Cuba, nonostante sia chiusa l’era dei Castro, prosegue nella sua strada di autonomia dall’influenza americana e continua tuttora imperterrita nella scelta di rifuggire da un modello economico capitalista. I suoi detrattori politici spesso nel formulare critiche e accuse si focalizzano sulla situazione economica, omettendo di citare però alcuni aspetti salienti come le sanzioni di lungo corso inflitte dal governo statunitense, i tentavi di destabilizzazione militare ed economica o le campagne di boicottaggio. Non di rado poi nei dibattiti in tv vengono condotti paragoni improbabili con paesi dall’appartenenza geografica, dal retaggio storico, culturale ed economico, completamente diverso.
Per fare un esempio occorrerebbe chiedersi quale sarebbe l’utilità di un’analisi condotta confrontando l’economia cubana con quella svizzera senza soffermarsi sulle sue specificità, al solo fine di far emergere un divario impietoso; le ponderazioni se proprio vanno fatte dovrebbero basarsi su comparazioni con paesi affini per contesto territoriale, culturale e radici storiche. Ad esempio, di rado Cuba viene messa a confronto con gli altri paesi caraibici e dell’America centromeridionale che, spesso, pur avendo intrapreso strade politiche opposte, versano in stati di povertà assoluta e non godono dei diritti sanitari, del sostegno alimentare e dell’istruzione che invece il governo cubano assicura al suo popolo.
Sicuramente però l’omissione più grave e tendenziosa, dicevamo, è quella di soffermarsi sulle carenze strutturali di Cuba tacendo sull’embargo che ormai da quasi sessanta anni rappresenta un cappio al collo al commercio e alle finanze del paese. L’embargo in questione probabilmente è il sistema di sanzioni unilaterali più ingiuste, severe e prolungate che sia mai stato applicato contro uno stato sovrano.
L’ingiustizia di tali misure appare tanto più assurda e incomprensibile, se si pensa che perfino regimi teocratici come l’Arabia Saudita e le altre petromonarchie del Golfo, in cui i basilari diritti civili vengono sistematicamente violati, sono invece fidati partner commerciali degli americani, che non disdegnano neanche di vendere loro armi, utilizzate non di rado per operazioni militari contro popolazioni inermi.
Proprio oggi l‘Assemblea generale delle Nazioni Unite è tornata a riunirsi ancora una volta a New York per votare la richiesta cubana di far cessare l’embargo, approvando una risoluzione appoggiata da 189 Stati membri, con i soli voti contrari di Usa e Israele. Tramite il proprio ministro degli Esteri, Bruno Rodriguez, Cuba già da settimane aveva denunciato il tentativo degli americani di ostacolare a più riprese l’iter della risoluzione, da ultimo presentando otto emendamenti al solo fine di ritardare il voto e rendere difficile la sua adozione.
Già ieri le 31 delegazioni della comunità internazionale nel prendere parola avevano appoggiato in modo schiacciante il progetto di risoluzione, esprimendo contestualmente la propria opposizione agli emendamenti proposti dal Dipartimento di Stato americano. Questo per l’esattezza, è il ventisettesimo anno consecutivo che viene presentato un progetto di risoluzione per chiedere la sospensione del blocco statunitense contro Cuba. Dal 1992, l’iniziativa ha sempre avuto il sostegno maggioritario nel principale organo decisionale delle Nazioni Unite.
La risoluzione ha rappresentato finora tuttavia una misura “di fatto” non vincolante che sostanzialmente non è riuscita ad avere alcun impatto sulla politica di “bloqueo” ostinatamente perpetrata da Washington. Se due anni fa il testo era passato senza voti contrari, con le sole astensioni di Usa e Israele in un’ottica di ravvicinamento con l’Avana promosso dall’amministrazione Obama, l’anno successivo a seguito dell’elezione di Donald Trump, il governo statunitense ritornava a votare “contro” e inaspriva la politica di embargo contro l’isola caraibica, finendo col dare una forte spallata al disgelo delle relazioni diplomatiche tra i due paesi.
Dall’avvento di Trump, dunque, le misure applicate si sono fatte più restrittive: ad esempio sono stati ulteriormente compressi i diritti dei cittadini americani che intendono recarsi in territorio cubano e sono stati posti nuovi ostacoli alle già limitate opportunità del settore imprenditoriale degli Stati Uniti a Cuba. E’ stata stilata infatti una lista di 179 “figure” cubane (ricomprendenti istituzioni pubbliche, soggetti privati e personalità giuridiche ) con le quali è proibito ai cittadini americani intraprendere transazioni.
Le nuove sanzioni contro Cuba hanno causato una diminuzione sensibile negli ingressi dagli Stati Uniti e generato ulteriori ostacoli alle relazioni economiche e commerciali di compagnie cubane con potenziali partner statunitensi e paesi terzi. Queste misure non indeboliscono solo l’economia pubblica cubana, ma anche il settore economico non statale del paese.
Il rafforzamento dell’applicazione extraterritoriale del blocco è stata un’altra delle manifestazioni distintive dell’inasprimento di questa politica, con un marcato impatto sui rapporti finanziari e creditizi internazionali di Cuba. L’embargo dunque colpisce anche il settore finanziario e bancario, compromettendo seriamente la possibilità di ricorso al credito. Ciò causa gravi danni all’economia del paese, in particolare, alle attività commerciali delle aziende, alle banche nazionali nei loro legami con il settore bancario internazionale.
La riproposizione del blocco contro Cuba è stata poi accompagnata da una retorica aggressiva, minacciosa fatta di proclami irrispettosi e altisonanti, da parte delle più alte sfere di governo degli Stati Uniti: è palese che tutto ciò non abbia che potuto generare maggiore sfiducia e incertezza tra le istituzioni finanziarie, le aziende e i fornitori americani, preoccupati di finire per essere penalizzati a causa delle loro relazioni con Cuba.
Non possono poi tacersi gli influssi negativi che inevitabilmente finiscono per penalizzare i settori della salute pubblica, l’educazione e la cultura. Come si evince dal rapporto pubblicatolo scorso 24 agosto sul sito del Ministro degli Esteri di Cuba, che evidenzia i danni economici causati dell’embargo nei suoi quasi sei decenni di l’applicazione, questi possono quantificarsi in oltre 933.678 milioni di dollari, tenendo conto del deprezzamento del dollaro rispetto al valore dell’oro nel mercato internazionale. A prezzi correnti, il blocco avrebbe provocato a Cuba danni per importi superiori a 134.499 milioni di dollari.
Nello stesso documento veniva poi messo in rilievo come per Cuba, “questa politica statunitense costituisca una violazione massiccia e sistematica dei diritti umani contro il suo popolo e si qualifichi come atto di genocidio, in base alla Convenzione per la Prevenzione e Sanzione del crimine di Genocidio del 1948. Si afferma che la stessa costituisca una violazione della Carta delle Nazioni Unite e del Diritto Internazionale nonché un palese un ostacolo alla cooperazione internazionale”.
Tra le prime dichiarazioni a pervenire a pochi minuti dal voto quelli della cancelleria cubana “una nuova vittoria per Cuba e la sua gente. Ancora una volta il governo Usa e isolato in merito alla sua politica retrograda a sostegno del blocco contro Cuba”. Si attendono ora le dichiarazioni del Presidente cubano, Miguel Díaz-Canel Bermúdez che nei giorni scorsi si era pronunciato con determinazione sulla questione: “continueremo a reclamare senza stancarci la fine di questo crudele blocco economico, commerciale e finanziario contro Cuba e il giusto compenso al nostro popolo per il danno economico e materiale provocato in tanti anni di aggressione” ha affermato.
“I nostri figli, in nostri nipoti, sono generazioni nate in condizioni di blocco, che implicano condizioni di resistenza (…) Io credo che ci sia anche un riconoscimento all’eroicità di come un piccolo popolo bloccato non da una qualsiasi, ma dalla nazione più potente del pianeta, sia stato capace di costruire la sua piattaforma emancipatrice che è motivo di orgoglio e credo che in questo ci sia un’espressione non solo di resistenza, ma anche di vittoria”.
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