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L’Iraq sciita in piazza chiede il ritiro delle truppe Usa

Alla fine è riuscita. la scommessa politica di Moqtada Al-Sadr. Il leader Sciita aveva chiamato il popolo iracheno ad una marcia da un milione di persone contro la presenza americana nel paese ed il riscontro numerico avuto il 24 gennaio a Baghdad è stato pienamente corrispondente a quanto desiderato.

“Via l’occupante”, “morte all’America”, “ritiratevi o preparate le bare”, questi gli slogan più in voga fra i manifestanti, mobilitatisi in seguito all’uccisione, da parte degli USA, del popolarissimo generale Qassem Soleimani, architetto militare di tutti i focolai di resistenza anti-imperialisti nell’area, e del conseguente voto del Parlamento di Baghdad per l’interruzione della collaborazione con la cosiddetta coalizione anti-Isis e, quindi, il ritiro della presenza militare straniera.

Fino ad ora, gli USA e tutte le altre potenze occupanti, compresa l’Italia, si sono rifiutate di ottemperare a tale richiesta di ritiro ed hanno operato solo piccoli ed inutili spostamenti. dopo essere venute sotto il fuoco di poco incisivi ma continui attacchi da parte delle Forze di Mobilitazione Popolare, milizie sciite filo-iraniane che il 31 dicembre scorso avevano ispirato una manifestazione popolare la quale, con la complicità delle forze di sicurezza irachene, era giunta fino al danneggiare il poderoso complesso dell’ambasciata USA nella zona verde di Baghdad.

Moqtada al Sadr, leader degli sciiti iracheni

La chiamata in piazza di Moqtada al Sadr è arrivata soprattutto in seguito alle mosse del Primo Ministro dimissionario, Adil Abd al-Mahdi, il quale è accusato da più parti di lavorare sotto traccia in collaborazione con gli USA affinché le truppe non vengano ritirate; quindi va intesa come un modo per fare pressione sul governo perché ottemperi alle richieste del parlamento.

Da ricordare che il movimento sadrista, in coalizione con il Partito Comunista Iracheno, detiene la maggioranza relativa nella camera bassa (l’unica esistente nel parlamento iracheno) da dopo le elezioni del 2018, ma non ha potuto esprimere direttamente il primo ministro poiché non sarebbe stato mai accettato dagli occupanti; la sua milizia, infatti, l’Esercito del Mahdi, subito dopo la destituzione di Saddam nel 2003, ha guidato la forte e tenace Resistenza agli invasori.

In secondo luogo, fra tutte le espressioni dell’islam politico di marca sciita, il Movimento Sadrista è il meno vicino all’Iran, in quanto i suoi esponenti non vi si sono mai rifugiati durante il precedente ostile regime Baathista e hanno sempre tenuto una posizione molto indipendente. Nel periodo precedente alle elezioni che lo hanno premiato, anzi, Moqtada al-Sadr ha cercato apertamente di diversificare le proprie alleanze internazionali, arrivando a viaggiare anche in Arabia Saudita per accreditarvisi come interlocutore indipendente da Teheran.

Dopo l’uccisione di Soleimani, il leader sciita ha chiamato alla mobilitazione – contro gli USA – l’Esercito del Mahdi, che aveva formalmente cessato le proprie attività da molti anni, ma ha comunque continuato a chiedere all’Iran di non utilizzare l’Iraq come terreno di vendetta senza il consenso delle autorità locali; gli stessi richiami a non interferire si susseguivano da mesi, allorché c’è da formare il nuovo governo in seguito alle dimissioni di al-Mahdi.

Sull’altro fronte delle mobilitazioni, quello dello conosciuto come “la rivoluzione di Piazza Tahrir”, che infiamma il paese dallo scorso ottobre e che ha determinato le dimissioni dell’esecutivo, non prima di aver subito una brutale repressione (si parla di più di 200 morti), la manifestazione del 24 gennaio è stata accolta con indifferenza, se non con ostilità.

Quella piazza, infatti, è sicuramente composta da molti degli elettori della coalizione composta da sadristi e comunisti, sulla quale nel 2018 si era riversato un ampio voto di protesta, con la speranza che un cambiamento ai vertici avrebbe portato ad un miglioramento delle condizioni materiali e al superamento del sistema settario imposto dagli USA dopo l’invasione del 2003, così come promesso da Sadr.

Tuttavia, come detto, i delicati equilibri di potere da mantenere a Baghdad dovuti alla perdurante occupazione imperialista hanno di fatto invalidato l’esito elettorale, frustrando le speranze e moltiplicando la delusione.

I sadristi sono accusati dai manifestanti di Piazza Tahrir di non essere difensori reali della sovranità irachena rispetto all’Iran, al quale sono molto ostili, essendo arrivati ad attaccarne le sedi diplomatiche. Inoltre, sono accusati di essere complici di chi li ha brutalmente repressi.

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