hoc promulgata dal governo provvisorio che concedeva poteri speciali all’esercito – mieteva altre vittime, elevando a 32 il numero delle persone uccise, mentre nel Parlamento i rappresentanti indigeni venivano estromessi, decretando de facto la fine dello Stato Plurinazionale, istituito da Evo Morales negli anni passati a tutela dei diritti degli indios, più volte calpestati prima della sua ascesa al potere.

Gli abusi militari sono stati comprovati e denunciati da un rapporto della sezione latino-americana di Amnesty International, che l’ufficio-stampa mi ha gentilmente messo a disposizione.

https://www.amnesty.org/en/latest/news/2019/11/bolivia-derogar-norma-impunidad-fuerzas-armadas/ Un turbinio di eventi in meno di un mese ha interrotto bruscamente dopo 13 anni il percorso del socialismo indigenista.

Il suggello finale al cambiamento, è stato il ripristino dell’ambasciata boliviana negli Stati Uniti dopo 11 anni dal ritiro della precedente, e l’espulsione dei diplomatici venezuelani ordinata da Jeanine Áñez, che ha riconosciuto Juan Guaidó come presidente del Venezuela. https://www.france24.com/en/20191127-bolivia-picks-first-us-ambassador-in-11-years

Bilancio a posteriori

La candidatura di Evo Morales al quarto mandato di governo, è avvenuta in seguito a una forzatura della Costituzione boliviana, che non lo prevedeva, consecutivamente

per la stessa persona, oltre il terzo mandato. Ma anche questa regola del terzo, aveva già fatto parte di una modifica al dettato costituzionale imposta dallo stesso Morales, ignorando successivamente il responso di un referendum popolare che aveva bocciato la sua candidatura alle elezioni presidenziali nel 2019.

La testardaggine del leader del MAS è spiegabile solo con la sua consapevolezza di non avere un successore degno, paventando anche un tradimento come era già successo con Lenin Moreno nei confronti di Correa in Ecuador.

Soprattutto ha contato il fatto che il vicepresidente Linera, essendo bianco, non avrebbe avuto nessuna possibilità di vittoria e neanche di mantenere la leadership del MAS in un paese indio al 50%.

Difatti, ciò sarebbe andato contro gli stessi principi propugnati dai due fondatori, che hanno sempre sostenuto l’ineluttabilità della presidenza indigena per la Bolivia.

Eppure, esistono anche degli accentuati dislivelli a causa dei privilegi di cui gode l’etnia Aymara (quella di Morales) rispetto al resto dei 40 gruppi indigeni che compongono la metà della popolazione.

Il commercio ha arricchito a tal punto le élites che vivono nella capitale governativa La Paz (concentrate nella frazione di El Alto) che un nuovo stile architettonico è stato creato apposta per loro: una fusione di arte Naïve e tradizione india.

I detrattori chiamano questi edifici cholets (neologismo sarcastico e razzista che comprende il termine chalet e cholo, dispregiativo del campesino indio).

Anche Morales era soprannominato El Cholo. I costi oscillano tra 200.000/500.000 dollari, a seconda della loro grandezza. https://qz.com/1442051/colorful-architecture-is-a-symbol-of-cultural-heritage-in-bolivia/

Tuttavia il bilancio finale dell’unica esperienza finora di governo nativo in America Latina, è assolutamente in attivo: dall’insediamento del duo Morales/Linera nel 2006, il PIL è cresciuto del 5% con picchi del 6.5% nel 2014, mentre la disoccupazione è scesa al 3% e il tasso di povertà si è ridotto dal 38% al 18%.

Gas naturale e litio estratto dalle saline di Uyuni, continuano a essere i motori trainanti dell’economia boliviana, soprattutto il secondo, che comunque non può fare a meno del know-how tedesco e dei capitali cinesi per l’estrazione.

L’oro bianco boliviano, di cui il Paese è terzo produttore mondiale dopo Cile e Argentina – indispensabile per le batterie di computer e cellulari – attira ora gli appetiti statunitensi, che comunque dovranno fare i conti con i contratti blindati (e gli armamenti) dei cinesi, per cui credo rimarranno insoddisfatti ancora per un bel pezzo.

Ma innanzitutto, il merito di Evo è stato quello di aver rivalutato il miserrimo salario minimo nazionale del 400%. Da 500 a 2122 BOB (valuta boliviana) in 13 anni.

https://es.m.wikipedia.org/wiki/Anexo:Salario_m%C3%ADnimo_en_Bolivia

Un dollaro USA equivale a 6,84 BOB.

https://it.coinmill.com/BOB_USD.html#USD=1 Per cui il salario minimo in Bolivia è oggi circa USD 310.

Superiore, anche se di poco, a quello peruviano, brasiliano, argentino e colombiano.

Se la storia assolverà l’ex presidente in esilio, sarà anche per questo.

Anche se rimarrà il rammarico eterno per lui, e per i pueblos andini purtroppo, di non aver saputo trovare la strategia giusta per preservare l’unico modello di socialismo democratico e moderno nel continente americano, sopravvissuto dopo il ritiro inevitabile di Correa in Ecuador.

PS. Evo Morales si è trasferito in Argentina, dopo che Alberto Fernández, il nuovo presidente eletto recentemente, gli ha garantito asilo politico.

https://www.reuters.com/article/us-argentina-bolivia-morales-idUSKBN1YG1N2

(Una storia di Flavio Bacchetta)

NB. Un pezzo similare è stato pubblicato in precedenza da il Fatto Quotidiano online:

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/12/10/bolivia-forse-non-sapremo-mai-cose-accaduto-realmente-ma-qualche-certezza-purtroppo-ce/5606540/

 

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *