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Taranto. Dall’inferno dell’Ilva

Basta ricatti, ora si progettano alternative. “Lavoro all’inferno” diceva Antonino Mingolla, operaio Ilva morto in fabbrica sei anni fa. “Annullano la nostra dignità” dice ancora oggi Cataldo Ranieri “i miei figli là dentro non ce li voglio. Che si lavori o no in quella fabbrica, a Taranto si muore comunque perché non ci sono alternative.” Cataldo Ranieri, operaio Ilva attivo e scomodo da sempre, prima come delegato Fiom, sindacato da cui adesso si è tirato fuori, ora nel “Comitato cittadini e lavoratori liberi e pensanti” che ha come simbolo l’apecar da cui sono partite le prime contestazioni verso i sindacati collaborazionisti il 2 agosto.
Il “Comitato cittadini e lavoratori liberi e pensanti” apoggia pienamente il gip Todisco grazie alla quale ora il problema Ilva è sotto i riflettori nazionali. Ranieri spiega che “la magistratura ha le prove che qualcuno ha avvelenato dolosamente la mia città e la mia famiglia per cui voglio e pretendo che escano i nomi di chi ci ha ucciso e avvelenato. Il Comitato nasce perché non ci sentiamo rappresentati come lavoratori dal sindacato, come cittadini dall’amministrazione. Nasciamo per essere un organo di vigilanza. Devono uscire tutti i nomi dei colpevoli.” Secondo Ranieri la strategia dell’Ilva è chiara, non sarà mai eco-compatibile perché nessun imprenditore farebbe investimenti su macchine che hanno 60 anni, l’obiettivo dell’azienda è spremere Taranto finché c’è succo, poi la città sarà abbandonata.
È senza voce Ranieri per le mobilitazioni organizzate nell’ultimo mese e per le tante interviste richiestegli, ma ci riferisce che molte di queste sono state tagliate perché ciò che dice è scomodo. “Noi tarantini siamo il frutto di una repressione violenta di veleni, Taranto ha solo veleni. Da Vestas, Eni, Cementir, Ilva, Marina Militare, cosa ne ha guadagnato Taranto? Cosa abbiamo di alternativo? I bambini e le persone che muoiono ci sono realmente, i veleni li conosciamo perché li respiriamo, non c’è bisogno della magistratura per capirlo”. Ranieri continua esprimendo la sua rabbia per Taranto, città a cui si continua a offrire miseria e che ha guadagnato disoccupazione, disperazione, dissesto, ricatti. Il ricatto occupazionale, in una città con il 30% di disoccupazione è forte quando non si hanno alternative. Eppure Taranto è piena di risorse culturali, storiche, naturalistiche, ma nulla è stato fatto dalle amministrazioni per promuoverle. Il piano regolatore è fermo agli anni ’70 e non è mai stato promosso alcun programma di incentivazione di attività imprenditoriali alternative a quelle dei mostri dell’industria.
Chi denuncia e si mobilita contro l’Ilva è sotto il ricatto dell’accusa di rendersi responsabile di chi risentirebbe della chiusura dell’Ilva, ma Ranieri con convinzione afferma che “non si può barattare il proprio posto di lavoro, noi chiediamo la salute e la vita. Siamo usciti dalla logica del ricatto e ora siamo più liberi, più uomini. É la prima volta in Italia che i lavoratori manifestano a favore della vita prima di tutto e questo né i sindacati né le istituzioni se lo aspettavano. Noi vogliamo un lavoro che ci dia vita”. I sindacati complici stanno cercando di dividere i lavoratori a favore dei padroni, ma ci racconta Ranieri: “nei reparti dico che le pecore che sono state abbattute per la diossina sono state più fortunate di noi perchè sono morte immediatamente e pascolavano a 20-25 metri dallo stabilimento. Noi siamo dentro lo stabilimento, anche noi abbiamo respirato diossina, vogliamo morire lentamente? I manifesti degli operai morti fuori dalla fabbrica li vediamo tutti. Tutti gli operai sanno che abbiamo ragione. Nessuno di loro, se avesse alternative, accetterebbe di lavorare in Ilva alle condizioni attuali.”
Nell’arco di appena un mese Taranto sembra un’altra città, risvegliata dal torpore e in parte liberata dalla diffidenza causata da decenni di corruzione, indifferenza e inquinamento. La città comincia a reagire in modo deciso e indignato e questo sembra sorprendere gli stessi tarantini. Chiamata a mobilitarsi nella settimana di ferragosto Taranto ha risposto con la partecipazione di oltre tremila persone, con solidarizzanti da tutta la Puglia, nell’ultima manifestazione del 17 agosto. Una giornata calda il 17 agosto in cui, mentre i rappresentanti dell’Ilva e dello Stato bloccavano e blindavano la città, i cittadini e lavoratori di Taranto erano invece confinati a manifestare in una piazza sotto il sole con l’esplicito divieto di circolazione del temuto apecar. “Il Governo che viene a Taranto parla solo di salvare l’Ilva” dice Ranieri “non parla di centinaia di famiglie di mitilicoltori che hanno perso il posto di lavoro, nessun ministro è venuto a Taranto quando hanno perso la loro attività. Nessun ministro ha parlato di come si risana il mare, di come si risana l’ambiente, di un registro tumori, di una struttura ospedaliera specializzata”.
Il comitato di cittadini e lavoratori non risparmia l’amministrazione comunale che non ha mai assunto una posizione chiara e si mostra servile rispetto all’azienda e al Governo. Il sindaco due anni fa ha emanato un’ordinanza in cui si vietava ai bambini di giocare nella piazza del rione Tamburi risultata contaminata da diossina. A questa ordinanza non è mai seguita una bonifica e con il tempo sono spariti i cartelli di divieto dalla piazza e i bambini ora ci giocano. L’ordinanza c’è ma non ne se parla più e il dubbio che all’amministrazione qualcuno abbia tirato le orecchie perché non rispettava gli ordini non può essere remoto.
Operai e cittadini sono indignati per le prese in giro dell’azienda, per un monitoraggio che dovrebbe essere fatto 24 ore su 24 ed invece è stato limitato a tre volte all’anno previo preavviso, ora si scopre addirittura che in Ilva non esisterebbe neppure un responsabile per i monitoraggi in continuo previsti dell’aia (autorizzazione integrata ambientale) dell’agosto 2011. Sono indignati per la rincorsa del profitto ad ogni costo e a questo proposito Ranieri spiega lo “slopping” che si determina quando la ghisa è versata nel convertitore in tempi più veloci di quelli di taratura dell’impianto: “è come versare velocemente la birra in un bicchiere, la schiuma va fuori”, se la ghisa è versata più velocemente dei tempi di taratura, questo lo si fa per aumentare la produzione, le cappe di aspirazione non riescono a captare e ad aspirare i fumi rossi per convogliarli nei filtri e quei fumi li respirano gli operai e l’intera città.
Taranto è ancora beffata dagli ultimi accordi e proposte fatte che hanno coinvolto regione e comune: l’evacuazione del rione Tamburi, la riduzione della produzione a seconda del vento (!), il miserabile stanziamento di 146 milioni di euro di Riva, la “geniale” proposta dell’uso del gel per rivestire i cumuli del parco minerale, gli operai fanno notare che questa tecnica è stata già adottata e si è rivelata inefficace. Appare grottesco poi come l’Ilva si faccia il make-up on line scrivendo di sicurezza e invitando gli studenti a visitare gli stabilimenti (http://elementari.ilvaprogettoscuole.it/).
Gli operai dicono per conoscere cosa è l’Ilva basta visitare Tamburi. La città sta prendendo coscienza e vuole organizzarsi. La sera del 20 agosto centinaia di cittadini e lavoratori si sono incontrati in piazza Vittoria per “Prove di una città diversa”, incontro in cui è intervenuto l’economista Guido Viale. Si è parlato, tra l’altro, di progettazione e alternative che in una città come questa sarebbero le più varie se si riuscisse a liberarla dal cappio dei mostri dell’industria. Si potrebbero far fruttare risorse come le aree inutilizzabili dai tarantini perché demanio militare quali le isole di San Pietro e San Paolo, risorse come l’agricoltura, l’allevamento, il mare. Un cittadino di Taranto, ha raccontato come a Vigo in Spagna ci sono ventimila lavoratori impegnati nella mitilicoltura e quei lavoratori le tecniche le hanno importate da Taranto dove però, nel Mar Piccolo destinabile a questa attività, la marina militare ci deposita carrette arruginite e navi di amianto, l’Ilva ne sottrae acqua a bassa salinità prelevandone a 500mila litri al secondo. Si è ricordata l’importanza storica e culturale di Taranto antica di 2700 anni. Guido Viali ha sostenuto l’importanza di mobilitarsi al pari di quanto hanno fatto nella Val Susa, ben più piccola di Taranto per densità e rilevanza economica, sottolineando la necessità di costituire un comitato di respiro nazionale di esperti economici, giuridici, ambientali che possano definire se è possibile riconvertire l’Ilva a sistemi di produzione compatibili con ambiente e salute oppure no e in questo secondo caso occorrerà una trasformazione programmatica del territorio a livello lavorativo, di consumi e stile di vita, trasformazione che richiederà più di un decennio. La verità per Taranto, il risanamento e la trasformazione della città non potranno essere nelle mani di padroni e complici di Stato che finora hanno mentito. Non sono mancate sicuramente idee e proposte tra i cittadini e lavoratori riuniti in piazza, quali risarcimenti, costituzione di una class action contro Riva e company, ma solo in una breve carrellata di opzioni si è elencata asetticamente la parola esproprio. Ciò che non è stato fatto per la Fiat si dovrebbe pretendere ora come azione immediata per l’Ilva.

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